Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 219
Attacco NATO alla Russia: rischio guerra e le illusioni del progressismo
di Enrico Grazzini
L’Ucraina e la strategia americana per debilitare la Russia
L’Ucraina è sempre stata considerata come la leva principale per la disgregazione russa. Già negli anni novanta Zbigniew Brzezinski, nel suo libro più famoso, The Great Chessboard (La grande scacchiera1), auspicava l’allargamento della Nato a est, e in particolare all’Ucraina che era fondamentale per ridurre la Russia a potenza asiatica, non più europea. L’ex consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Carter scriveva che la Russia senza l’Ucraina sarebbe stata una potenza castrata, non più una grande potenza euroasiatica ma solo una potenza regionale asiatica. L’Ucraina doveva diventare il bottino principale della Guerra Fredda vinta dagli USA. Questa strategia d’attacco si svolgeva proprio mentre la Russia postsovietica di Boris Yeltsin – come poi fece anche Vladimir Putin – cercava disperatamente l’alleanza alla pari con l’Occidente e stringeva addirittura una partnership con la Nato. Ma, come sappiamo, la Russia fu stupidamente respinta dall’Occidente. Fu l’amministrazione democratica Clinton a decidere di espandere la Nato a est e di inglobare i Paesi del Patto di Varsavia, suscitando la reazione ovviamente negativa dei governi russi e alimentando la reazione antioccidentale dei nazionalisti russi. Nello stesso tempo la Nato spinse anche l’Unione Europea ad accettare i paesi dell’est – Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia – come suoi membri a pieno titolo: ma questi paesi sono fortemente nazionalisti, privi di una radicata esperienza democratica e, per motivi storici, duramente anti-russi. Con l’allargamento a est l’Unione Europea perse qualsiasi connotazione democratica e ideale e divenne un’associazione divisa e impotente sul piano strategico. La Nato diventò così egemone sulla politica estera e militare europea, e sulle grandi strategie europee. Tuttavia, fino ai moti di EuroMaidan e alla cacciata del presidente filorusso Viktor Janukovyč, la Russia rimase comunque in buoni rapporti sia con la Nato che con l’UE. Ma con la sovversione di Janukovyč operata da Washington la guerra era sostanzialmente inevitabile.
- Details
- Hits: 121
Note sul libro di Michael Hardt “I Settanta sovversivi. La globalizzazione delle lotte”
di Andrea Fumagalli
La tesi di Michael Hardt, presentata nel libro I Settanta sovversivi. La globalizzazione delle lotte, (Derive Approdi, Bologna, pp. 310, Euro 22,00) è molto semplice ed è già esposta nel titolo:
“Gli anni Settanta sono stati un decennio sovversivo. I politici e i loro generali, i capi della polizia e gli agenti dei servizi segreti, i giornalisti, gli intellettuali conservatori vedevano “sovversivi” dappertutto” (p. 5).
Ma cosa significa “anni sovversivi”? Secondo la Treccani, l’aggettivo “sovversivo” rimanda a due significati:
“1. Che tende a sovvertire l’ordine costituito di uno stato: dottrine, teorie s.; attività s.; propaganda s., delitto contro la personalità dello stato che consiste in un’attività di propaganda per l’instaurazione violenta di una dittatura o per il sovvertimento e la distruzione dell’ordinamento sociale; 2. Per estensione, che sovverte la tradizione, che tende a rivoluzionare e a sconvolgere uno stato di cose esistente”.
La prima definizione è quella che viene tradizionalmente attribuita agli anni Settanta, quindi un’accezione tendenzialmente negativa. Ancora oggi la vulgata dei media ancora si muove in questa direzione. Basti pensare che l’espressione più usata per etichettare quel periodo è “anni di piombo”, un’espressione che, peraltro, tradisce la sua vera origine[1].
Hardt, invece, fa un’operazione di verità storica a 50 anni da quel decennio e afferma che la definizione corretta che deve essere usata è la seconda e riporta in esergo del capitolo introduttivo la seguente affermazione, contenuta in un documento scritto da alcuni militanti dell’Autonomia in attesa del processo al carcere di Rebibbia, Roma, 1983:
“Che non abbiamo avuto nulla a che fare con il terrorismo, è ovvio. Che siamo stati “sovversivi” è altrettanto ovvio. Tra queste due verità si trova la posta in palio del nostro processo”.
A tal fine, per meglio chiarire la questione della “sovversione”, è necessario partire dalla critica ad alcuni luoghi comuni.
- Details
- Hits: 126
La nuova “banalità del male”: Stephen Miller, ideologo e burocrate del trumpismo
di Alessandro Scassellati
Stephen Miller è l’ideologo di Donald Trump, ma anche il più potente burocrate non eletto di Washington. Sta mettendo in atto il piano trumpiano per rimodellare gli Stati Uniti attraverso il taglio dell’immigrazione, le deportazioni e detenzioni di massa in campi di concentramento, l’esaltazione della crudeltà e denigrazione dell’empatia, il mancato rispetto di costituzione e leggi, la torsione autoritaria e la minaccia repressiva contro il dissenso e gli avversari politici interni. Un piano che sta portando all’istituzione di un distopico fascismo statunitense.
Il 21 settembre, quando Stephen Miller è salito sul podio al memorial per la “santificazione” dell’attivista ultra-conservatore Charlie Kirk (su Kirk si veda il mio articolo) – in parte culto evangelico, in parte raduno MAGA – davanti a 60mila persone allo State Farm Stadium in Arizona, ha lanciato un duro avvertimento alle forze di sinistra (democratici, liberal e “radicali”) che ritiene responsabili dell’assassinio di Kirk. “Non avete idea del drago che avete risvegliato”, ha detto, rivolgendosi ai suoi nemici ideologici. “Non avete idea di quanto saremo determinati a salvare questa civiltà, a salvare l’Occidente, a salvare questa repubblica”. Il discorso di Miller, in puro stile retorico del nazista Paul Joseph Goebbels, è stato un grido di battaglia per la guerra sponsorizzata dallo Stato dell’amministrazione Trump contro i suoi presunti nemici. Una guerra manichea – il bene e la luce contro il male e l’oscurità – di cui Miller è il principale stratega.
Ciao Patrioti. Ciao al nostro impavido Presidente, Donald J. Trump. E ciao a milioni di americani in tutto il Paese che si sono riuniti con tristezza e dolore per piangere Charlie Kirk, ma anche per dedicarsi a portare a termine la sua missione e raggiungere la vittoria nel suo nome. Il giorno in cui Charlie morì, gli angeli piansero, ma quelle lacrime si sono trasformate in fuoco nei nostri cuori. E quel fuoco arde con una furia giusta che i nostri nemici non possono comprendere. Quando vedo Erica [la moglie di Charlie Kirk], la sua forza e il suo coraggio, mi viene in mente una famosa espressione. La tempesta sussurra al guerriero che non puoi resistere alla mia forza. E il guerriero sussurra a sua volta: “Io sono la tempesta”. Erica è la tempesta. Noi siamo la tempesta e i nostri nemici non possono comprendere la nostra forza, la nostra determinazione, la nostra risolutezza, la nostra passione. La nostra ascendenza e la nostra eredità risalgono ad Atene, a Roma, a Filadelfia, a Monticello. I nostri antenati costruirono le città. Produssero l’arte e l’architettura. Costruirono l’industria. Erica poggia sulle spalle di migliaia di anni di donne guerriere che hanno creato famiglie, costruito città, costruito industria, costruito civiltà, che ci hanno tirato fuori dalle caverne e dall’oscurità verso la luce.
- Details
- Hits: 141
Il Piano Trump per Gaza è una lapide sul presente e sul futuro. Ma spetta ai palestinesi decidere
di Sergio Cararo
Appare evidente come il “piano Trump” sia arrivato anche a seguito del vertiginoso aumento della pressione internazionale e dell’isolamento di Israele dopo quasi due anni di aggressione ai palestinesi a Gaza che ormai molti configurano e denunciano come genocidio.
L’isolamento di Israele, l’escalation delle proteste popolari anche in Europa e Stati Uniti e le conseguenze nella regione del bombardamento su Doha da parte israeliana, hanno costretto Trump a cercare una via d’uscita che in qualche modo salvaguardasse Israele e la sua alleanza con gli USA.
La televisione israeliana Channel 12 riferisce che il team del presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha apportato “cambiamenti radicali” al suo Piano per Gaza, al fine di renderlo più accettabile da Israele, dopo un incontro con il ministro degli Affari Strategici Ron Dermer e il primo ministro Benyamin Netanyahu.
Ciò significa che quello che è stato dato finora in pasto ai mass media e agli interlocutori internazionali (i 21 punti diventati poi 20, ndr), è stato già rivisto per renderlo compatibile con gli interessi di Netanyahu – pressato dalla destra religiosa – e del governo israeliano.
- Details
- Hits: 111
Vale la pena morire per Kiev?
di Gerardo Lisco
Il quesito che attraversa oggi il dibattito europeo richiama alla memoria un precedente storico ben noto. Nel 1939, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, l’opinione pubblica si domandava se valesse la pena “morire per Danzica”, ossia affrontare un conflitto mondiale per difendere l’indipendenza della Polonia. Oggi, a oltre tre anni dall’invasione russa, la stessa domanda si ripropone con un nuovo volto: vale la pena morire per Kiev?
Il disimpegno americano e la responsabilità europea
Le recenti dichiarazioni di Donald Trump, riportate dalla stampa come un sostegno incondizionato a Zelensky, vanno lette in modo diverso. Al di là della retorica, gli Stati Uniti hanno ridotto le forniture militari, segnalando un progressivo disimpegno. Il messaggio implicito è chiaro: l’Ucraina non è più una priorità strategica per Washington, bensì un problema che l’Europa deve gestire in prima persona. In parallelo, i media occidentali hanno intensificato la narrazione di un conflitto imminente. Si moltiplicano notizie su incursioni russe nei cieli della NATO, sull’abbattimento di droni e missili in Polonia, sui timori dei Paesi baltici. Persino ex generali arrivano a indicare date precise per lo scoppio della Terza guerra mondiale. Questo crescendo mediatico sembra rispondere più all’esigenza di preparare l’opinione pubblica a un’escalation che a un’analisi realistica della situazione.
- Details
- Hits: 155
Mainstream e guerra: il racconto che manca
di Elena Basile
Se avessi più tempo a disposizione scriverei una rubrica ogni giorno chiamata “l’anti la Repubblica e Corriere della Sera”. Credo infatti sia essenziale svolgere un lavoro costante di risposta agli editoriali che appaiono su questi giornali, plasmando ricorrentemente l’opinione pubblica moderata delle destre e del centro-sinistra, nerbo del potere attribuito alla maggioranza Ursula, e divulgando tesi non consone ai fatti documentati, resi disponibili da un’informazione corretta.
Cercherò di riepilogare i temi preferiti che, con una monotonia estrema, vengono enunciati senza contraddittorio da giornalisti e intellettuali, che dominano la scena del pensiero mainstream da decenni.
Con un’ingenuità apparente viene posta un giorno sì e un altro no la stessa domanda: come mai – si chiedono storici, accademici e giornalisti – migliaia e migliaia di persone scendono in piazza contro le aggressioni di Israele e non contro la Russia, considerata da loro alla stregua di Israele, uno Stato che viola il diritto internazionale? (editoriale di Ezio Mauro di domenica 28 ottobre).
La risposta è semplice. La gente colta e meno colta, professionisti e persone ordinarie, ha capito l’essenziale. Il paragone con Putin, colpito da un mandato di arresto della CPI esattamente come Netanyahu, è fuori luogo. La Russia ha reagito, invadendo l’Ucraina, al disegno di dominio imperialistico che la NATO ha deciso di attuare al fine di desovranizzare il perdente della guerra fredda e attuare un regime change.
- Details
- Hits: 93
“Ora tocca all’Italia”. La strategia delle balle guerrafondaie
di Dante Barontini
Sembra abbastanza evidente che il susseguirsi di allarmi inverificabili circa la presenza di “droni russi” sui cieli d’Europa, o di “interferenze” nelle comunicazioni, sia piuttosto chiaramente una “strategia comunicativa” attribuibile per intero all’Unione Europea, proprio mentre l’America di Trump sta scaricando la guerra ucraina sul Vecchio Continente.
Mettiamo in fila solo gli episodi più clamorosi, per non farla troppo lunga.
1) Prima c’è stata la notizia che l’aereo di Ursula von der Leyen aveva perso il segnale GPS mentre volava sulla Bulgaria, dove era diretto, al punto da costringere i piloti a usare “vecchie mappe cartacee” come i turisti degli anni ‘70 e ad accumulare 1 ora di ritardo, dopo aver rischiato di mancare l’atterraggio. Nel giro di poche ore l’episodio è stato sbugiardato:
– dalla Bulgaria, paese Nato, che non ha rilevato nulla di anomalo sui propri radar;
– da alcune migliaia di esperti di aviazione, che hanno spiegato come il GPS non serva per l’atterraggio (ci sono da decenni sistemi più moderni ed efficaci, specie su un aereo “presidenziale”)
– dagli enti di controllo del volo, come FlightRadar e altri, che non hanno tracciato né cambiamenti di rotta né mancato funzionamento dei sistemi di bordo (la comunicazione tra velivolo e centrali di controllo è costante);
– dai registri dell’aeroporto, con l’aereo che aveva solo 5 minuti – e non un’ora – di ritardo.
- Details
- Hits: 110
La matematica, il segno, la pandemia
di Il Chimico Scettico
Girando sulla websfera italiana noto che si continua a parlare della pandemia e in particolare della gestione italiana della stessa (nonché, sull'onda del delirio istituzionale americano, di vaccini mRNA etc). Inutile girarci attorno, quelli pandemici furono tempi in cui "per la pubblica salute" venne messa in scena una propaganda che, a sentire chi la praticava e la incarnava, mirava a "salvare vite". A parte i risultati finali, ben distanti da quelli attesi o sperati, a parte che si parlava di "nuda vita", a parte la negazione dei fatti a salvaguardia della propaganda, a parte misure che per violazione dei diritti costituzionali non hanno avuto pari in occidente, a parte tutto questo la pandemia ha costituito una fase nuova del simulacro della scienza, una fase in cui forse per la prima volta la matematica irrompeva con prepotenza sulla scena, rinnegando sé stessa, a supporto dell'emergenza in un regime discorsivo dove la terminologia scientifica era utilizzata principalmente per il suo valore performativo ed emotivo.
Un esempio iconico di questa trasformazione fu rappresentato dall'uso del termine "esponenziale", utilizzato non più nel suo significato matematico, ma come evocazione di un sentimento di crescita incontrollabile e minacciosa.
Consideriamo un caso di scuola: l'affermazione di un noto fisico secondo cui "la crescita è esponenziale, stanno solo aumentando i tempi di raddoppio". Dal punto di vista matematico, questa frase contiene una contraddizione interna: se il tasso di raddoppio si sta allungando, significa che la derivata seconda della funzione sta diminuendo, il che per definizione esclude una crescita esponenziale.
- Details
- Hits: 355
Roberto Esposito nelle tenebre del fascismo
di Rocco Ronchi
La necessità di una riflessione filosofica sul fascismo si impone quando il fascismo diventa una minaccia reale. Per quanto indiscutibili siano tutte le differenze tra la situazione presente e quella vissuta negli anni venti e trenta del secolo scorso, la parola “fascismo” affiora inevitabilmente alla mente quando si vuole inquadrare il fenomeno populista-sovranista. E, con essa, il suo opposto, “antifascismo”, anche questo un termine abusato, gravato da una retorica che ne compromette sul nascere l’efficacia, e, tuttavia, anch’esso, inevadibile, quasi necessario. In attesa di nuovi e più precisi concetti scontiamo, insomma, la limitatezza del nostro vocabolario. Dobbiamo prendere a prestito vecchi termini per eventi nuovi, ma se questo è possibile è perché tra il vecchio e il nuovo vi è, di fatto, una continuità reale che è proprio quanto oggi ci inquieta e ci interpella.
Per queste ragioni il saggio di Roberto Esposito, Il Fascismo e noi (Einaudi, 2025), è un libro importante fin dal suo titolo programmatico: non chiede, infatti, soltanto che cosa sia stato il fascismo storico, ma chiede di “noi” rispetto ad esso, chiede “chi” siamo “noi” che lo abbiamo stigmatizzato come un orrore, ma che, oggi come allora, di fronte a un orrore solo somigliante (perché la via dell’”analogia”, secondo Esposito, è impercorribile) proviamo la stessa sensazione di impotenza, come se fossimo alle prese con una macchina che funziona in modo implacabile, una macchina cieca al senso e votata soltanto alla sua operatività illimitata. Gaza non è un campo di sterminio nazista ma gli somiglia, i militari dell’Idf non sono le SS ma gli somigliano, gli autocrati che impazzano ovunque non sono i duci fascisti ma gli somigliano e “noi” non siamo i nostri padri o nonni, i quali, nel migliore dei casi, hanno assistito come testimoni sgomenti all’avvento dell’orrore, ma gli somigliamo. E la somiglianza diventa quasi una relazione di identità se si considera il desiderio irrefrenabile di sottomissione e di vendetta (sui più deboli) che attraversa quel “popolo” sulla cui incondizionata sovranità tutti i populismi scommettono.
- Details
- Hits: 369
La UE guerrafondaia e MicroMega
di Enrico Grazzini
L’Unione Europea e la Nato si armano contro la Russia per nascondere i loro fallimenti
Perché l’Europa corre verso il riarmo? La risposta della Nato e dell’Unione Europea, e anche purtroppo di gran parte della sinistra storica, è questa: l’Europa deve riarmarsi per potere contrastare la Russia che ha invaso l’Ucraina e che vuole attaccare tutta l’Europa. Ma il tiranno Vladimir Putin è veramente l’unico colpevole dell’attacco all’Ucraina? La Nato è una colombella innocente? Washington in Ucraina ha difeso i suoi interessi imperiali oppure la libertà degli ucraini? La Nato è davvero un’organizzazione che difende la democrazia? O è invece una macchina militare che non ha avuto scrupoli nell’attaccare illegalmente la Serbia, storicamente uno Stato amico della Russia, e di creare con le sue bombe il Kosovo, ovvero un nuovo Stato dentro l’Europa dove, tra l’altro, ha insediato una sua base militare? Se la Nato è un’organizzazione militare che difende l’Europa, perché ha attaccato l’Afghanistan, l’Iraq, la Siria, la Libia provocando decine di migliaia di morti innocenti, per lasciare poi terra bruciata? Perché la Nato, guidata dall’ex presidente americano Joe Biden, ha promesso all’Ucraina di poterne farne parte se i governi ucraini e gli oligarchi di Kiev erano da tutti considerati corrotti e fuori dalla democrazia? Putin è davvero così pazzo da scontrarsi con la Nato per invadere anche tutta l’Europa? Infine: riarmarsi è la risposta giusta per dare più sicurezza all’Europa? Solamente se si risponde a queste domande si riesce a comprendere quali potrebbero essere realmente le difficili vie della pace.
In tutta Europa si diffonde una cagnara ridicola, ma pericolosissima, su come i paesi della Nato e dell’Unione Europea dovrebbero difendersi dall’imminente invasione russa e su come prepararsi alla guerra con la Russia.
- Details
- Hits: 184
Guardare il genocidio e non vederlo
di Maurizio Guerri
Le immagini della distruzione di Gaza sono la cifra del nostro tempo, ma «allo stesso tempo» provengono da un passato composito e illusoriamente archiviato, l’anacronismo della guerra e dello sterminio che fa irruzione nella trama del presente e lo irretisce. Si tratta allora di comprendere qual è il culto religioso che queste immagini paralizzanti stanno tramandando e radicando, a quale funzione politica assicurano il loro magnetismo, quali sono le modalità specifiche in cui entrano in rapporto con una tendenza storica che già Walter Benjamin e poi Jean Baudrillard, in epoche differenti, hanno sorpreso a «fare della sua peggiore alienazione un godimento estetico spettacolare». Anche per ricavarne in controluce il valore delle mobilitazioni del 22 settembre e i potenziali di rottura che quella giornata ci chiede di prendere in consegna e portare a maturazione.
* * * *
La pulizia etnica in corso a Gaza costituisce una delle più grandi tragedie della storia dopo la fine della Seconda guerra mondiale e noi ne siamo testimoni. Lo sterminio deliberato della popolazione civile con armi, sistemi elettronici, sostegno politico ed economico di Stati Uniti ed Europa avviene in diretta, così come in diretta è la distruzione deliberata di strutture sanitarie e il blocco dei rifornimenti di viveri e medicinali per gli abitanti di Gaza, bambini inclusi.
Ogni mattina i mezzi di informazione enunciano la cifra degli assassinati palestinesi che sono colpiti dai cecchini mentre cercano di avere un po’ d’acqua o un po’ di farina. Sarebbe stato difficile immaginare di poter vedere un’altra volta il tirassegno su civili inermi, dopo aver letto sui libri di storia i crimini di Amon Göth, che si divertiva a colpire col fucile di precisione prigionieri a caso del campo di Płaszów, prendendo la mira dal balcone della sua villa.
- Details
- Hits: 212
Gaza o del duplice tradimento dell’Occidente
di Andrea Inglese
La preparazione è giunta a buon punto quando gli individui hanno perso il contatto con i loro simili e con la realtà che li circonda; perché, insieme con questo contatto, gli individui perdono la capacità di esperienza e di pensiero”. Così scriveva Hanna Arendt in Le origini del totalitarismo. Nei settantaquattro anni che ci separano dalla prima edizione nel 1951, le nostre democrazie hanno sì mostrato fragilità, storture, contraddizioni a volte imbarazzanti, ma in un contesto apparentemente garantito di dibattito critico e di pluralità di posizioni. Sappiamo ora, ne abbiamo le prove, che non è più così. Qualcosa di questo scollamento nei confronti sia dell’esperienza sia del pensiero sembra riemergere nel discorso pubblico, assieme a un inquietante e tenace diniego di realtà. Il fenomeno è senz’altro profondo e coinvolge varie dimensioni delle nostre società, ma esso ha avuto una sua cristallizzazione evidente nella reazione dell’Occidente “ufficiale” (mediatico e politico) nei confronti di ciò che sta accadendo tra lo stato di Israele e il popolo palestinese.
Prendiamo l’esempio di No Other Land, film di un collettivo di registi palestinesi e israeliani, uscito nel 2024. È stato premiato alla Berlinale e in altri importanti concorsi europei, ha ottenuto l’Oscar per il miglior documentario. Nonostante ciò, No Other Land ha provocato la prevedibile censura israeliana, sostenuta persino dal ministro della cultura. Nemmeno negli Stati Uniti, terra della libertà di espressione, il documentario ha trovato distributori e anche la sua proiezione puntuale ha suscitato polemiche. In Germania, sono invece gli autori stessi a venire accusati di “antisemitismo” (accusa bipartisan, formulata da un sindaco conservatore e una ministra progressista), in seguito alle dichiarazioni fatte durante la premiazione al Festival di Berlino.
- Details
- Hits: 272
Ucraina. Il “pacco” di Trump è stato consegnato. Contiene dinamite
di Dante Barontini
Sul conflitto in Ucraina è importante seguire i giornali europei più “bideniani” e guerrafondai per capire quale sia il “clima” all’interno dei vertici della UE (più la Gran Bretagna), e quali soluzioni siano in ballo sia per la prosecuzione della guerra che per la sua eventuale conclusione.
L’evento più rilevante delle ultime settimane è stata certamente la “svolta” verbale di Trump, che si è prima detto “deluso” da Putin (come se nelle relazioni tra superpotenze i sentimenti avessero anche solo un minimo di ruolo), quindi ha dichiarato che “l’Ucraina può vincere” (tre mesi prima Zelenskij aveva ammesso che proprio non era possibile), poi ha detto “sì” all’eventuale abbattimenti di “oggetti volanti russi” sul territorio della Nato, poi ha rimproverato la stessa Ue perché continua a comprare gas e petrolio da Mosca anziché da Washington, esortando a mettere dazi al 100% sulle merci di Cina e India perché fanno la stessa cosa.
Nell’insieme queste sconclusionate affermazioni erano state accolte positivamente, dai guerrafondai nostrani. Poi anche i più entusiasti hanno cominciato a rifarsi i conti.
Tenuta sottotraccia come notizia, a Bruxelles hanno comunque dovuto registrare che gli Stati Uniti, nel frattempo, stavano smettendo di mandare armi “efficaci” – anche se pagate dalla UE – per scarsità di produzione e mutate esigenze yankee. E questo mentre l’attore di Kiev chiedeva nientepopodimeno che dei missili Tomahawk per bombardare direttamente Mosca o San Pietroburgo. A quel punto mancava solo la richiesta di testate nucleari e il sogno poteva arrivare in fondo…
- Details
- Hits: 200
7 punti sulla Questione Palestinese
di Emanuele Maggio
1) La nascita e la genesi storica dello Stato di Israele è contraria a tutti i principi del diritto internazionale e della convivenza pacifica tra i popoli (art. 1-2 Carta Nazioni Unite, art. 49 IV Convenzione Ginevra, Dichiarazione 2007, Statuto di Roma 1998). Tuttavia, quegli stessi principi stabiliscono L’ATTUALE esistenza e legittimità dello Stato di Israele (“uti possidetis juris”). Anche se una nazione è nata da violenza coloniale illegittima, le seconde generazioni di quella nazione non ereditano alcuna colpa, e ottengono il rango di popolazione stabile che non può essere deportata. Ecco un esempio semplice per far capire che Israele NON POTEVA nascere ma che ormai NON PUÒ essere cancellato: i nativi americani non possono rivendicare il Minnesota perché lo abitavano secoli prima, scacciando la popolazione attuale, né possono dividere il Minnesota a metà, dunque -> il sionismo non poteva rivendicare lo spazio palestinese, né dividerlo a metà come accaduto nel 1948, ma neanche i palestinesi possono rivendicare quello spazio ormai rubato, perché le seconde generazioni israeliane (e americane) non ereditano il peccato coloniale. Attualmente il diritto internazionale è orientato verso la soluzione (ormai solo teorica) dei Due Popoli Due Stati, e protegge sia lo Stato di Israele, sia lo Stato di Palestina (appunto stabilendo che quest’ultimo è occupato illegalmente da Israele). Il trucco retorico di Israele è considerare la propria violenza come legittima difesa perenne in un contesto di soggetti arabi ostili (e in parte è anche vero), ma questo non può valere finché occupa territori altrui, perché l’occupante non ha mai diritto di difendersi.
- Details
- Hits: 135
Onu, una tribuna abusata
di Fabrizio Casari
Nei giorni scorsi le Nazioni Unite sono salite alla ribalta con un’Assemblea Generale convocata per prendere parola e ipotizzare azioni a difesa del popolo palestinese, sotto l’attacco genocida israeliano e per dare uno stop a Tel Aviv nelle sue pretese coloniali di annessione della Cisgiordania. Una citazione a parte la merita lo show delirante di Trump, che tra l’imbarazzo generale ha citato guerre inventate, si è attribuito meriti inesistenti, ha sfornato miti di fantasia e minacciato cose che non può mantenere. E’ stata la rappresentazione di come la cosiddetta post verità (termine educato per non dire menzogne) sia ormai la parte consistente della narrazione del fascismo USA 3.0.
Veder passare la direzione della più grande potenza del mondo da un presidente con demenza senile ed ansie di guerra a uno con cesarismo ipertrofico e ansia di rapina, sposta le analisi politiche sotto la lente della psichiatria, dove confutare o smentire affermazioni diventa esercizio inutile al fine della comprensione del fenomenico.
Ma è il discorso di Netanyahu ad aver assunto valore simbolico. Alcuni hanno rilevato come la stessa presenza del boia israeliano in un consesso internazionale fosse uno schiaffo verso la Corte Internazionale di Giustizia (organismo della stessa ONU) che imputa il governo israeliano di condotta genocida e ne raccomanda l’invio a processo.
Ma che la giustizia internazionale non potesse prevalere sull’organismo politico era scontato, nessuna persona che faccia uso di realismo poteva dubitarne.
- Details
- Hits: 229
Palestinesi schiavi moderni: espropriati e resi vagabondi
di Emiliano Brancaccio
Pax trumpiana. La ricostruzione della striscia annunciata da Trump riflette i progetti di Jared Kushner e sodali: attirare capitali da Israele, dagli Stati uniti e anche dai paesi arabi amici per riempire l’area di immobili di pregio, casinò e resort di lusso
Ricordiamo bene la disturbante clip satirica, creata con l’intelligenza artificiale, di Gaza trasformata in una riviera per ricchi villani. Trump e Netanyahu venivano raffigurati in costume, radiosamente stravaccati a bere Tequila sunrise a bordo piscina, in mezzo ai grattacieli. Il filmato fece scalpore perché Trump decise di rilanciarlo sui suoi social. Ebbene, nell’annunciare il piano di pace per la Palestina i due si sono presentati in giacca e cravatta e non hanno brindato, almeno non in pubblico. Eppure, tutto il resto sembrava una perfetta evocazione di quel video mostruoso.
Con la tipica solennità dell’immobiliarista, Trump ha presentato il cosiddetto «consiglio di pace», che egli stesso presiederà. Una istituzione definita «tecnocratica», incaricata di creare uno «sviluppo economico che fornirà un numero illimitato di posti di lavoro e abitazioni per le persone della zona». Di buon auspicio, ma con una piccola ambiguità. Cosa intende con «persone della zona»?
Il caso di Gaza, a questo riguardo, è emblematico. La ricostruzione della striscia annunciata da Trump riflette i progetti di Jared Kushner e sodali: attirare capitali da Israele, dagli Stati uniti e anche dai paesi arabi amici per riempire l’area di immobili di pregio, casinò e resort di lusso.
- Details
- Hits: 180
Al mio popolo
di Assata Shakur
Lo scorso 25 settembre è deceduta a Cuba Assata Shakur, importante membro delle Pantere Nere prima, della Black Liberation Army poi. La ricordiamo con un testo già pubblicato in Black Fire. Storia e teoria del proletariato nero negli Stati Uniti (DeriveApprodi, 2020; a cura di Anna Curcio), la trascrizione di un messaggio registrato mentre era in carcere
Fratelli neri, sorelle nere, voglio che sappiate che vi amo e spero che da qualche parte nei vostri cuori abbiate amore per me. Mi chiamo Assata Shakur (nome da schiava Joanne Chesimard), e sono una rivoluzionaria. Una rivoluzionaria nera. Con questo voglio dire che ho dichiarato guerra a tutte le forze che hanno violentato le nostre donne, castrato i nostri uomini e tenuto i nostri bambini a pancia vuota. Ho dichiarato guerra ai ricchi che prosperano sulla nostra povertà, ai politici che ci mentono con facce sorridenti, e a tutti i robot senza cervello e senza cuore che proteggono loro e le loro proprietà.
Sono una rivoluzionaria nera e, come tale, sono vittima di tutta l’ira, l’odio e la calunnia di cui l’America è capace.
Come tutti gli altri rivoluzionari neri, l’America sta cercando di linciarmi. Sono una rivoluzionaria nera, e per questo sono stata accusata e di ogni presunto crimine a cui si ritiene abbia partecipato una donna.
- Details
- Hits: 202
Le violazioni di Israele coperte dagli Stati
di Micaela Frulli
Ogni analisi relativa alla Global Sumud Flottiglia (Gsf) deve partire dalla situazione giuridica delle acque in cui le imbarcazioni che la compongono stanno navigando. Si trovano in acque internazionali, dove il diritto internazionale non consente a Israele né a nessun altro Stato di intercettarle: vige la libertà di navigazione ai sensi dell’art. 87 della Convenzione Onu sul diritto del mare (Cdm), che ha codificato una consuetudine preesistente e vigente anche per gli Stati che non sono parti della Cdm, come Israele. Il diritto considera il mare internazionale come uno spazio comune utilizzabile esclusivamente a scopi pacifici e che non può essere sottoposto alla sovranità di alcuno Stato (artt. 88 e 89 della Cdm). Obiettivo della Gsf è raggiungere le acque antistanti Gaza, che non possono in alcun modo essere considerate acque territoriali israeliane. Israele non ha titolo di sovranità su di esse, come non ne ha sul territorio di Gaza e sullo spazio aereo e mantiene su tali spazi un’occupazione che la Corte internazionale di giustizia (Cig) ha definito illegale a tutti gli effetti. Solo la Palestina ha diritti sovrani al largo della Striscia, in base all’art. 2 della Cdm, cui ha aderito nel 2015, notificando l’estensione del proprio mare territoriale fino a 12 miglia nautiche dalla costa, come previsto dal trattato. Sul mare territoriale vige il diritto di passaggio inoffensivo delle navi che non recano pregiudizio al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero.
- Details
- Hits: 196
Il 3 ottobre sciopero generale, blocchiamo tutto di nuovo!
di Rete dei Comunisti
Governo Meloni complice, rompere con lo Stato d’Israele
Dopo il clamoroso sciopero generale del 22 settembre, il movimento di classe e di solidarietà con la Palestina è chiamato di nuovo a fare tutto il possibile per sostenere la causa del popolo palestinese e forzare la rottura di ogni rapporto politico, diplomatico ed economico con lo Stato terroriste d’Israele.
Il rinnovato protagonismo della classe operaia spinge il Paese intero a battere un altro colpo contro le complicità delle istituzioni e delle imprese italiane col genocidio in corso a Gaza e l’occupazione coloniale della Palestina.
Il governo Meloni e il presidente Mattarella sono pienamente corresponsabili della barbarie sionista, continuando a offrire sostegno a tutti i livelli allo Stato d’Israele insieme a tutto l’Occidente collettivo.
Il blocco in acque internazionali della Global Sumud Flotilla e dei suoi attivisti, tra cui anche “cittadini italiani”, è solo l’ultimo atto criminale del regime sionista coperto dal governo, come già accaduto nei mesi scorsi nel nostro Paese.
Dopo aver trasformato l’Italia in una grande piazza Gaza, le lotte operaie, studentesche, sociali, femminili e ambientaliste venerdì 3 ottobre sono chiamate di nuovo a riunirsi e a riconoscersi in un blocco sociale reale in grado di fermare tutto il Paese e a rinnovare la sfiducia operaia e popolare al governo Meloni.
- Details
- Hits: 267
Tra Est e Ovest, Fratellanze e generali
Egitto, Turchia, Qatar, tre incognite del M.O.
di Fulvio Grimaldi
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-fulvio_grimaldi__tra_est_e_ovest_fratellanze_e_generali_egitto_turchia_qatar_chi_sono_che_fanno/58662_62820/
In una stagione estiva più tumultuosa del solito, tra i sette fronti aggrediti da Israele, la soluzione finale decisa per Gaza e applicata alla Cisgiordania, l’epidemia di False Flag che l’Occidente allestisce per accreditare riarmo e guerra, lo sgretolarsi di ogni diritto internazionale, umano e democratico in Occidente, l’episodio più intricato e ricco di variabili analitiche è stato l’attacco israeliano al Qatar. Non solo. I colpi forti sono due, quasi in contemporanea. E hanno risuonato per il mondo. Trovandosi perfino in assonanza. Trattasi del colpaccio inflitto al Qatar con quei bombardamenti sul compare e socio d’affari e di quell’altro colpo, l’uccisione di Charlie Kirk, polena della nave ammiraglia a stelle e strisce mentre solca gli oceani e spazza all’impazzata chi si ritrova sulla rotta.
Tutto appare chiaro come l’inchiostro. Israele, per far fuori coloro che con Trump e Qatar, alleati nel destino di classe e di profitto, minacciano di mettergli i bastoni tra le gambe accettando di restituire prigionieri in cambio di tregua, bombarda il pluridecennale confidente arabo. Che non ha ancora visitato il postribolo “Abramo”, ma ne va bussando alla porta. Tanto più che quella tregua è invocata H 24 dagli elettori israeliani, che la sanno legata alla ipotesi detestata da Netanyahu: il rilascio dei coloni fatti prigionieri, detti “ostaggi”.
Con l’assassinio (mancato) dei leader di Hamas, unico autentico giocatore avversario sul campo, a dispetto di quelli (ANP, Abu Mazen, arabi vari) che USA-Sion insistono a mettere sul proscenio, si era puntato a rimettere lo schiacciasassi IFD sul percorso della obliterazione definitiva della questione Palestina. E Charlie Kirk, questa specie di papa della chiesa del fanatismo fascio-bigotto-reazionario, cosa c’entra?
Tra Doha e Orem, Utah
C’entra, se si considera cosa rappresentano l’operazione israeliana sul Qatar e le ricadute che accanitamente si vogliono trarre dal “martirio” di Kirk: In entrambi i casi si sono fatti passi da gigante verso l’abolizione di ogni tipo di regolamentazione dei rapporti fra persone e Stati.
- Details
- Hits: 256
La Tecno-archía - ovvero la Nave dei folli
di Lelio Demichelis
Di Lelio Demichelis è da poco uscito un nuovo saggio di critica radicale dei sistemi tecnici e del capitalismo, della modernità industriale e della sua volontà di onnipotenza che produce nichilismo ed ecocidio - saggio che ha per titolo: Tecno-archía o la Nave dei folli. La banalità digitale del male, pubblicato da DeriveApprodi (p. 294, € 23,00). E se la critica alla modernità non è ovviamente cosa nuova, nuovo è dire che la modernità è diventata una archía, un potere archico – e quindi in conflitto ontologico e teleologico con libertà, democrazia, società e biosfera. Da cui si può/deve uscire quindi solo con un pensiero anti-archico/an-archico (ma in un senso diverso dall'anarchismo classico) e cioè demo-cratico. Ovvero non basta uscire dal capitalismo (ammesso che qualcuno lo pensi ancora...) e dai sistemi tecnici integra(n)ti e totalizzanti se a monte non si esce da ciò che li predetermina. Appunto la tecno-archía.
Per gentile concessione dell’Editore ne pubblichiamo alcuni estratti, presi dall’Introduzione e dall’ultimo capitolo dedicato alla sinistra.
* * * *
L’era della tecno-archía – e dei suoi tecno-oligarchi – sembra essere iniziata il 20 gennaio 2025, ma è il nome che qui diamo alla modernità/iper-modernità come combinazione di calcolo, rivoluzione scientifica e industriale; di capitalismo e di sistema tecnico; di positivismo e pragmatismo; e poi di complesso militare-industriale-scientifico; di illibertà mascherata da libertà; di ingiustizia e disuguaglianza come scelta politica; di finzioni di democrazia e di governo reale del mondo da parte di imprenditori autocratici e del capitale; di ecocidio compulsivo; di razionalità strumentale/calcolante-industriale che ha prodotto l’eclisse della ragione (richiamando Max Horkheimer).
- Details
- Hits: 228
“La responsabilità non è dell’occupante, ma dell’occupato”
di Rami Abu Jamous
Rami Abu Jamous scrive il suo diario per Orient XXI. Giornalista fondatore di GazaPress, un’agenzia di stampa che forniva aiuto e traduzioni ai giornalisti occidentali, Rami ha dovuto lasciare il suo appartamento a Gaza con la moglie e il figlio Walid di due anni e mezzo. Rifugiatisi a Rafah, la famiglia è stata poi costretta a un nuovo esilio prima a Deir al-Balah, poi a Nuseirat, bloccata come tante famiglie in questa enclave miserabile e sovraffollata. Un mese e mezzo dopo l’annuncio del cessate il fuoco, Rami è finalmente tornato a casa con la moglie, Walid e il figlio appena nato, Ramzi. Per il suo Diario da Gaza, Rami ha ricevuto tre importanti riconoscimenti al premio Bayeux per i corrispondenti di guerra. Questo spazio gli è dedicato dal 28 febbraio 2024.
* * * *
Giovedì 4 settembre 2025.
Qualche giorno fa, ho ricevuto una telefonata da un’amica che vive in Francia:
— Rami, a quanto pare, questa volta la situazione è grave. Gli israeliani occuperanno l’intera Striscia di Gaza e deporteranno tutta la popolazione. Il piano è già pronto e verrà realizzato. Non è meglio per te cercare di evacuare?
— Perché dovrei andarmene?
- Details
- Hits: 241
Gaza e la cronaca dell’inadeguatezza borghese
di Pasquale Liguori
Ci sono articoli che, senza volerlo, finiscono per dire molto più sulla società che li produce che sull’evento che raccontano. L’articolo “Pensieri in marcia per Gaza. Tra rabbia e scollamento” di Giulia Pilotti su Domani, in cui narra la sua partecipazione al corteo milanese per Gaza, non è tanto un’analisi politica quanto un diario di coscienza. Eppure, ha un merito: quello di dichiarare con un candore quasi disarmante tutto ciò che solitamente viene nascosto dietro la retorica della piazza e del presunto “movimento nascente”.
L’incipit è già rivelatore: “Lunedì scorso, sotto una pioggia da monsone thailandese, ho portato mio figlio all’asilo per poi unirmi al corteo… A dirla tutta, prima sono andata a fare colazione in pasticceria, per rispondere alla domanda di Gassman ne La terrazza: a che ora è la rivoluzione? E come si viene, già mangiati?”. Non c’è riconoscimento dell’urgenza storica, né riferimento al genocidio, peraltro mai nominato nel testo. Gaza non entra in scena come ferita viva, ma come sfondo lontano. Milano è il teatro e, soprattutto, il centro resta l’io narrante, impegnato a registrare le proprie tappe quotidiane prima della marcia. È la riduzione della tragedia a cornice esistenziale, la politica come intermezzo nella routine, e già qui si delinea l’orizzonte di un gesto che non trascende l’autonarrazione.
Tra un passo e l’altro, la colonna sonora del corteo evoca ancora una volta la dimensione privata più che quella pubblica:
- Details
- Hits: 149
Appunti sulla giornata di lotta del 22 settembre
di Cosimo Scarinzi
Sulla giornata di mobilitazione del 22 settembre 2025 contro il genocidio a Gaza riportiamo queste riflessioni di Cosimo
Ritengo si debba partire da un dato quantitativo, più di 80 manifestazioni, alcune con decine di migliaia di partecipanti, altre con migliaia portano a una presenza in piazza in occasione dello sciopero di lunedì 22 settembre di centinaia di migliaia di persone.
Un dato ancora più significativo se si tiene conto del fatto che lo sciopero e l’assieme delle mobilitazioni sono stati costruiti in pochi giorni, che la CGIL ha organizzato come controfuoco uno sciopero e una serie di manifestazioni su temi simili per venerdì 19.
Un dato che ci dice che lo sciopero ha coinvolto sui posti di lavoro molte/i lavoratrici e lavoratori che non hanno come riferimento sindacale il sindacalismo di base e che sono venuti in piazza anche lavoratori autonomi, insomma che si è andati ben oltre il mondo del sindacalismo di base e della sinistra radicale.
Questo senza, ovviamente, sottovalutare una robusta presenza di studentesse e studenti per i quali il 22 settembre non era, dal punto di vista della conduzione immediata, significativamente diverso dalle molte manifestazioni sugli stessi temi che si sono tenute negli ultimi mesi. Sarebbe anzi oggetto di un’interessante inchiesta militante la comprensione che gli studenti hanno della differenza fra sciopero delle lavoratrici e lavoratori e manifestazione.
- Details
- Hits: 144
Cinquanta gusci di noce
di Marco Bersani
Il blocco delle barche della Flotilla, avvenuto manu militari da parte dell’esercito israeliano nella notte, costituisce un crimine di guerra. Non così tragico -speriamo- come quelli che quotidianamente avvengono a Gaza (anche oggi all’alba oltre 70 morti), ma identico dal punto di vista giuridico internazionale: Israele ha assaltato in acque internazionali una flotta di navi disarmate con persone provenienti da 44 Paesi che portavano con sé cibo e medicinali.
Un crimine contro il quale ogni governo democratico dovrebbe ribellarsi con forza e determinazione.
Non è il caso dell’Italia, dove i massimi esponenti di governo fanno a gara a chi si comporta in maniera più indegna.
Partiamo dalla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che dopo aver dato il via libera ideologico a Israele (“Quelli della Flotilla sono irresponsabili”) e dopo aver fatto dichiarazioni deliranti (“Stanno mettendo a rischio il piano di pace del mio amico Donald”) da oltre 24 ore è muta come un pesce. Evidentemente attonita nel constatare come le piazze del paese si sono spontaneamente riempite già nella serata di ieri, pronte a esondare oggi, a bloccare tutto domani e a convergere sabato per la Palestina.
Quasi incredibile il Ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che è riuscito nel corso dell’intera serata e su tutti i canali a fare il telecronista del crimine di guerra: “Ecco, vedete li fermano…ma è un blocco, non un assalto..ora li porteranno sulla nave militare, poi li porteranno ad Ashkelon, poi li espelleranno”.
Page 1 of 612