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Crescere su Marte. Su “La generazione ansiosa” di Jonathan Haidt

di Andrea Sartori

nvaeiougniJonathan Haidt è uno psicologo sociale che insegna alla Stern School of Business della New York University. La sua ricerca si concentra sugli aspetti psicologici del comportamento morale. Quest’ultimo è un campo d’indagine che riguarda quel che gli individui ritengono utile e di valore, e cosa essi fanno per vivere all’altezza dei propri orientamenti morali, ovvero di quel che gli individui ritengono utile e di valore, e di cosa essi fanno per vivere all’altezza dei propri orientamenti morali.

La generazione ansiosa del suo libro più recente, The Anxious Generation: How the Great Rewiring of Childhood is Causing an Epidemic of Mental Illness (Penguin, New York, 2024) – in italiano per Rizzoli con il titolo La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli – è quella di chi si è affacciato all’adolescenza nei primi anni 10 del ventunesimo secolo (la cosiddetta generazione Z). In quegli anni, i social si sono imposti come imprescindibile e privilegiato veicolo del rapporto con gli altri, plasmando sul proprio codice comunicativo la mente dei giovani utenti, il modo in cui essi fanno esperienza del mondo e degli affetti – ecco il great rewiring a cui fa riferimento il sottotitolo dell’edizione inglese del libro, dalla cui versione ebook citiamo nel seguito di questo articolo.

Essere bambini e poi adolescenti negli anni dei social, sostiene Haidt, è come «crescere su Marte» (pp. 1-16), ovvero in un mondo non solo completamente diverso da quello a cui si era abituati, ma anche pericolosamente incline a flirtare con l’irrealtà, e con ideali tossici di comportamento e bellezza. È vero che l’industria tech – a partire dalla TV negli anni 50 – ha sempre cambiato la vita tanto degli adulti quanto dei bambini. Già nel 1965, ad esempio, Antonio Pietrangeli aveva diretto Stefania Sandrelli in un film, Io la conoscevo bene, che in maniera riflessiva e quasi meta-cinematografica si soffermava sui possibili pericoli rappresentati dai role models veicolati dal cinema e dalla pubblicità.

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sinistra

Un’intervista impossibile, ma plausibile, con Alessandro Manzoni

di Eros Barone

word image 52940 1.jpgL’immaginazione può superare, se opportunamente controllata dalla ragione storica e dalla critica letteraria, i confini spazio-temporali che ci separano dalla figura e dall’opera di Alessandro Manzoni. Con l’aiuto di questi strumenti – immaginazione, ragione e critica – abbiamo avvicinato, a poco più di centocinquant’anni dalla sua morte, l’autore dei Promessi sposi, spingendoci in quella regione dell’aldilà dove egli si trova e dove, con il superiore permesso dell’Onnipotente, ci ha concesso la seguente intervista. Va detto che la conoscenza delle discussioni e dei problemi, anche recenti, che hanno contrassegnato la cultura italiana, europea e mondiale – conoscenza che traspare dalle sue risposte alle domande - non deve meravigliare se si tiene conto che egli è stato costantemente informato intorno a essi dai vari e qualificati ‘addetti ai lavori’ che della sua opera si sono occupati e che lo hanno via via raggiunto là dove egli si trova. Fra questi desideriamo citare, per affinità di orientamento e di sensibilità con l’intervistatore, almeno questi: Alberto Moravia, Italo Calvino, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti e Alberto Asor Rosa.

* * * *

- Signor conte…

- Ma che conte e conte. Coloro che mi chiamano conte mostrano di non aver letto le mie opere. Io non sono conte e nemmeno nobile. Sono Alessandro Manzoni e niente altro. 1 Chi è lei, che cosa vuole?

 

- Mi scusi se la disturbo, Maestro (mi permetta almeno di chiamarla così, per antica deferenza), ma, veda, io mi sono arrischiato fin qua per parlare un po’ con lei: avrei alcune domande da farle… e l’Altissimo mi ha autorizzato a conferire con lei. Sia compiacente anche in grazia del mio gravoso mestiere…

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sinistra

Benedetto Croce: pregi e limiti di un autore classico

di Eros Barone

Croce PLI.jpgÈ invece in quel Croce che seppe meditare… sui meccanismi dell’autorità, della forza e della violenza nella esistenza dei singoli, delle classi, dei ceti e dei popoli, che possiamo ancora oggi trovare un aiuto contro le stoltezze pseudo-etiche che intessono la ideologia italiana incaricata di distrarci dalle vere ragioni dei conflitti… Croce sapeva bene di dovere i propri privilegi alla violenza giacobina del 1793 e ai bersaglieri che dopo il 1860 ammazzarono, nella guerra al ‘brigantaggio’, più contadini del sud di quante vittime fossero costate, tutte insieme, le guerre del Risorgimento.

Franco Fortini

Due anni fa il 70° anniversario della morte di Benedetto Croce (1866-1952) non ebbe una particolare risonanza se non in alcuni ristretti circoli accademici. Già allora la vicinanza e la distanza, tipiche delle ricorrenze anagrafiche degli autori classici, si sovrapponevano e si intrecciavano, conferendo, per un verso, un carattere quasi protocollare al giudizio consolidato sul rilievo storico del filosofo abruzzese, ma rendendo più problematico, per un altro verso, un bilancio obiettivo della sua opera. Vediamo allora di sciogliere, almeno in parte, questa antinomia, tratteggiando a grandi linee la vita e la molteplice produzione di una tra le più importanti personalità della cultura italiana della prima metà del Novecento.

 

  1. Il giovane Croce

Iscrittosi con scarso entusiasmo alla facoltà di giurisprudenza, il giovane Croce fu attratto soltanto dall’insegnamento vivo e anticonformista di Antonio Labriola, una figura chiave del marxismo teorico italiano a cavallo fra i due secoli, che lasciò un’impronta profonda nella formazione intellettuale di quell’allievo quanto mai dotato.

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paroleecose2

Innovazioni linguistiche nel conflitto israelo-palestinese

di Paolo Ruta

antisemitism.jpgNella loro costante e inarrestabile trasformazione le lingue sono inevitabilmente democratiche. Per affermarsi, ogni loro mutamento deve passare al vaglio della maggioranza o, per dirla con un lessico particolarmente in voga, deve diventare virale. Infatti, è la diffusione attraverso l’uso a determinare il successo di un’innovazione linguistica, in quanto esprime il consenso da parte dei parlanti che la adottano spontaneamente.

Dopo i fatti del 7 ottobre 2023, diverse lingue occidentali hanno visto la diffusione di una particolare innovazione linguistica promossa principalmente da una parte della politica e dell’informazione, il cui successo tra i parlanti è però ancora da verificare sul lungo periodo. Il fenomeno è conosciuto come risemantizzazione estensiva e interessa la parola antisemitismo.

Prima di concentrarci su questo punto occorre ribadire che per secoli l’ostilità antiebraica non ha avuto significanti atti a rappresentarla: “in una società come quella cristiana, in cui le minoranze ebraiche vivevano nettamente separate dalla maggioranza e in cui le formulazioni teologiche e la stessa liturgia contenevano espressioni codificate di ostilità antiebraica, essa appariva come un atteggiamento naturale, che non necessitava di un nome.” Si trattava di un’avversione di tipo teologico basata sugli antichi pregiudizi deicidi generati in seno alla comunità cristiana delle origini, e che solo a partire dalla seconda metà del ‘900 ha trovato nella parola antigiudaismo un segno linguistico creato e diffuso principalmente dagli storici che hanno studiato il fenomeno in relazione al posizionamento della chiesa cattolica nel contesto della Shoah.

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carmilla

Palestina. Le verità confortevoli

di Marco Sommariva

grossman.jpgIn questo periodo in cui si parla molto di Palestina e Israele, più volte mi sono chiesto cos’ho capito di questo conflitto. La prima risposta che mi son dato è stata “scrivine”, e questo perché non riesco a capire esattamente cos’ho in testa finché non la scrivo. La seconda risposta è stata più che altro una raccomandazione: fai attenzione a non essere l’eco di cose già dette, magari già echi a loro volta di qualcos’altro. In poche parole, ho ragionato sull’argomento con la stessa logica con cui ragiono su tutto, non in base a cosa mi si sta raccontando nel momento in cui i riflettori sono puntati sugli avvenimenti, ma in funzione di cosa mi hanno trasmesso e insegnato le mie letture passate, i miei libri; questo, anche perché sono convinto che, come ho letto da qualche parte, i libri sono in grado di tirarci fuori dai nostri bunker di verità confortevoli, da quel pozzo di fortuna che ogni tanto risaliamo e che ci permette di sbirciare nell’inferno degli altri senza mai sentire la puzza di morte, per poi tornare sul fondo da cui siamo emersi senza neppure uno schizzo di sangue sulla camicia perfettamente stirata. E questo sbirciare nell’inferno degli altri, per poi magari sentenziare sulla base di alcuni fotogrammi che da qualche parte s’è deciso di darci in pasto, è uno sport in cui si registrano sempre più partecipanti; forse perché, come ha scritto lo scrittore israeliano David Grossman in Caduto fuori dal tempo, “Che c’è di più eccitante dell’inferno degli altri, dimmi? E poi sarai d’accordo con me che un dolore di seconda mano è preferibile a uno di prima mano.”

E così, cercando di non farmi influenzare troppo da immagini, video e resoconti dove regnano dolore, sangue e lacrime, in cui s’incontrano solo cadaveri e mai un sorriso, faccio mente locale e cerco nella mia memoria un aiuto per fare un minimo di ordine su questo conflitto.

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quadernidaltritempi

Fabbricanti d’universi: ruoli, regole e fantasie

di Valerio Pellegrini e Davide Scaturro

Molto più di un manuale di scrittura, “Fare mondi” di Ian Cheng è una matrice di universi possibili

in rilievo letture fare mondi A.jpgFare Mondi di Ian Cheng si presenta come un manuale di scrittura. Ma in certi punti l’artista losangelino le cui opere sono esposte tra l’altro al MOMA, al Whitney Museum, alla Fondazione Louis Vuitton di Parigi, alza davvero alto il tiro quando punta ad applicare il suo metodo niente di meno che alla condizione umana. Un viaggio introspettivo scritto da un artista che indaga non solo la psiche del creativo, ma anche le complesse dinamiche della vita mentale di chiunque cerchi di dare un senso o una prospettiva al proprio universo. In pratica il libro di Cheng spiega un metodo per capire, progettare e comunicare interi universi di significato.

 

Che cos’è il worlding

Nella visione di Cheng, il mondo è “la realtà onnicomprensiva in cui siamo inglobati” (fisicamente e mentalmente inglobati), mentre un Mondo (con la M maiuscola) è il frutto dell’arte del “worlding”, ovvero la progettazione di un intero universo di significati in cui abitare nel tempo. Il Mondo è uno speciale tipo di universo in cui i significati sono disposti in una rete organica di giochi e di interazioni finalizzate alla sopravvivenza del Mondo stesso.

“Un futuro in cui è possibile credere, perché promette di diventare un gioco infinito. […] In un gioco finito si gioca per vincere. Ci sono regole chiare e un finale definito. In un gioco infinito si gioca per continuare a giocare. Se c’è il rischio che finisca, le regole devono essere modificate affinché il gioco prosegua”.

L’arte “innaturale” del worlding è la capacità di costruire un universo finito che scatena un gioco infinito di significazioni. Il termine concepito da Cheng si differenzia dalla comune accezione del termine world building per il fatto che tratta di Mondi come artefatti non necessariamente narrativi.

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nazioneindiana

“Better Call Saul”, “L’amica geniale” e il lato oscuro del sogno americano

di Giacomo Agnoletti

Fig 3dh.jpegNel 2020, la rivista Entertainment Weekly chiese a Barack Obama quali fossero i suoi programmi televisivi preferiti. L’ex presidente citò Better Call Saul, per i suoi grandiosi personaggi, e perché esamina il lato oscuro del sogno americano”. Da parte mia, sono convinto che i prodotti culturali di massa, anche quelli che di solito vengono considerati un passatempo privo di impegno, possano raccontarci molto del nostro presente (Michel De Certeau sarebbe stato d’accordo). Propongo dunque un accostamento improbabile: la serie tv Better Call Saul e il romanzo L’amica geniale di Elena Ferrante. Le affinità sembrano a prima vista inesistenti: da una parte il Nuovo Messico degli anni 2000, dall’altra la Napoli del dopoguerra. Due mondi lontanissimi. Se però ci concentriamo sull’immaginario del pubblico, la mia tesi è che il punto d’incontro di queste due opere così diverse risieda nella percezione di uno stato di crisi del sogno americano o, se vogliamo, del suo lato oscuro. Torniamo quindi a Obama…

Ma di cosa parliamo oggi quando parliamo di American Dream?

Senza bisogno di risalire a Walt Whitman e alla sua mitica Song for Myself, ci sono alcuni concetti che, nell’immaginario globale, sono strettamente legati al sogno americano. Intanto, un sistema economico percepito come naturale, quindi intrinsecamente giusto (la “mano invisibile” di Adam Smith: se l’individuo agisce nel suo interesse, l’intera società ne trarrà beneficio). Il corollario della naturalità del sistema è la sua inevitabilità, dimostrata dal fatto che anche i paesi ex comunisti si sono dovuti evolvere verso una sorta di super-capitalismo controllato dallo Stato. Impossibile allora non ricordare Margaret Thatcher e il suo There Is No Alternative.

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lantidiplomatico

Analfabeta a chi? 

di Alessandro Somma

A proposito del Dizionario politico minimo di Luciano Canfora a cura di Antonio Di Siena*

luciano canfora libroLa politica vive di parole, ma queste possono anche provocarne la morte. Succede quando il discorso pubblico viene schiacciato sul “pensiero unico”, quando una censura sovente impalpabile ma sempre pervasiva identifica il dicibile e pretende di tracciare confini netti con l’indicibile. Per “screditare qualunque forma di dissenso” semplicemente impedendo di pronunciarlo, e condannare così all’emarginazione “chiunque si faccia portatore di una visione critica”. Di più: per etichettarlo come “analfabeta politico” (xii) per il solo fatto di essere indisponibile a riprodurre le retoriche allineate ai luoghi comuni e cocciutamente impegnato a produrre un pensiero libero.

Se così stanno le cose, il tentativo di far rivivere la politica non può che passare da un’opera di nuova alfabetizzazione: di paziente ricostruzione delle parole del discorso pubblico che evidenzi le espressioni della sua corruzione e offra strumenti per contrastarla. Un’opera che metta in luce la virulenza delle semplificazioni: che dia conto della complessità del linguaggio e dunque della sua capacità di rendere la complessità della politica. E che così facendo lo porti a “ripoliticizzare lo spazio pubblico” (xiv).

A questo difficile compito si è dedicato Luciano Canfora nel suo ultimo libro, organizzato sotto forma di voci di un Dizionario politico minimo scritte in dialogo con Antonio Di Siena. Lo leggeremo qui a partire da tre coppie di voci che identificano ambiti particolarmente bisognosi di essere liberati dai condizionamenti del pensiero unico: fascismo e antifascismo, capitalismo e democrazia, Stato nazionale e Unione europea. Ovviamente il volume offre lo spunto per individuare molti altri percorsi. Qui abbiamo voluto evidenziare quelli incentrati sulle voci che, una volta risintonizzate con il pensiero critico, possono più di altre alimentare il moto verso il superamento degli equilibri da cui il pensiero unico trae il suo fondamento.

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“Un avamposto del progresso” di Joseph Conrad

di Sergio Leoni

Quando la letteratura, senza divenire stucchevole pamphlet e rimanendo alta letteratura, si fa denuncia dell’orrore del colonialismo

1024px map of the belgian congo wdl59La domanda, che per la verità interroga praticamente tutta la produzione letteraria di Joseph Conrad, in questo racconto prende la forma specifica del chiedersi se in questo caso l’autore si rifaccia in qualche modo ad un fatto realmente accaduto, di cui gli deve essere arrivata voce in uno dei tanti scali marittimi in cui approdava nel suo ruolo di capitano (ruolo che svolse, alla fine di un cursus espletato essenzialmente nella marina mercantile inglese, dopo averne ricoperto praticamente tutti i gradi), o se si sia trattato “soltanto” di un’opera di fantasia che, al limite, potrebbe essere ritenuta dall’autore stesso come emblematica di una situazione che egli deve aver sperimentato nei suoi numerosi viaggi.

Domanda oziosa tuttavia, perché, seppure alla luce di una sbrigativa analisi, non è difficile comprendere due fatti assodati che, rispetto al caso di questo scrittore polacco che sceglie l’inglese come sua lingua letteraria, sembrano poter contenere o almeno dare un primo contorno all’idea di letteratura che Conrad persegue senza scosse lungo tutta la sua vita letteraria. Da un lato, si intende dire, la verosimiglianza, la credibilità delle situazioni che sono l’ossatura sia del suoi romanzi (Nostromo, Sotto gli occhi dell’Occidente, romanzi di uno spessore notevole, non solo quanto a “dimensioni”, ma anche nei termini dello sviluppo più complesso delle storie narrate), e, insieme, un addentrarsi in territori in cui il principio di realtà non è essenziale e se non è sostituito da una fantasia slegata dal senso comune, pure spazia in territori più aperti a suggestioni (Freya delle sette isole, un racconto breve).

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quadernidaltritempi

Il trattato futuristico elaborato da Stanislaw Lem

di Roberto Paura

Stanislaw Lem: Summa Technologiae. Scritti sul futuro, Traduzione e cura di Luigi Marinelli, Luiss University Press, Roma, 2023, pp. 425, € 35,00

in rilievo letture summa technologiae A.jpgUn altro libro che parla di intelligenza artificiale, civiltà extraterrestri, metaverso e postumano? Anche basta! Ma… un momento, dev’esserci un errore: l’edizione originale di questo libro è apparsa in polacco nel 1964, sessant’anni fa! Ma com’è possibile, se l’autore parla di simulazioni virtuali, disoccupazione tecnologica, algoritmi intelligenti? È possibile, perché l’autore di questo libro fantastico è Stanislaw Lem, che non ha bisogno di presentazioni, se non al più quella di “uno dei massimi scrittori di fantascienza di tutti i tempi”.

La Summa Technologiae è stata per anni un oscuro oggetto del desiderio per gli appassionati di fantascienza, futurologia e filosofia scientifica. Giunta finalmente all’attenzione del mondo con la traduzione in inglese della University of Minnesota Press, nel 2013, da allora si è lavorato per portarla in Italia, superando le resistenze di quanti riducevano Lem al solo autore di Solaris. Nel 2017 su questa rivista veniva pubblicato un primo estratto in italiano, tradotto da Marco Bertoli e curato dal sottoscritto. Un primo contatto con i titolari dei diritti apparve promettente, ma non si trovarono editori interessati a cimentarsi nell’impresa di una traduzione che doveva filologicamente avvenire sull’originale polacco, e non sulla versione inglese. Una copia pirata, malamente tradotta con software automatici, fece capolino a prezzi improbabili sugli store online nel 2022. E poi, infine, eccola: la sontuosa edizione italiana realizzata dalla Luiss University Press, complice l’onda lunga del centenario, che in Italia ha visto un fiorire di nuove edizioni, ristampe, traduzioni, favorito anche dal fatto che i temi di Lem, troppo in anticipo sui tempi negli anni in cui apparvero per la prima volta le sue opere, sono oggi di estrema attualità.

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lanatra di vaucan

In principio era il cibo… Dialogo con Wolf Bukowski

Afshin Kaveh intervista Wolf Bukowski

IMG 4650 2048x1536.jpgAfshin Kaveh: Qual è il fil rouge che collega le tue ricerche critiche sull’industria alimentare? Dal racconto Il grano e la malerba (Ortica Editrice 2012) passando per il saggio La danza delle mozzarelle (Edizioni Alegre 2015) conducendoci, oggi, a La merce che ci mangia. Il cibo, il capitalismo e la doppia natura delle cose (Einaudi 2023) quali sono stati, nello scorrere irreversibile del tempo, i punti di contatto, le continuità e quali invece, sempre che vi siano, le divergenze, le svolte e le discontinuità tra queste opere?

Wolf Bukowski: La continuità è certamente quella di aver cercato nel cibo la manifestazione di tendenze generali. Nel racconto Il grano e la malerba si trattava della logica emergenziale, che era già allora matura; ne La danza delle mozzarelle al centro c’era la messa a reddito della vita urbana e delle “tipicità” alimentari. Come è stato possibile, per esempio, che gli amministratori di un’importante città, densa di storia e di vita, abbiano pensato di scrivere fogassa e pesto in lettere luminose sui carruggi? E cosa implica, socialmente, questo? La danza delle mozzarelle voleva essere un po’ un tentativo di spiegarmelo, e in ciò mi pare ben riuscito. Quello che il saggio sconta è invece la mia adesione di allora alle istanze di un certo “attivismo” e alla sua lettura monodimensionale della questione di classe. In quella fase storica tali istanze si riconoscevano in una sopravvalutazione delle manifestazioni sindacali dei cosiddetti “riders”, i ciclofattorini. A quella sopravvalutazione ho partecipato anche io, nonostante tra me e me continuassi a ripetermi: “queste persone certamente dovrebbero poter lavorare in sicurezza e guadagnare decentemente, ma quello della consegna a domicilio dei pasti rimane un lavoro assurdo, un lavoro che non dovrebbe esistere, e questa verità spiacevole andrà detta, prima o poi”.

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iltascabile

Il grande bluff delle neuroscienze

di Riccardo Manzotti*

Dogmi, vicoli ciechi e controversie irrisolte nello studio empirico della coscienza

il fullxfull.727401657 21clA volte, nella scienza, si assiste a un fenomeno analogo alle bolle speculative in campo economico: per decenni un problema insolubile assorbe risorse e investimenti, in misura crescente e senza nessun reale progresso. I ricercatori continuano a proporre soluzioni infruttuose e si appellano alla politica del “primo passo”: bisogna pur cominciare da qualche parte e questo è il massimo che si può fare. Ma si resta sempre nella casella di partenza. Più che un primo passo, è un passo sul posto.

Questa situazione descrive lo stato della ricerca sulla coscienza nel campo delle neuroscienze dove, come in una guerra di posizione, invece di scontrarsi in campo aperto si passa più tempo a fortificare trincee e chiedere fondi. Non diversamente dalla fortezza Bastiani nel romanzo di Dino Buzzati, i più non sembrano cercare il corpo a corpo con il nemico reale, limitandosi a esercitazioni durante le quali assegnano medaglie e mostrine che hanno la sola funzione di giustificare il conseguimento di titoli e premi. Nella ricerca neuroscientifica della coscienza il nemico che non si può mai ingaggiare in battaglia è l’hard problem della coscienza, e un’armata di neuroscienziati e scienziati cognitivi, pur impegnandosi in manovre continue, non lo affronta mai direttamente.

Dal tempo delle ricerche pioneristiche dei grandi neurofisiologi tedeschi e italiani dell’Ottocento, si continua a cercare qualcosa che sia l’equivalente fisico della nostra coscienza. È stato trovato? No. Non si è mai superato il livello delle correlazioni (deboli) tra l’attività cerebrale e l’esperienza – un’idea ragionevole che circolava già nel Cinquecento ai tempi di Andrea Vesalio. A tutt’oggi non esiste una teoria che spieghi in modo comprensibile come e perché l’attività chimica ed elettrica di un sistema nervoso debba o possa diventare qualcosa di totalmente diverso come sensazioni, percezioni, emozioni e pensieri.

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neronot

Extinction Internet

di Geert Lovink

Internet sta accelerando i problemi del mondo ed è ormai destinata a una morte prematura. Ma un’altra fine è possibile, se ammettiamo che c’è bellezza nel collasso

image 7olbePuò la cultura di Internet allo stato attuale resistere all’entropia e sfuggire alla registrazione infinita mentre fa fronte alla propria fine senza fine? Questa è la domanda che ci ha lasciato in eredità il filosofo francese Bernard Stiegler, scomparso nell’agosto 2020. Un’antologia su questo tema, intitolata Bifurcate: “There Is No Alternative”, è stata scritta durante i primi mesi del COVID-19: portata a termine poco prima della sua morte, è basata sul suo lavoro e redatta in consultazione con la generazione di Greta Thunberg. Bifurcate è anche un progetto per la giustizia climatica e l’analisi filosofica, firmato collettivamente sotto lo pseudonimo Internation. “Biforcare” significa dividere o bipartire in due rami. È un appello a ramificarsi, creare alternative e smettere di ignorare il problema dell’entropia, un quesito classico della cibernetica. Conosciamo il disordine nel contesto della critica di Internet come un problema dovuto al sovraccarico cognitivo, associato a sintomi psichici quali la distrazione, l’esaurimento e l’ansia, aggravati a loro volta dalle architetture subliminali dei social media estrattivisti. Stiegler chiamò la nostra condizione l’Entropocene in analogia con l’Antropocene: un’epoca caratterizzata dal “massiccio aumento dell’entropia in tutte le sue forme (fisiche, biologiche e informative)”. Come Deleuze e Guattari avevano già rilevato, “Non ci manca certo la comunicazione, anzi ne abbiamo troppa; ci manca la creazione”. Il nostro compito, perciò, è creare un nuovo linguaggio per comprendere il presente con l’aspirazione di fermare e superare l’avvento di molteplici catastrofi, esemplificate dal concetto plurimo di Extinction Internet.

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carmilla

L’ebreo immaginario degli antisemiti non abita a Tel Aviv

di Fabio Ciabatti

Manuel Disegni, Critica della questione ebraica. Karl Marx e l’antisemitismo, Bollati Boringhieri, Torino 2024, pp. 448, € 26,60

9788833942629 92 310 0 75.jpgMa davvero qualcuno ha potuto sostenere che Marx era antisemita? Ebbene sì. Evidentemente è difficile resistere alla tentazione di attribuirgli anche questa infamia. Di sicuro il linguaggio del rivoluzionario tedesco è tutt’altro che politically correct quando parla dei problemi attinenti alla questione ebraica. Si pensi, solo per fare un esempio, a un’espressione come la “raffigurazione sordidamente giudaica” utilizzata nelle Tesi su Feuerbach. In ogni caso, tutta questa faccenda non meriterebbe di essere presa sul serio se non fosse che, dietro di essa, si nasconde il tentativo truffaldino di attribuire lo stigma dell’antisemitismo a tutta una tradizione politica che a Marx si richiama o, molto più spesso, si richiamava. E questo per alimentare la narrazione degli opposti estremismi, di destra e di sinistra, a beneficio di un centrismo liberale tanto nobile quanto introvabile. O, peggio ancora, il presunto peccato di Marx servirebbe a ripulire l’immagine di una destra che verso gli ebrei ha avuto storicamente un’ostilità esplicita e feroce. Come dire, tutti antisemiti, nessun antisemita.

E allora prendiamo il toro per le corna, utilizzando l’interessante testo Critica della questione ebraica. Karl Marx e l’antisemitismo di Manuel Disegni. Attraverso questo libro vogliamo partire da Marx per giungere a questioni di più stretta attualità arrivando a conclusioni che, meglio dichiararlo subito, potrebbero anche non piacere all’autore. Marx tratta apertamente dell’antisemitismo in un solo testo, per di più giovanile. Si tratta del famoso articolo intitolato Sulla questione ebraica in cui Marx non ha remore nell’utilizzare stereotipi ripresi dalla tradizione antiebraica a lui coeva. Senonché, nota l’autore, non li utilizza perché li condivide ma perché li vuole ritorcere contro chi li propugna.

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petiteplaisance

J.-P. Sartre e la tragedia di Oreste nel Novecento

di Fernanda Mazzoli

Una prima proposta di approfondimento rivolta a quanti – muovendo dalla lettura di «Les mouches» – siano interessati a sviluppare un dialogo per aprire un varco nell’odierna soffocante cappa culturale-politica che asfissia intelligenze e coscienze

Sartre Le Mosche 860x280.jpgDa Argo a Parigi la strada è lunga, gli inciampi numerosi e le deviazioni di percorso ancora di più. Gli dèi dell’Olimpo scompaiono, le vendette scolorano, madri e sorelle invecchiano, perdendo cupa grandezza e trepida pietà. Eppure, Oreste continua il suo viaggio, sospinto dalle Erinni e da troppi interrogativi irrisolti, e una sera del giugno 1943 calca le scene di un teatro parigino, vestendo i panni del protagonista nel dramma di Sartre Les mouches. Fuori, un altro dramma tiene avvinta la città: l’occupazione nazista.

Duemila anni e più di cammino lungo le vie della cultura occidentale lo hanno non poco segnato: ha perso qualche radice e non poche convinzioni e più che cercare gli assassini del padre sta cercando se stesso, ma per potere dire sono deve prima di tutto fare e dunque è alla ricerca di un’azione e dal momento che tutt’intorno e anche dentro il teatro ci sono i Tedeschi, allora non può che uccidere Egisto, usurpatore del trono di Agamennone.

È così che, nel quadro narrativo offerto dal mito, nell’opera sartriana filosofia e politica si mescolano e si compenetrano, lasciando aperte tante questioni che ancora oggi, anzi oggi più che mai, ci incalzano. La stessa impasse su cui si conclude il testo offre un fertile terreno alla ricerca.

La breve presentazione che segue non pretende di essere uno studio critico, e tanto meno esaustivo, della pièce del filosofo e scrittore francese, quanto, piuttosto, di stimolare l’approfondimento di alcuni temi che, a partire da Les mouches, investano diverse sensibilità culturali e campi del sapere.