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La sanguinosa battaglia di Genova
Nick Davies*
Traduciamo e pubblichiamo un articolo apparso sul quotidiano britannico The Guardian il 17 luglio a proposito delle sentenze sui processi per i fatti del G8 del 2001. L'articolo è di Nick Davies. Che cerca di trarre da Genova una lezione per tutte le cosiddette democrazie.
Era poco prima di mezzanotte quando il primo agente di polizia colpì Mark Covell con una manganellata sul braccio sinistro. Covell fece del suo meglio per gridare, in italiano, di essere un giornalista, ma in pochi secondi si trovò circondato da agenti in tenuta antisommossa che lo colpivano con i manganelli. Per qualche secondo, è riuscito a rimanere in piedi, fino a quando un colpo sul ginocchio non lo ha gettato sul pavimento. A faccia in giù nell’oscurità, escoriato e spaventato, si rendeva conto di avere agenti tutt’intorno, che si stavano ammassando per attaccare gli edfici delle scuole Diaz e Pertini, dove 93 manifestanti si erano accampati per passare la notte. La speranza di Covell era che gli agenti passassero attraverso la catena che chiudeva il cancello principale senza più occuparsi di lui. Se fosse andata così, avrebbe potuto alzarsi e correre oltre la strada, per cercare riparo nel centro di Indymedia, dove aveva passato gli ultimi tre giorni a scrivere sul summit del G8 e sulla violenta gestione dell’ordine pubblico. In quel momento, un funzionario di polizia si è lanciato su di lui e gli ha dato un calcio al petto talmente forte da comprimere verso l’interno l’intera parte sinistra della sua gabbia toracica e rompendogli una mezza dozzina di costole, i cui detriti hanno perforato la pleura. Covell, un metro e sessanta, è stato letteralmente sollevato dal pavimento e sbalzato in strada dal calcio. Ha sentito il poliziotto ridere mentre un pensiero si formava nella sua testa: «Non me la caverò».
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Il capitalismo dei disastri: uno stato di estorsione
di Naomi Klein
Quando il petrolio ha superato i 140$ a barile, anche i più rabbiosi e conservatori ospiti dei media hanno dovuto provare il loro credo populista riservando una parte del loro show per colpire il Grande Petrolio. Qualcuno è pure andato oltre invitandomi a partecipare ad una amichevole chiacchierata riguardo un nuovo e insidioso fenomeno: il capitalismo dei disastri. Solitamente va bene, fino a prova contraria.
Per esempio il conduttore radiofonico Jerry Doyle, un “conservatore indipendente”, ed io stavamo chiacchierando amabilmente sulle squallide compagnie assicurative e sui politici inetti quando successe questo: “Credo di conoscere un modo rapido per abbattere i prezzi”, annunciò Doyle. “Abbiamo investito 650 miliardi di dollari per liberare un paese di 25 milioni di persone. Potremmo chiedere a loro di fornirci il petrolio.
Ci sarebbero autobotti su autobotti che si raggruppano nel Lincoln Tunnel, il puzzolente Lincoln Tunnel, all’ora di punta con biglietti di ringraziamento
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Nella terra di nessuno
Marco Revelli
«Ma col passare degli anni, non senza crescente stupore, mi sono accorto di soffrire di un'afflizione rimossa e sgradevole, un male che si dichiara in queste pagine, sia pure velatamente, a partire da una certa data: l'incapacità, o l'impossibilità, di sentirmi un cittadino del mio paese». Sono le parole con cui Cesare Garboli apriva la sua raccolta di Ricordi tristi e civili, nel gennaio del 2001, come ha ricordato, due giorni or sono, sulla piazza di Empoli, Adriano Prosperi in uno splendido ricordo dell'amico troppo presto scomparso.
Esprimono un sentimento privato. La caduta di una speranza. La coscienza di un'impotenza e di una solitudine tra tanta folla e brusio.
Ma anche un atteggiamento collettivo. La coscienza di un pezzo d'Italia che vive da esule la propria cittadinanza. E che con cadenze ricorrenti, ma inesorabili, misura di volta in volta la propria estraneità rispetto al proprio paese. Per Garboli, i primi sintomi di quella malattia della coscienza di luogo
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Prove d'opposizione
Rossana Rossanda
Finalmente un segnale inequivocabile di opposizione: è venuto dalle diverse fondazioni, che hanno raccolto lunedì scorso a Roma una folla di giuristi e costituzionalisti per dieci fitte ore di lavoro. Tenessero al centro, raccomandava Giuliano Amato ai politici che conludevano la giornata, il tema bruciante della deriva presidenzialista più che la legge elettorale. E se non tutti ne hanno seguito il suggerimento, il risultato è stato chiaro: non un pezzo del Parlamento ma un pezzo del paese ha messo alle verità berlusconiane dei paletti assai fermi.
I primi, e non solo a partire dal 14 aprile. Per esempio, anche ammesso che si diano più poteri al premier, devono essere bilanciati da più poteri delle Camere, oggi quasi esautorate; fra le conseguenze, via i premi di maggioranza. Oppure, si ciancia di variare la Costituzione? Va alzata la barriera posta dall'art. 138. E poi, più che parlare contro la politica, vanno date regole interne precise e verificabili ai partiti e al loro finanziamento, art. 49. E poi ancora, bisogna riflettere su sistemi elettivi troppo diversi (da comuni a regioni a camere), dare minore manovrabilità ai referendum. Infine è uscita la proposta di una legge elettorale «alla tedesca» che, più o meno d'obbligo per le europee del 2009, implichi uno sbarramento non superiore al 3%. E non solo. Quale legittimità ha la decretazione d'urgenza oggi in voga? Quale senso ha il corpaccio della finanziaria?
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Grundrisse, la profezia incompresa
di Marcello Musto
Così come accade di nuovo 150 anni dopo, con la crisi dei mutui subprime , nel 1857, gli Stati Uniti furono teatro dello scoppio di una grande crisi economica internazionale, la prima della storia. Tale avvenimento generò grande entusiasmo in uno dei suoi più attenti osservatori: Karl Marx.
Dopo il 1848, infatti, Marx aveva ripetutamente sostenuto che una nuova rivoluzione sarebbe avvenuta soltanto in seguito a una crisi e, quando questa giunse, si decise a riassumere, nonostante la miseria e i problemi di salute che lo attanagliavano, gli intensi studi condotti dal 1850 presso il British Museum di Londra e a dedicarsi nuovamente alla sua opera di critica dell'economia politica. Risultato di questo lavoro, compiuto tra l'agosto 1857 e il maggio 1858, furono otto voluminosi quaderni: i Grundrisse , ovvero la prima bozza de Il capitale.
Dopo questa data, essi giacquero tra le tante carte incompiute di Marx ed è probabile che non siano stati letti neppure dallo stesso Friedrich Engels. In seguito alla morte di quest'ultimo, i manoscritti inediti di Marx vennero custoditi nell'archivio dello Spd, ma furono trattati con grande negligenza. L'unico brano dei Grundrisse dato alle stampe durante
quel periodo fu l'Introduzione, pubblicata nel 1903 da Karl Kautsky. Essa suscitò un notevole interesse (costituiva, infatti, il più dettagliato pronunciamento mai compiuto da Marx sulle questioni metodologiche), fu rapidamente tradotta in molte lingue e divenne, poi, uno degli scritti più commentati dell'intera sua opera.
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Dalla crisi dei mutui un duopolio Euro-Dollaro?
Domenico Moro
E' probabile che una parte almeno delle élite europee mirino a questo obiettivo, contando, oltre che sulla perdurante crisi finanziaria e monetaria degli Usa, anche sulle difficoltà incontrate dagli statunitensi a gestire unilateralmente i vari fronti di guerra
Chissà cosa direbbe oggi Connolly, il segretario Usa al Tesoro che nel '71 affermò, rivolto agli europei: "il dollaro è la mia moneta, ma il vostro problema." Il recente rialzo del tasso di interesse di un quarto di punto al 4,25%, deciso il 3 luglio dalla Banca centrale europea, avrebbe potuto portare l'ennesimo colpo al dollaro, che dallo scoppio della bolla dei subprime non ha cessato di perdere posizioni di fronte all'euro. Del resto, anche il 2 luglio, alla notizia della contrazione dell'occupazione Usa ai massimi dal 2 novembre 2002, il dollaro era nuovamente scivolato rispetto all'euro. Ma, la dichiarazione del presidente della Banca centrale europea, Trichet, secondo cui l'ultimo aumento non avrebbe significato l'apertura di un nuovo ciclo di rialzi dei tassi d'interesse ha, per ora, scongiurato il pericolo di ulteriori smottamenti.
Non bisogna, però, scordare che la crisi, definita come finanziaria ma che probabilmente sarebbe più corretto chiamare monetaria, affonda le sue radici nella grave decadenza dell'economia reale Usa, che soffre, a partire dagli anni '60, delle conseguenze di una perdurante sovrapproduzione di capitale. Al proposito, solo un esempio: la GM, un tempo leader automobilistico mondiale, rischia ora la bancarotta, ed il valore delle sue azioni a Wall Street è crollato del 15%. Insieme, i due colossi di Detroit, GM e Ford, hanno oggi una capitalizzazione di Borsa di 10 miliardi, mentre la "piccola" Fiat da sola vale quasi 13 miliardi.
Negli ultimi anni, la speculazione ha sempre di più sostituito nella accumulazione dei profitti una struttura produttiva sempre più ristretta, col risultato di creare una serie di bolle, che, scoppiando, riproponevano la crisi, solo su una base sempre più larga. Il meccanismo speculativo è stato determinato dal mantenimento da parte della Banca centrale Usa (Fed) di un costo del denaro eccezionalmente basso e dal fatto che il dollaro, ricoprendo la funzione di moneta mondiale, ha permesso agli Usa di farsi finanziare debito statale ed estero dal resto del mondo. Negli anni si è così creata una situazione mondiale di grave squilibrio, con il debito mondiale concentrato negli Usa, ridottisi a maggiore debitori mondiali, ed il credito, invece, concentrato nei principali paesi esportatori di petrolio e nei paesi dell'Estremo Oriente esportatori di manufatti.
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Career opportunities
Dal lavoro sans phrase alla flessibilità
di Augusto Illuminati
L’Introduzione del 1857 ai Grundrisse, senza esaurire la metodologia marxiana e la dibattuta questione dei rapporti fra Grundrisse e Capitale, ha offerto una sponda a notori dibattiti. La riapertura del discorso si giustifica solo introducendo nuovi termini valutativi, quali la rilevanza postfordista del lavoro intermittente e l’esigenza di una traducibilità reciproca dei vari livelli di scontro in cui si è frammentata la lotta di classe.
Sembra corretto cominciare con il reale e il concreto, con l’effettivo presupposto; quindi, per es., nell’economia, con la popolazione, che è la base e il soggetto dell’intero atto sociale di produzione. Ma, a un più attento esame, ciò si rivela falso .
La popolazione è un’astrazione se si trascurano le classi, di cui si compone e che, a loro volta, sono una vuota espressione a prescindere dagli elementi su cui si basano (lavoro salariato, capitale, scambio, divisione del lavoro, prezzi, ecc. Chiariti i quali si può tornare alla popolazione, ma stavolta non come rappresentazione caotica di un Tutto, piuttosto come una totalità ricca di molte determinazioni e rapporti. Fin qui è buon senso metodologico, contro economisti e sociologi pasticcioni. Da questo punto in poi le cose si fanno più complicate.
Ma queste categorie semplici non hanno anche un’esistenza storica e naturale indipendente, prima delle categorie più concrete? Ça dépend.
L’avvio della terza sezione dell’Introduzione del 1857 pone il concreto quale sintesi di molte determinazioni, unità del molteplice, risultato e non punto di partenza, se non per l’intuizione e la rappresentazione. Il processo logico e quello storico si differenziano non obbligatoriamente come in Della Volpe in modo biunivoco e speculare, che (a parte lo schiacciamento della conoscenza sul reale) troppo accentuerebbe nel risultato il momento della genesi e del divenire, piuttosto nel senso che la gerarchia dei concetti nella loro combinazione pone la definizione di ogni concetto in funzione del suo posto nel sistema e altresì l’ordine diacronico della loro apparizione nel discorso della dimostrazione.
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Ottimismo della ragione?
di Perry Anderson
Almeno quattro letture dei tempi tra loro alternative – e ce ne potrebbero essere di più – offrono delle diagnosi sulle direzioni in cui il mondo si sta muovendo, e sono sostanzialmente ottimistiche. Tre di queste risalgono al periodo tra i primi e la metà degli anni novanta, ma sono state sviluppate ulteriormente dopo l’11 settembre. La più nota è, senza dubbio, la prospettiva che si può ritrovare in Impero di Negri ed Hardt, al quale tutte le altre tre fanno riferimento in maniera allo stesso tempo positiva e critica. Le facce del nazionalismo e l’imminente Nazioni globali di Tom Nairn fissano una seconda prospettiva, mentre una terza è costituita da Il lungo ventesimo secolo e da Adam Smith a Pechino di Giovanni Arrighi. I saggi recenti di Malcom Bull, culminati in ‘Stati di fallimento’, ne propongono una quarta. Ogni riflessione sul periodo attuale deve per forza prendere sul serio quelle che superficialmente potrebbero apparire delle letture contro-intuitive dei tempi.
I
La tesi di Tom Nairn dice più o meno così: il Marxismo è stato sempre basato su una distorsione del pensiero dello stesso Marx, che si era formato nelle lotte democratiche della Renania negli anni attorno al 1840. Per cui, mentre Marx assumeva che il socialismo sarebbe stato possibile nel lungo periodo, solamente quando il capitalismo avesse terminato la sua opera, quella di porre in essere un mercato mondiale, l’impazienza sia delle masse che degli intellettuali ha portato alle fatali scorciatoie intraprese da Lenin e Mao, sostituendo alla democrazia e alla crescita economica il potere statale.
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Retoriche del disumano
Marco Revelli
Dunque, le cose stanno così.
C'è un piccolo numero di persone, quelle che stanno in alto, più in alto di tutti, dichiarate per legge al di sopra di ogni giudizio. Investite, in quanto tali, per ciò che sono non per ciò che possono aver fatto, del privilegio dell'impunità. E ce ne sono altre, più numerose, ma razzialmente delimitate, separate dai buoni cittadini da un confine etnico - quelle che stanno in basso, più in basso di tutti, considerate invece, per legge, in quanto tali, per ciò che sono, non per ciò che possono aver fatto, colpevoli. Almeno potenzialmente. Pre-giudicate.
Alle prime non si guarderà mai in tasca, anche se fossero colte, per un accesso di cleptomania, in furto flagrante; alle seconde si prendono fin da bambini le impronte digitali, le si fotografano, perquisiscono, spostano, schedano e controllano senza limiti, come appunto con i delinquenti abituali, o per natura.
Questa è oggi, sotto il profilo giuridico e politico, l'Italia. In un solo consiglio dei ministri i due estremi che definiscono i nuovi confini sociali e morali della costituzione materiale della «terza repubblica» sono stati mostrati a tutti, come in un'istantanea.
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Hannah, Elfride e Martin
Rossana Rossanda
Chi di noi, lettrici e lettori di Hannah Arendt non ha provato un moto di antipatia per Elfride, la moglie di Martin Heidegger, nazista e antisemita, che gli impedì di vivere apertamente la sua passione per la giovane studentessa ebrea, lui così brutto ma affascinante maestro, lei così bella e indifesa che ne beveva le parole? E' lui che l'ha afferrata e baciata durante una passeggiata nel bosco, e mandato subito dopo una lettera di scuse ma ardente. Ne seguiranno altre in una relazione che durerà per qualche anno. Come tutte le lettere d'amore, quelle di Martin non valgono granché se non si è poeti, e ancora. Martin non lo è, anche se si lascia andare a effusioni liriche e talvolta si prova nei versi, mentre le lettere di Hannah sono di un giovane cuore e di una giovane mente alle loro prime passioni. Loro essendo - lei pensa - persone speciali, Hannah accetta di essere l'amante segreta di una commedia borghese, di trovarsi altrove, di nascosto, in qualche città vicina dove egli deve andare per questo o quel seminario, prendendo treni diversi, incontrandosi in alberghi fuori mano. A Friburgo intanto lui suggerisce che lei passi ogni sera alle dieci davanti alla sua casa e se vede accesa la tal finestra, vuol dire che Martin può filarsela per un'ora e lei non ha che da aspettarlo su una certa panchina. Se luce non s'è, pazienza, si vedranno il giorno dopo, o due, o tre. Martin è sposato e ha due figli, non intende mettersi a rischio e Hannah non vuole altro che esserne amata, non è donna che farebbe mai storie, e sa che Elfride è, come tutte le mogli, necessaria, non geniale, esigente, gelosa.
In questa storia tutta la nostra simpatia è per Hannah, unita a una certa compassione per la viltà del genio innamorato, e alla persuasione che Elfride sia la solita megera. Dopo qualche anno però Hannah ne ha abbastanza, rompe senza scene e se ne va. Avrà prima con Guenther Anders, poi con Bluecher una vita coniugale libera, una casa per gli amici. Partirà in tempo per gli Stati Uniti, assisterà da lontano alla compromissione di Heidegger con il Partito nazional socialista, cui si iscrive nel 1933 assieme alla moglie, e poi al suo diventare rettore e al famoso discorso e alle interdizioni agli ebrei fra i quali Husserl che gli aveva dato la cattedra, di frequentare la biblioteca. Poi al suo abbandono dell'incarico, i nazisti sono troppo ignoranti - unico vizio che egli nota - e il dedicarsi a pensare e a scrivere, convinto della sua superiore missione. Per la quale Elfride ha costruito una capanna in alto tra i boschi, dove il filosofo avrà il necessario raccogliemento, oltre alla comodità cui lei provvede.
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Ladri di notizie
di mazzetta
Era il 2003 quando Amnesty International fu accusata di fare “terrorismo” pronosticando cinquantamila morti in seguito all'invasione dell'Iraq. A quel tempo i fautori della guerra sostenevano che si sarebbe trattato di un'operazione relativamente semplice intitolata alla diffusione della democrazia in Medio Oriente. Un milione di morti, dieci milioni di feriti e mutilati e quattro milioni di profughi iracheni dopo, sull'invasione dell'Iraq cala una cappa di silenzio a favorire lo scontato epilogo della più grande operazione criminale del nuovo secolo. Tutto sembra dimenticato ed in Iraq sembra non accada più nulla. Difficile pensare che si tratti di un caso. Cinque anni dopo l'invasione il silenzio sull'Iraq serve alla consumazione del grande furto. Il motivo reale dell'invasione dell'Iraq è il controllo degli approvvigionamenti di idrocarburi nell'area mediorientale, chi ancora lo neghi non può che essere in malafede.
Nelle ultime settimane si sono registrate due significative novità: la completa sparizione dell'Iraq dal mainstream occidentale e l'assegnazione dello sfruttamento delle risorse petrolifere irachene proprio alle compagnie occidentali che furono espropriate da Saddam quando nazionalizzò il petrolio.
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Rifiuti, gli affari dell'inceneritore
Guido Viale
Il trattamento meccanico-biologico dei rifiuti urbani (Mbt) opera sulla frazione talquale che residua da una raccolta differenziata (Rd): separando la parte umida, sfuggita alla raccolta dell'organico, da quella secca (la carta e soprattutto la plastica che non costituisce imballaggio e che non è oggetto di Rd) ed entrambe dal «sottovaglio», frammenti che cadono dai setacci attraverso cui passa il materiale conferito all'impianto. La parte umida viene sottoposta a un processo di stabilizzazione analogo al compostaggio, ma più rapido, e dopo la raffinazione che ne elimina le impurità, produce la frazione organica stabilizzata (Fos) usata per coprire discariche e cave dismesse o per risanare suoli contaminati. Le caratteristiche dei due processi sono uguali: se aumenta la Rd dell'organico, una parte crescente dell'impianto Mbt può essere adibita alla produzione di compost di qualità.
La parte secca, dopo averne sottratto i materiali non combustibili, viene imballata per alimentare gli inceneritori; oppure, addizionata con materiali con maggiore potere calorifico inferiore (Pci), soprattutto pneumatici fuori uso, diventa Cdr, che vuol dire combustibile derivato dai rifiuti, che può in parte sostituire carbone e petrolio in impianti dotati di adeguati filtri delle emissioni (cementifici, centrali termoelettriche, fornaci, impianti siderurgici); oppure può venir gassificato e sostituire il gas naturale in centrali a turbogas; o addirittura venir utilizzato come combustibile nelle navi. L'aumento del prezzo del petrolio ha reso questo combustibile molto attraente. In discarica finisce solo il sottovaglio.
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Convertiti e pervertiti
di Augusto Illuminati
Un altro africano, Agostino, arrivato clandestino in Italia per ragioni familiari, quando si decise, dopo lungo travaglio, alla conversione, non la sfoggiò pubblicamente né tanto meno pretese di aggiungere l'impegnativo nome di Cristiano al momento del battesimo. Durante il soggiorno milanese scrisse il De immortalitate animae, non editoriali ben pagati per il «Corriere della Sera». Vero che, alla fine della sua vita, ci andò giù con mano pesante nei confronti di donatisti e pelagiani, ma in complesso per un lungo tratto fu tollerante e puntò alla persuasione ecclesiale più che alla repressione imperiale. Il nostro Magdi Cristiano, invece, esordì con una sparata anticoranica che imbarazzò l'incauto pontefice-battezzatore e perfino il devoto Giulianone. Proseguì auspicando la demolizione o non-edificazione delle moschee italiche e l'espulsione degli imam e scatenando crociate contro le organizzazioni rappresentative islamiche con cui faticosamente trattavano i vari governi nazionali, insomma applicando al campo musulmano il noto stereotipo dell'ebreo odiatore di se stesso. O più semplicemente del convertito fanatico, di cui anche la politica ci ha offerto memorabili esempi. Ma si tratterebbe ancora di una patologia individuale, per quanto autorevolmente sponsorizzata dal Papa e pubblicizzata sulla stampa, un predicatore fondamentalista come ce ne sono tanti negli Usa e nel mondo islamico.
Quando però il Nostro si applica ai delicati temi dell'immigrazione, non possiamo dimenticare che parla ufficialmente il vice-direttore del «Corriere» (18 giugno 2008) e non più soltanto il born again schiumante risentimento.
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Mormorazioni nel deserto
di Paolo Virno
Il rapporto tra aspetti temibili della natura umana e istituzioni politiche è, senza dubbio, una questione metastorica. Per affrontarla, serve a poco evocare il caleidoscopio delle differenze culturali. Tuttavia, come sempre accade, una questione metastorica guadagna visibilità e pregnanza soltanto in una concreta congiuntura storico-sociale. L’invariante, cioè la congenita (auto)distruttività dell’animale che pensa con le parole, è messo a tema da crisi e conflitti contingenti. Detto altrimenti: il problema dell’aggressività intraspecifica balza in primo piano allorché lo Stato centrale moderno conosce un vistoso declino, costellato però da convulse spinte restaurative e da inquietanti metamorfosi. È nel corso di questo declino, e a causa di esso, che torna a farsi valere in tutta la sua portata antropologica il problema delle istituzioni, del loro ruolo regolativo e stabilizzatore.
Fu lo stesso Carl Schmitt a constatare, con palese amarezza, il tracollo della sovranità statale:
“L’epoca della statualità sta ormai giungendo alla fine […] Lo Stato come modello dell’unità politica, lo Stato come titolare del più straordinario di tutti i monopoli, cioè del monopolio della decisione politica, sta per essere detronizzato”.
Lo sgretolamento del “monopolio della decisione politica” deriva tanto dalla natura dell’attuale processo produttivo (basato sul sapere astratto e la comunicazione linguistica), quanto dalle lotte sociali degli anni Sessanta-Settanta e dal successivo proliferare di forme di vita refrattarie a un “patto preliminare di obbedienza”. Non importa, qui, soffermarsi su queste cause o ventilarne altre eventuali. Ciò che conta sono piuttosto gli interrogativi che campeggiano nella nuova situazione. Quali istituzioni politiche al di fuori dell’apparato statale? Come tenere a freno l’instabilità e la pericolosità dell’animale umano, là dove non si può più contare su una “coazione a ripetere” nell’applicazione delle regole di volta in volta vigenti? In che modo l’eccesso pulsionale e l’apertura al mondo che caratterizzano la nostra specie possono fungere da antidoto politico ai veleni che essi stessi secernono?
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Quel che entra in gioco quando scegliamo
Felice Cimatti
Immaginiamo una situazione futuribile, ma in realtà già praticabile: un uomo deve decidere se agire in un modo anziché in un altro e le due scelte sono fra loro incompatibili, anzi comportano conseguenze drasticamente diverse. L'uomo non sa decidersi, esita. A questo punto gli viene applicato intorno al cranio un potente macchinario, in grado di registrare l'attività metabolica del suo cervello. Ora il nostro uomo può vedere su un monitor quali aree del cervello si attivano, e con quale intensità, quando riflette alle due alternative fra le quali può scegliere. Pensa all'alternativa A e contemporaneamente vede accendersi, in particolare, due aree cerebrali; pensa all'alternativa B e si accendono quattro aree cerebrali. L'alternativa B sembra coinvolgere un maggior numero di aree cerebrali, perché, così pensa il nostro uomo (dopo aver spento il monitor), forse è quella che ha conseguenze più ramificate, e complesse e dunque imprevedibili. Decide allora per l'alternativa A.
Le conoscenze accumulate dalle neuroscienze sul funzionamento del cervello permettono di analizzare in sempre maggiore dettaglio quel che succede al suo interno quando pensiamo, desideriamo, speriamo e, soprattutto, quando siamo impegnati in una scelta. L'esperimento mentale che abbiamo descritto ci porta in un nuovo campo, quello della «neuroetica», un sapere dai confini assai incerti che «si colloca alla frontiera di neuroscienze e filosofia morale, psicologia, sociologia, pedagogia, diritto», come scrive Laura Boella nel suo Neuroetica. La morale prima della morale (Raffaello Cortina, 2008).
A un primo sguardo lo stesso termine «neuroetica» sembra intrinsecamente contraddittorio; se il campo dell'etica investe necessariamente l'atto di scegliere, quello dell'attività cerebrale, invece, ha a che fare con interazioni chimiche, che si verificano per cause esclusivamente fisiche. Detto altrimenti, per comprendere il funzionamento del cervello non abbiamo bisogno della nozione di scelta.
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Europa senza autonomia e dignità
di Tito Pulsinelli
Aumenta il prezzo del petrolio e dei cereali, sprofonda in cantina il dollaro. Di chi è la colpa? All’unisono, la megamacchina mediatica scandisce: è l’egoismo dei Paesi petroliferi che rifiutano di aprire i rubinetti di una risorsa in via di esaurimento. La dinamica è un’altra: crolla il dolaro e vanno alle stelle i prezzi del grano, mais e riso. Perchè?
Solo gli Stati Uniti possono emettere liberamente la quantità di dollari che ritengono preferibile. Al di fuori di ogni controllo, non c’è contropartita in oro, né il retroterra di un’economia ormai vedova di crescita ed espansione, sposa poligama dell’indebitamento interno ed estero.
La speculazione dei “future” è il vero elemento di perversione e di esplosione dei prezzi. Perché? I regolamenti della “Commodity Future Trading Commission” del governo degli Stati Uniti permettono dei contratti sul Nymex anticipando solo il 6% di una fornitura petrolifera. Poi c’è l’indebitamento, si richiede un prestito, e con questo si paga il resto della fattura.
Con il barile a 128 dollari, lo speculatore deve disporre di soli 8 dollari per ogni barile, gli altri 120 li cerca in giro e i consumatori pagano i relativi, onerosi interessi.
Questo potere eccezionale di casta, detto del 16 per 1, fa schizzare inevitabilmente in alto i costi, e rappresenta circa il 60% del prezzo del barile, scaricato interamente sui consumatori.
Finora la Borsa di New York e quella di Londra erano padrone assolute della produzione mondiale degli idrocarburi, perchè pagavano con una moneta che era sganciata da tutto e che – attualmente - si svaluta al ritmo del 30% all’anno.
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Das Kapital, aggiornamenti
Enzo Modugno
Das Kapital, aggiornamenti. Avrebbe potuto essere questo il titolo del libro di Luciano Vasapollo, Trattato di Economia Applicata, cinquecento pagine nel solco della grande tradizione teorica del movimento operaio. Una mappa della complessa dinamica del modo di produzione capitalistico, resa possibile da un esercizio rigoroso della critica dell’economia politica. Gli aspetti nuovi del capitalismo che vengono analizzati sono molti, ma almeno su un paio possiamo qui cominciare a discutere: l’economia militare e l’economia della conoscenza. Sono però due argomenti sui quali si rischia qualche incomprensione con i marxisti più ortodossi. Con più evidenza negli Usa (ma persino a Foggia si producono le ali del nuovo supercaccia Usa F35), la produzione per la difesa è diventata una necessità della dinamica del ciclo di riproduzione di tutta l’economia. Vasapollo lo sostiene in un intero capitolo che nessuno che tratti della guerra può fare a meno di tenere aperto sul tavolo. E se qualcuno volesse obbiettare che le spese militari non consentono al capitale di realizzare il plusvalore, gli si può rispondere che questo potrebbe essere vero per la totalità del mercato mondiale, ma non per la nazione dominante che se ne avvantaggia a spese di quelle dominate.
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Potrebbe non ripetersi?
di Domenico Delli Gatti e Mauro Gallegati
Dopo Northern Rock, Bear Sterns: l’estensione e la profondità della crisi colpisce. Si può comprendere lo sforzo delle autorità di rassicurare gli operatori per non incrinare la fiducia, già vacillante, nei mercati e nelle istituzioni finanziarie. Si capisce un po’ meno lo sforzo profuso da alcuni opinionisti nel cercare di persuadere il pubblico che non c’è nulla di cui preoccuparsi e che qualsiasi forma di intervento è manifestazione di un antico vizio keynesiano. Le cose non stanno così. Potremmo anzi sostenere che tale sforzo appare sospetto e dettato da una premessa – questa sì di tipo ideologico – anti-interventista e anti-regolatoria. Per evidenziarlo partiamo da una considerazione di fondo. L’innovazione finanziaria che ha consentito alle banche – mediante la cartolarizzazione del credito – di condividere il rischio ha accresciuto l’efficienza dei mercati finanziari?
La risposta è sì, nella misura in cui il rischio di credito è stato effettivamente parcellizzato e trasferito ad una platea di investitori consapevoli. Qui ci sono tre problemi. In primo luogo, la cartolarizzazione del credito riduce l’incentivo delle banche al "monitoring" dei debitori. In secondo luogo, talvolta il rischio di credito, cacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra per le banche o istituzioni ad esse riconducibili che hanno riacquistati titoli strutturati come "pacchetti" di mutui. In terzo luogo, in molti casi il rischio è stato nascosto agli investitori. Ciò vale non solo per i debitori di mutui sub-prime – spesso descritti come finanziariamente analfabeti – ma anche per gli operatori più sofisticati. C’è un evidente deficit d’informazione e trasparenza in molte delle operazioni e degli strumenti che sono stati utilizzati nella recente ondata d’innovazione finanziaria.
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Storia alla sbarra
Il sessantotto oltre la memoria dei protagonisti
Luigi Cavallaro
Il quarantennale della rivoluzione mondiale alimenta la pubblicazione di testimonianze sullo spirito del tempo passato. Tuttavia sono opere che non riescono ancora a misurarsi con la distanza necessaria alla ricostruzione storica di quel periodo
Delle somiglianze e dissimiglianze fra il mestiere di giudice e il mestiere di storico hanno scritto in molti, e largo consenso trova ormai la tesi che individua nel ricorso al cosiddetto «paradigma indiziario» (giusta l'espressione di Carlo Ginzburg) il terreno metodologico comune a entrambi: a fini normativi nel caso del giudice, che ricostruisce un fatto sempre e solo allo scopo di imputarne colpe e responsabilità; a fini esplicativi nel caso dello storico, che, secondo Marc Bloch, deve invece «comprendere» ciò che è successo e perché, non certo mettersi a distribuire «elogi o biasimi agli eroi morti».
Ma cosa s'intende per «paradigma indiziario»? Ogni giudice lo sa bene: significa ricostruire un fatto attraverso una serie di indizi, principalmente documenti e testimonianze, filtrati attraverso la logica e le cosiddette massime d'esperienza (come ad esempio le leggi della fisica). Il giudice, infatti, è chiamato a dirimere una controversia che concerne in primo luogo «cosa accadde» e solo dopo «cosa giuridicamente ne consegue». E si tratta di una controversia concernente un fatto di cui egli, prima del processo, non conosce nulla; più esattamente, di un fatto di cui egli non deve conoscere nulla: precise norme di diritto positivo impongono infatti al giudice di attenersi esclusivamente alle prove fornite dalle parti e gli vietano di far ricorso alla cosiddetta «scienza privata», cioè ad una conoscenza dei fatti di causa che egli possa aver attinto aliunde (ad esempio, da un confidente privato o da un articolo di cronaca). Addirittura, gli impongono di astenersi se egli ha conosciuto di quella stessa causa in un altro grado del processo o perfino se «ha dato consiglio» riguardo ad essa in una qualche altra sede.
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Le gru del delirio del cemento armato a Roma
Paolo Berdini
Qualche giorno fa, l'ex assessore all'urbanistica di Roma ha querelato Report di Milena Gabanelli per il servizio sull'urbanistica romana firmato da Paolo Mondani. Nella memoria che accompagna la querela si contesta nel metodo la trasmissione perché affermava di voler parlare del nuovo piano regolatore e ha fatto invece vedere vicende precedenti al 2006, anno di approvazione del nuovo piano. Eppure è lo stesso assessore ad affermare che il nuovo Prg «è stato già attuato al 77%». Nella stessa memoria si citano inoltre come successi cose inesistenti. Si dice che le cubature previste nelle centralità urbane sono state ridotte in modo drastico. Non c'è stato nessun regalo alla rendita fondiaria, dunque. Ma non è vero. Le due più grandi centralità ancora da attuare, Romanina e Madonnetta, nel precedente piano regolatore servivano per costruire un liceo o un ospedale. Il nuovo piano regolatore le ha trasformate da pubbliche a private. Le volumetrie sono state diminuite ma comunque sono state garantite enormi fortune private.
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Quell'integrazione fallita in un'economia globalizzata
Joseph Halevi
Fin dai referendum sul trattato di Maastricht, approvato per un soffio dall'elettorato francese e bocciato da quello danese, la prova delle urne ha messo sistematicamente in crisi l'Europa istituzionale. Le bocciature dei trattati europei sono viste come un attaccamento anacronistico agli stati nazionali mentre, si dice, la globalizzazione li svuota di significato.
La realtà è ben diversa. Sul piano dell'integrazione economica l'Europa è pienamente inserita nel processo mondiale sia sul piano reale che su quello finanziario. La stessa Irlanda ne costituisce un esempio. Nella fase cumulativa gli aiuti da Bruxelles e la detassazione dei capitali hanno trasformato il paese in una base per multinazionali farmaceutiche ed elettroniche proiettate verso il mercato europeo ed oltre.
Oggi, dopo aver raggiunto i più alti livelli dell'Unione europea, Dublino è in fase decrescente, con perdite di aziende verso i paesi dell'est, tra i quali l'altrettanto piccola Estonia emerge come una base offshore dell'elettronica scandinava in diretta contrapposizione all'Irlanda. Nel frattempo poli di avanzata tecnologia globale come Grenoble in Francia si stanno svuotando per le rilocalizzazioni in Cina. È l'integrazione politica che è da tempo fallita in Europa impedendo quindi di affrontare la globalizzazione.
A differenza dell'integrazione economica che, dal Piano Marshall in poi, ha coinvolto l'intera Europa occidentale dalla Norvegia alla Grecia, il cuore dell'integrazione politica si basa su un nocciolo di paesi continentali. In particolare sulla Germania, sulla Francia e sull'Italia.
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Anime nere
di Piergiorgio Giacchè
...dentro l’urne,
è forse il sonno della morte men duro?
Com’era, “O Roma o morte”? Stavolta è andata male. Sarà che Veltroni non è Cavour e che Rutelli non è Garibaldi. Sarà che a sinistra non si ode da tempo nessuno squillo di tromba. Sarà che l’assalto dei nostri Prodi è andato come è andato… Ma ormai non si può più sparare sulla croce bianca e la bandiera rossa. Ci hanno fatti neri, e non è più questione di camicia ma di anima.
Dire “lo sapevamo” davvero non si può, perché in realtà lo sapevano tutti. Non c’è nel corpo elettorale nessuno, votante o astenuto, che non lo sapesse. Da noi si vota o non si vota con la stessa identica consapevolezza: vince chi ha già vinto e comanda chi già comanda. E non vuol dire che la gente sia scoraggiata, ma invece proprio su questa certezza si basa e si incoraggia perfino l’indecisione elettorale. Chi non vota non lo fa per protesta ma per carattere: si tratta soltanto di farsi gli affari propri in latitanza invece che mettendosi in evidenza.
Nessuno più si astiene per mandare un messaggio diverso, per dichiarare la sua disaffezione o la sua disillusione. Da tempo, da noi, nessun elettore si può dire affezionato e nessuno si è mai ragionevolmente illuso.
Tutti dunque sapevano come sarebbe andata a finire, perché era già finita, con tanto di risultati scontati prima della conta. E non si sta parlando dei sondaggi ma dell’assenza di miraggi (già prospettive o addirittura utopie) che caratterizza il mercato e lo spettacolo della politica.
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Sassolini nelle scarpe
Rossana Rossanda
Scusate, ma mi devo togliere qualche sassolino dalla scarpa. Se no svengo.
1. Non ne posso più di inciampare ogni momento nella «contraddizione principale». Quale è, dove è, non è più quella di una volta. Sembra che non si possa aprir bocca, specie a sinistra, senza negarne una o indicarne un'altra. Cominciamo con l'intenderci.
Contraddizione non mi piace. E' contraddizione quando una parte nega l'altra. «Lei mi sembra matto, lei mi sembra sanissimo di mente» «Il sole gira intorno alla terra, è la terra che gira intorno al sole» sono contraddizioni. Ma nella discussione corrente, si accusa la sinistra di derivazione operaia di aver definito « contraddizione principale» quella fra capitale e lavoro. Temo che sia stato proprio così. Ma non vuol dire che fosse vero. Vero nel senso proprio di contraddizione: che si dà o l'uno o l'altro. E non è un esecizio di vocabolario. E' il capitale a produrre il salariato, il quale prima non esisteva. C'era il singolo che faceva la tal cosa per un altro e ne era retribuito, ma non era un salariato. Il vecchio Marx arriva a scrivere con provocatorio buon senso che un operaio solo non esiste, esiste assieme alla manodopera a lui simile messa all'opera per produrre, e produce non per l'uso suo né per quello del padrone, ma per l'accumulazione del capitale.
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L'America di Barack Obama
Rita di Leo
Nel 1988 ero a Boston durante la campagna presidenziale tra il democratico Michael Dukakis e George Bush padre. Seguivo in tv la coloratissima kermesse tra i due che a un europeo sembrava una sfida paesana piuttosto che una battaglia politica. Poi arrivò il giorno della vittoria di Bush e il suo primo discorso da presidente iniziò con una lode all'America, il paese «dove era stato possibile a Dukakis, figlio di un povero emigrato greco, sognare di diventare presidente». Pronunciò gelidamente la sua lode-verdetto con la famiglia schierata alle spalle, tutti bianchi, biondi, upper class con giusto un genero ispanico, utile per i voti latinoamericani repubblicani.
Dopo 20 anni, nell'ultima campagna per la nomina del candidato presidente, una donna e un nero del partito democratico hanno lottato all'arma bianca per conquistarsi la nomina. Sono mesi che sull'evento leggiamo commenti prima stupiti, poi soddisfatti e infine trionfanti. Con la candidatura di Obama l'America si riconferma un esempio per l'universo tutto. I bellissimi discorsi di Obama lo sottolineano con grazia, la grazia del soft power rilegittimato. Sono ormai alle spalle gli anni tragici di Bush. Anche i più velenosi attacchi neocons contengono un pizzico di orgoglio giacché dopotutto la donna e il nero sono una bella propaganda per l'America. Poi (secondo i neocons) a novembre vincerà l'uomo bianco che crede nell'hard power così come lo richiede il big business e l'elettorato repubblicano che andrà a votare compatto a propria difesa.
Intanto spira un'aria favorevole dopo le tante disavventure che hanno appannato l'immagine del paese. Da ringraziare è il partito democratico, fedele al principio illuminista per cui il tempo lavora per il progresso e nel caso specifico per il ritorno del soft power e per la fine della discriminazione di genere e di razza. I mass media nazionali concordi raccontano che ancora una volta in America si sta facendo la «storia».
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Certo che ci vuole più Europa, ma non questa Europa.
di Giulietto Chiesa
Tre referendum popolari, tre bocciature. L'Irlanda ha detto "no" al trattato che fu firmato dai capi di Stato e di Governo europei il 13 dicembre 2007 nel monastero di Jeronimos, a Lisbona. Esattamente come i francesi dissero "no", insieme agli olandesi, al "Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa", che era stato presentato solennemente a Roma il 18 luglio 2003. Poichè la differenza tra i due documenti era ed è praticamente nulla, i tre "no" popolari hanno lo stesso significato: una Costituzione Europea fatta in quel modo, con quei contenuti, non va bene, non è vendibile alle opinioni pubbliche, non ha un'anima decente. Per non dire che ha un'anima pericolosa per la democrazia. E quell'anima che ha è meglio mandarla all'inferno per crearne un'altra.
Dico subito che il colpo d'arresto che il referendum irlandese non è cosa che possa entusiasmare chi guarda ai destini del mondo. L'Europa (tutta l'idea europea, quella buona e quella cattiva) ne esce ridimensionata, frenata, indebolita. E, in una situazione di crisi internazionale gravissima, multipla, senza soluzioni
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