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doppiozero

La democrazia è un concetto ambiguo*

Red Notebook e Ενθέματα της Αυγής intervistano Giorgio Agamben

Il filosofo Giorgio Agamben era ad Atene invitato dai giovani di SYRIZA e dall’istituto Nikos Pulantzas. Il suo intervento, nell’aula gremita di Technopoli, dal titolo Una teoria sul potere della spoliazione e del sovvertimento, è stato dedicato al compimento dei quarant’anni dalla rivolta del Politecnico. Domenica 17 novembre, dopo il corteo del Politecnico, l’hanno incontrato e hanno conversato con lui Anastasia Giamali, per l’Alba, e Dimosthenis Papadatos-Anagnostopulos per RedNotebook. Il testo che segue è la conversazione completa, mentre negli Ενθέματα της Αυγής e sul loro blog troverete una versione accorciata.

Giorgio Agamben wall portraitHa cominciato il suo intervento ad Atene dicendo che la società nella quale viviamo non è semplicemente non democratica, ma, in ultima analisi, non politica, dal momento che lo status di cittadino non è più se non una categoria del diritto. È però conseguibile il cambiamento politico nella direzione di una società politica?

Quel che volevo evidenziare è l’aspetto del tutto nuovo della situazione. Credo che, per capire ciò che ci siamo abituati a chiamare “situazione politica”, dobbiamo tenere a mente il fatto che la società nella quale viviamo forse non è più una società politica. Un fatto simile ci obbliga a cambiare completamente la nostra semantica. Ho provato allora a mostrare come, nell’Atene del quinto secolo a.C., la democrazia inizi con una politicizzazione dello status di cittadino. L’essere cittadino ad Atene è un modo attivo di vita. Oggi, in molti paesi d’Europa, come anche negli USA, dove la gente non va a votare, l’essere cittadino è qualcosa di indifferente. Forse in Grecia questo vale in misura minore; per quanto ne so, qui esiste ancora qualcosa che somiglia a una vita politica. Il potere oggi tende a una depoliticizzazione dello status di cittadino. La cosa interessante in una situazione talmente depoliticizzata è la possibilità di un nuovo approccio alla politica. Non si può stare attaccati alle vecchie categorie del pensiero politico. Bisogna rischiare, proporre categorie nuove. Così, se alla fine si verificherà un cambiamento politico, forse sarà più radicale di prima.

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marxismoggi

Ideologia

di Salvatore Tinè

t 4 imperialismo 2 728La nozione di ideologia è una delle categorie fondamentali del pensiero di Marx e di Engels. In particolare essa svolge un ruolo molto importante nel processo di elaborazione e di genesi della concezione materialistica della storia. Il superamento e la critica da parte di Marx e di Engels delle posizioni filosofiche e politiche del gruppo della cosiddetta “sinistra hegeliana”, alla metà degli anni ’40 dell’Ottocento, prende le mosse, infatti dalla nozione di “ideologia tedesca”. Con essa i due fondatori del materialismo storico intendono evidenziare il carattere essenzialmente speculativo e soggettivistico del pensiero filosofico-politico dei “giovani hegeliani” e in particolare della loro pretesa di avviare un processo di rinnovamento sociale e politico della Germania sul mero terreno delle “idee” e della “filosofia”. Nel primato della filosofia rivendicato dalla sinistra hegeliana Marx ed Engels individuano un fondamentale elemento di continuità con l’idealismo di Hegel e insieme il riflesso della condizione di arretratezza sociale e politica della Germania rispetto alla Francia e all’Inghilterra. In realtà una critica reale, effettiva dell’ordine di cose esistente non può non presupporre per loro la fuoriuscita dal terreno della filosofia e del “pensiero puro”.

La critica tedesca – scrivono Marx ed Engels nell’Ideologia tedesca – non hai abbandonato, fino ai suoi ultimi sforzi, il terreno della filosofia.

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megachip

Cose degli altri mondi. Saperi e pratiche del divenire umani

di Lelio Demichelis

Proponiamo, per gentile concessione dell’Editore Colibrì, l’introduzione di Lelio Demichelis (sociologo e studioso del fenomeno tecno-capitalista nei suoi molteplici aspetti) al nuovo libro a sei mani di Piero Coppo, Stefania Consigliere e Paolo Bartolini “Cose degli altri mondi. Saperi e pratiche del divenire umani”.

Piero Coppo è medico, neuropsichiatra e padre dell’etnopsichiatria in Italia, Stefania Consigliere è filosofa e ricercatrice in Antropologia presso l’Università di Genova, Paolo Bartolini è analista filosofo e collaboratore di Megachip.

Buona lettura!

ciborg11«Perché mai gli sfruttati non si ribellano? E se la radice di ogni valore (e in primis proprio quello del denaro) sta nell’immaginario degli umani, perché sembra impossibile uscire dall’orizzonte capitalista? L’elemento più inquietante di tutti è, infatti, proprio quest’adesione collettiva alla catastrofe, l’assenso alla nostra servitù», scrive Stefania Consigliere.

E ancora: «C’è un divenire capitale degli umani (e un prender forma umana da parte del capitale) che è la parte più temibile di tutta questa storia (…): siamo la punta più avanzata di un colossale esperimento di cattura delle anime, che non passa più solo per l’imposizione violenta, come avveniva nel dominio classico, ma per l’adesione – rassegnata o entusiasta – a un regime pulsionale e concettuale molto soft, che si presenta come la quintessenza della libertà stessa. (…). Qualcosa che, svuotando i soggetti delle loro forze, li assoggetta a un volere esterno e malevolo.

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rec.filosof

Lacan. Il Seminario. L’antifilosofia 1994-1995

Recensione di Caterina Marino

Alain Badiou: Lacan. Il Seminario. L’antifilosofia 1994-1995, Ed. it. a cura di Luigi Francesco Clemente, Napoli-Salerno, Orthotes, 2016, pp. 212, euro 20, ISBN 978-88-9314-027-0

superthumbNel 2016 è stato pubblicato in traduzione italiana il seminario tenuto da Alain Badiou nell’anno accademico 1994-1995 sull’antifilosofia di Lacan. Questo terzo momento di una “tetralogia antifilosofica” (p. 5), che ha visto come protagonisti autori quali Nietzsche, Wittgenstein e san Paolo, non fa che confermare la profonda convinzione di Badiou per cui ogni filosofo contemporaneo che si rispetti debba necessariamente misurarsi, nel corso del proprio itinerario filosofico, con lo psicoanalista francese e, soprattutto, con la sua interpretazione della filosofia (p. 8).

Fu Lacan stesso a dichiarare di essere un “antifilosofo”, e questo è certamente all’origine del debito reale di Badiou nei suoi confronti. La ricerca di Badiou, infatti, oltre a delineare un’autonoma ed originale ontologia, proprio a partire da quell’affermazione lacaniana è stata indotta, in modo sistematico, alla chiarificazione di ciò che caratterizza un pensiero antifilosofico.

A conferma di ciò questo seminario non presenta un’esposizione organica dell’opera lacaniana, ma si concentra soprattutto sull’analisi dei fondamenti della sua antifilosofia.

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rec.filosof

Post-strutturalismo e politica

Recensione di Gabriele Vissio

D’Alessandro Ruggero, Giacomantonio Francesco, Post-strutturalismo e politica. Foucault, Deleuze, Derrida, Perugia, Morlacchi Editore University Press, 2015, pp. 113, euro 14, ISBN: 9788860746986

F 0 1Il volume di D’Alessandro e Giacomantonio presenta una sintesi del pensiero dei tre grandi classici della stagione post-strutturalista francese – Michel Foucault, Gilles Deleuze, Jacques Derrida – alla luce dei rapporti che essi intrattengono con la questione politica. Diciamo la “questione politica” perché l’intento del volume non è tanto quello di esporre la filosofia politica di Foucault, Deleuze e Derrida – posto che si possa parlare, per ciascuno di questi autori, di una filosofia politica in senso classico – quanto quello di rintracciare all’interno del loro pensiero il “segno” della politica.

In effetti, l’ambizione ultima del saggio, è quella di tratteggiare alcune linee guida che servano alla comprensione del complesso e ambiguo rapporto che intercorre tra la corrente post-strutturalista, ben più ampia del terzetto di autori presi in considerazione, e la dimensione politica.

Che vi sia un rapporto tra il post-strutturalismo e la politica è cosa assodata, tanto dalla letteratura critica quanto dall’effettiva biografia dei protagonisti di quella stagione. Per limitarsi alle scelte di D’Alessandro e Giacomantonio basti pensare al coinvolgimento di Foucault nelle battaglie di quegli anni – dal periodo tunisino alla direzione del dipartimento di filosofia dell’Università “sperimentale” di Vincennes dopo gli eventi del ’68,

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consecutiorerum

Metafisiche del nulla: Schopenhauer, i suoi discepoli e l’inconsistenza del mondo

di Fabio Ciracì*

Friedriche A walk at dusk1. Da Kant verso il nichilismo idealistico

Esiste ormai una nutrita letteratura critica circa la natura teoretica che Schopenhauer attribuirebbe al nulla e non mancano certo saggi e contributi che tendano a considerare il filosofo del Mondo come una sorta di precursore dell’esistenzialismo heideggeriano o sartriano, collocandolo nella più labile cornice della cosiddetta filosofia dell’esistenza[1]. A parte però le interpretazioni attualizzanti a rebours, più o meno giustificabili da un punto di vista ermeneutico, la metafisica schopenhaueriana esige di essere indagata a partire dalle proprie fonti, nel tentativo di essere restituita al suo contesto storico per comprenderne al meglio la sua peculiarità.

L’analisi storico-critica del concetto di nulla all’interno dell’opera schopenhaueriana è resa però difficoltosa dalla polisemia del concetto di nulla in Schopenhauer, che cede spesso ad ambiguità talvolta intenzionali, dotando i termini nulla (Nichts)[2] e non essere (Nichtsein) di un significato estensivo che consente scivolamenti semantici da un piano teorico ad un altro.

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pierluigifagan

Il problema della sintesi del complesso umano

di Pierluigi Fagan

Questo articolo ha in oggetto la conoscenza del fenomeno umano nel suo complesso. E’ un articolo di riflessione sul metodo, sull’unità e diversità delle discipline, degli oggetti, delle menti che tentano di catturarli

9788845254123 0 0 1539 801Io sono solo e lo specchio infranto
(S. Esenin, L’uomo nero, 1925)

In una articolo del 1960[1], F. Braudel torna su un tema a lui -ed a noi- particolarmente caro, il problema dell’unità e diversità delle scienze sociali. Schematicamente, la conoscenza umana, si modula su tre ambiti generali. Le scienze naturali si occupano del mondo fisico-chimico e biologico, la filosofia, l’arte e la religione si occupano dell’uomo in quanto tale, le “scienze” umane si dovrebbero occupare di quel territorio in comune in cui l’uomo (psicologia) incontra ed entra in relazione con gli altri uomini (demografia, etno-antropologia, sociologia, linguistica), per fare cose (economia, politica, storia evenemenziale cioè basata su gli “eventi”, date, luoghi, uomini illustri; storia delle idee e delle culture) all’interno di un contesto (geografia) e di un tempo (storia di media-lunga durata). Il cruccio di Braudel è leggere con evidenza che l’oggetto generale di questo gruppo di discipline intermedie è comune ed unico -l’interrelazione, l’organizzazione e l’azione umana, singola e collettiva, nel contesto dello spazio-tempo- ma gli sguardi (ed i metodi di osservazione, analisi e categorizzazione) delle varie discipline sono assai diversi. La specializzazione della varie discipline, istituzionalizzata in dipartimenti non solo incomunicanti ma addirittura in competizione tra loro, sviluppando metodi, patrimoni di conoscenza, linguaggi del tutto eterogenei, crea una babele di prospettive che non arriva mai a sintesi.

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casadellacultura

Hegel: lo Stato perfetto (e la spina di Marx)

di Fulvio Papi

 hegelCerchiamo di mettere in luce, riassumendoli, alcuni temi centrali della “Filosofia del diritto” di Hegel scritta nel 1820 quando aveva la cattedra di filosofia all’Università di Berlino. Gli studiosi di Hegel hanno spesso considerato i famosi scritti jenensi di Hegel dal 1801 al 1806 come precedenti importanti della “Fenomenologia dello Spirito” del 1808 come della “Filosofia del diritto”, anzi questi scritti giovanili mostrano spesso una ricchezza tematica più ampia delle successive opere a stampa. Inoltrarci in questa ricchissima selva filosofica vorrebbe dire perdere di vista la strada teorica che Hegel ha poi codificato come sua filosofia resa pubblica. Tuttavia su un tema molto generale si può trovare una linea di continuità.

Molti anni fa, siamo agli inizi degli anni Cinquanta, Mario Rossi (un amico di grande valore perduto immaturamente), studiando proprio gli scritti jenensi notava che “la preminenza assoluta di valore della determinazione politica serve a comprendere e a risolvere in sé le determinazioni sociali”. Vale a dire che ogni figura sociale, l’agricoltore, l’artigiano, il medico, il professore vanno compresi nel significato spirituale che essi hanno nella struttura ideale, unitaria e organica dello stato.

Hegel, all’inizio dell’Ottocento, conosceva le opere di Ferguson, sociologo e storico, Say, Smith, Ricardo, e classici della economia politica.

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consecutiorerum

Il negativo in questione. Una lettura di Adorno

di Angelo Cicatello*

Pollock1. Logica della disgregazione

Cosa significa ‘dialettica negativa’? Cosa dice di più e di diverso dalla parola ‘dialettica’ un aggettivo che ne specifica la fisionomia negativa?

Non è un segreto che il progetto di una dialettica negativa abbia come sfondo il confronto costante con quelli che Adorno, a torto o a ragione, denuncia polemicamente come gli esiti concilianti della dialettica hegeliana[1]. Il che però, nella prospettiva adorniana, non si riduce al confronto con le tesi specifiche di un autore. Hegel figura, piuttosto, come il momento culminante di una tradizione dal cui peso la dialettica dovrebbe essere liberata. Ed esattamente a questa impresa di liberazione Adorno consegna, già dal titolo, il suo lavoro teoretico più maturo:

L’espressione dialettica negativa viola la tradizione. Già in Platone la dialettica esige che attraverso lo strumento di pensiero della negazione si produca un positivo; più tardi la figura di una negazione della negazione lo ha nominato in modo pregnante. Questo libro vorrebbe liberare la dialettica da una siffatta essenza affermativa, senza perdere neanche un po’ di determinatezza (ohne an Bestimmtheit etwas nachzulassen). (Adorno 1966, 3).

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giornale critico

Giorgio Agamben - “Che cos’è la filosofia?”*

di Enrico Cerasi

Giorgio Agamben, Che cos’è la filosofia?, Quodlibet, Macerata, 2016

Il PensatoreNon so se nelle domande che si pone sia possibile scorgere il profilo di un’epoca. Eppure saltano agli occhi alcune insistenze, alcune fissazioni - dal περί Φύσεως che assillava i primi sapienti greci alle indagini concerning human understanding dei filosofi del Seicento. Comunque sia, l’epoca attuale sembra porsi con una certa frequenza la domanda intorno all’essenza, o quanto meno al compito della filosofia. Penso naturalmente a Martin Heidegger, e al suo Was ist das – die Philosophie? del 1956 (preceduto da Was ist Metaphysik? del ’29); a Deleuze e Guattari, che nel 1991 conclusero il loro sodalizio filosofico rispondendo alla domanda: Qu’est-ce que la philosophie?, o a Pierre Hadot che nel 1995 diede alle stampe il suo libro forse più noto: Qu’est-ce que la philosophie antique? (che per lo storico francese equivaleva a chiedersi che cosa sia la filosofia tout-court). Non è l’ultimo dei meriti di Giorgio Agamben, quasi a voler suturare questo secolo col precedente, l’aver riproposto la domanda, alla quale – come del resto gli altri autori citati – ha dato la sua risposta, che ben s’inquadra nel contesto di una produzione filosofica ormai imponente e articolata. Ripercorrerne i tratti essenziali sarebbe impresa poco adatta a una recensione. Basti ricordare che quest’ultimo libro si pone al termine della notevolissima ricerca intorno alla figura dell’Homo sacer, ovvero del rapporto tra potere sovrano e nuda vita, come s’è andato definendo nel corso della storia occidentale.

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consecutiorerum

Il nulla e la nascita filosofica dell’Europa

Franca D’Agostini*

coypel europaIntroduzione

Quel che segue è il testo, rivisto e in parte integrato, di una conferenza tenuta a Santander, presso l’Universidad de Cantabria, a un convegno sul tema ‘La filosofìa medieval: exposiciòn de las grandes sìntesis medievales. Entre lo razonable y lo credible’ (3-8 ottobre 2011). Una versione un po’ diversa (senza riferimento all’Europa) è stata pubblicata in «Divus Thomas», con il titolo Il nulla e altri esistenti impensabili: una rilettura del De nihilo et tenebris.

Ciò che in queste pagine è interamente nuovo, rispetto a entrambi i testi, è la breve riflessione finale sulle attuali difficoltà politiche dell’UE (§ 4), lette nella prospettiva dell’insegnamento che possiamo trarre dallo sguardo sugli albori della filosofia in Europa. L’esplorazione dei rapporti tra filosofia e Unione Europea è un tema ricorrente di molti interventi europeisti (anche anteriori alla costituzione stessa dell’Unione). Ma è interessante notare che oggi la percezione di questa connessione diventa sempre più evidente, anche per osservatori che non sono filosofi, dunque non hanno ottiche preordinate in una simile direzione.

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consecutiorerum

Una polifonia ‘negativa’

Editoriale del n. 2 di Consecutio Rerum

di Miriam Aiello*

MIRO“Chinati, ti devo sussurrare all’orecchio qualcosa:
per tutto io sono grato, per un osso
di pollo come per lo stridio delle forbici che già un vuoto
ritagliano per me, perché quel vuoto è Tuo.
Non importa se è nero. E non importa
se in esso non c’è mano, e non c’è viso, né il suo ovale.
La cosa quanto più è invisibile, tanto più è certo
che sulla terra è esistita una volta,
e quindi tanto più essa è dovunque”
(I. Brodskij «Elegie romane»)

‘Non essere’ e ‘nulla’ sono i due nomi più noti di un antico e indocile cruccio del pensiero, la cui storia è lastricata in egual misura di orrore e di fascinazione, di condanna e di salvezza.Quest’idea liminale ha, con le sue numerose sembianze (non-essere, nessuna cosa, nullità, vuoto, zero) dato filo da torcere all’antico non meno che al contemporaneo, innervandosi in procedimenti logici (astrazione, negazione, negazione determinata) o addirittura ponendosi a fondamento di veri e propri indirizzi teorici (nichilismo, me-ontologia).

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micromega

Dall’utopia al possibile

di Marc Augé

“La sola utopia valida per i secoli a venire e le cui fondamenta andrebbero urgentemente costruite o rinforzate è l’utopia dell’istruzione per tutti: l’unica via possibile per frenare una società mondiale ineguale e ignorante, condannata al consumo o all’esclusione e, alla fin fine, a rischio di suicidio planetario”. Proponiamo un capitolo da “Un altro mondo è possibile”, il nuovo saggio di Marc Augé – etnologo e scrittore francese di fama mondiale – in questi giorni in libreria per Codice edizioni

fo galleryLe utopie del diciannovesimo secolo si sono infrante contro la dura realtà della storia del ventesimo. La globalizzazione oggi è sia economica sia tecnologica, e abitiamo in un mondo fatto di immagini e messaggi istantanei che ci dà la sensazione di vivere in un presente continuo. Anche l’ultima utopia, quella della “fine della Storia” e della società liberale, è messa alla prova. Per pensare alle possibilità di futuro c’è un modello, il pensiero scientifico, che promuove l’ipotesi come metodo, e si basa su due principi: pensare in rapporto agli scopi e comprendere che l’uomo, nella sua tripla dimensione, individuale, culturale e generale, è la sola priorità.

È il grande paradosso della nostra epoca: non osiamo più immaginare l’avvenire proprio nel momento in cui il progresso scientifico ci ha permesso di conoscere l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. La scienza avanza con una rapidità tale che oggi non saremmo in grado di descrivere quale sarà lo stato delle nostre conoscenze di qui a cinquant’anni, eppure su scala storica non si tratta che di un’infima particella di tempo.

Questo paradosso è tanto più sconvolgente se si considera che i progressi scientifici vanno di pari passo con invenzioni e innovazioni tecnologiche non prive di conseguenze sulla vita sociale delle persone.

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il rasoio di occam

Il rovescio della libertà

di Massimo De Carolis

Si può stabilire con l'attualità recente e con il neoliberalismo che sembra contrassegnarla in profondità un confronto speculativo, capace di farne balenare il senso? Ha provato a farlo Massimo De Carolis nell'appena uscito "Il rovescio della libertà. Tramonto del neoliberalismo e disagio della civiltà" (Quodlibet). Ringraziamo l'autore e l'editore per averci concesso di pubblicare l'introduzione

rovescio liberta 499 3Nella storiografia economica si è diffuso da tempo il vezzo di designare i tre decenni successivi alla seconda guerra mondiale con l’espressione les trente glorieuses: una formula coniata in origine per il miracolo francese del secondo Dopoguerra, che col tempo è stata progressivamente estesa all’intero mondo occidentale. Per chi sia abituato a privilegiare, nella storia, la dimensione strettamente politica, l’attribuzione disinvolta di un titolo così onorifico può forse destare qualche perplessità, pensando alle tensioni generate in quegli anni dalla guerra fredda, dalla minaccia nucleare o dall’asprezza dei conflitti ideologici e sociali. Se ci si concentra però sui soli parametri economici, è difficile negare che l’economia di mercato abbia messo a segno, in quei decenni, un risultato a dir poco straordinario. La crescita è stata consistente e ininterrotta, il tenore di vita della stragrande maggioranza della popolazione occidentale è considerevolmente migliorato e le disuguaglianze sociali si sono ridotte in modo significativo.

Al confronto, la fase storica successiva offre, a uno sguardo retrospettivo, uno spettacolo decisamente meno incoraggiante. Quelli che si succedono, a partire dagli anni Ottanta, sono anni senza gloria, afflitti da crisi continue, da effimeri entusiasmi e grandi delusioni, destinati a sfociare in una crisi di lunga durata e nella drastica esplosione delle disuguaglianze. Per di più, in questo caso, il bilancio negativo non sembra affatto limitabile alla sola sfera dell’economia.

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megachip

Una spiritualità laica per salvarci dalle insidie del Minotauro

di Silvano Tagliagambe

Un invito alla lettura del nuovo libro di Paolo Bartolini "Desiderio illuminato e spiritualità laica. La radice cristiana per una fede non dogmatica"

NEWS 262775Abitare il "tra": questo è il principio epistemologico ed etico che mi accomuna al denso e interessante libro di Paolo Bartolini. La radice cristiana per una fede non dogmatica, la cui ricerca è alla base del Desiderio illuminato dell'autore di esplorare i possibili percorsi di confronto con la Spiritualità laica. Desiderio che fa i conti, innanzi tutto, con l'imprescindibile esigenza di ripensare il nostro universo culturale per renderlo disponibile ad accogliere ciò che di vitale e positivo può provenirci da fuori.

Ed è qui che emerge tutto l'enorme potenziale di conoscenze e azione insito nel concetto di spazio intermedio, di cui troviamo un'espressione diretta nel Vangelo quando Gesù dice «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt. 18,20), passo nel quale quel "in mezzo a loro" può essere tradotto anche con "tra loro", appunto.

Ma è soprattutto nel pensiero-linguaggio cinese, come osserva il filosofo Francois Jullien, il quale consacra da anni la sua vita al confronto con questa cultura, che si ha una valorizzazione di questo tipo di spazio: