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Accordo separato a Mirafiori, Fiom e movimenti

di Raffaele Sciortino

Neo vescovo e sindaco torinesi saranno soddisfatti per lo scontato pacco regalo: l’accordo separato – cioé senza firma Fiom – tra Fiat e Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Quadri per il futuro dello stabilimento di Mirafiori. Non c’è stato neanche uno straccio di trattativa tra le “controparti”. Inezie a parte il testo dell’accordo è sostanzialmente quello imposto da Marchionne col ricatto di ventilati investimenti che dovrebbero portare a più del raddoppio (?!) delle auto prodotte nello stabilimento torinese secondo le previsioni di una ripresa del mercato globale dal 2012 (?!). L’accordo ricalca il ricatto imposto ai lavoratori di Pomigliano: 18 turni alla settimana, primi due giorni di malattia non pagati, 120 ore straordinarie obbligatorie, turni “avvicendati” di dieci ore, pause cancellate sulle linee, orario mensa a fine turno quindi con mezz’ora in più di lavoro, misure anti-assenteismo.

In più e di peggiorativo c’è però il piano di costituire una newco (propriamente una joint venture con Chrysler) con la quale la Fiat va oltre le stesse deroghe al contratto nazionale fuoriuscendone in vista di un contratto auto specifico che recepisce in pieno l’accordo di Pomigliano.

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Lo specchio dell'imbarbarimento sociale

Lavoro autonomo e crisi economica, indagine su una realtà diffusa ma misconosciuta.

di Sergio Bologna e Andrea Fumagalli

Verso il lavoro autonomo di terza generazione

Che il mercato del lavoro sia in continua ebollizione è oramai cosa nota. Non siamo più nei tempi in cui la stabilità del rapporto di lavoro rappresentava una delle poche certezze della vita quotidiana. Tuttavia, l'implosione della fabbrica fordista, con il suo carico di gerarchia, comando, subordinazione e alienazione, non ha liberato potenzialità e opportunità di vita migliori. Anzi. Venendo meno la differenza tra tempo di vita e tempo di lavoro, più che liberare la vita dal lavoro, ha fatto sì che la vita fosse sempre più sottomessa al ricatto del lavoro. Tutto è cominciato alla fine degli anni Settanta, quando le prime strategie di delocalizzazione (outsourcing) e di snellimento della grande fabbrica (downsizing) hanno scomposto e frammentato l'organizzazione rigida dei siti industriali, prevalentemente situati nel Nord-ovest del paese. Nuove filiere produttive si sono evolute in direzione est e sud-est. L'asse pedemontano che da Milano arriva a Trieste, passando per Bergamo, Brescia, Verona, Treviso, Udine, è diventato uno dei centri della produzione manifatturiera italiana, soprattutto specializzato nei settori della minuteria metallica, dell'abbigliamento, delle calzature, ecc.

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Economia della conoscenza, giovani generazioni e ruolo del sindacato

intervista a Enzo Rullani

Nel senso comune si descrive l’economia della conoscenza o il cosiddetto capitalismo cognitivo come fonte di grosse opportunità per le giovani generazioni. Ma allora perché la generazione più formata della storia italiana, è quella che più stenta a trovare spazio sia in termini di posti di lavoro che possibilità di esprimersi attraverso le proprie competenze? Perché le competenze di questa generazione sono in realtà così poco richieste e comunque così poco pagate, sia in termini di salario che di diritti e garanzie?

I giovani fanno fatica ad entrare per tante ragioni. Ma una sopra tutte: il paradigma che governa la società in cui dovrebbero farsi valere è diventato conservatore e come tale mette i bastoni tra le ruote al nuovo. Anche al nuovo nel senso del ricambio generazionale delle persone e degli stili di lavoro e di vita.

Tuttavia detto questo bisogna precisare che:

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Il cavallo di Troia

Scritto da Piemme   

Camusso segretaria, sconfitta la Fiom

«Una ulteriore avvisaglia di quale sia la piega che prenderà la CGIL è rappresentata dalla scottante questione della rappresentanza sindacale. In netta opposizione alla FIOM e alla sua decisione di presentare una legge di iniziativa popolare per una soluzione legislativa universalistica e almeno formalmente democratica, la Camusso perora la "via pattizia", ovvero un accordo tra le parti — sullo stile di quello vergognoso del 20 dicembre 1993 che portò alla costituzione delle Rsu (vedi Il Sole 24 Ore di oggi) —, dunque peggiorativo di quello del 1993, nel senso che la democrazia sui posti di lavoro, già gravemente lesionata, sarebbe definitivamente seppellita. Per questo temiamo che la Camusso, ci farà vedere i sorci verdi, che sarà un Cavallo di Troia del Capitale».

«Con 125 sì, 21 no e 12 astenuti, il Comitato Direttivo della CGIL ha eletto oggi Susanna Camusso Segretario Generale al posto di Guglielmo Epifani. Su 162 membri del Direttivo hanno votato in 158, ovvero il 97,5%. I voti favorevoli alla Camusso, fino a ieri Vicesegretario e Segretario Generale designato dallo stesso Epifani, sono stati il 79,1% del totale. La percentuale dei no si attesta sul 13,3%, mentre la percentuale degli astenuti è pari al 7,6%».

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carmilla

Batti il precario finché è caldo

di Alessandro Villari*

precariLa sera del 19 ottobre, dopo appena due giorni di discussione, la Camera ha approvato senza ulteriori modifiche il famigerato “collegato lavoro”, aka ddl 1167, aka ddl 1441 (a seconda del ramo del Parlamento). Il disegno di legge conclude quindi definitivamente la sua lunga gestazione con la firma, stavolta obbligatoria, del Presidente della Repubblica, ed entrerà in vigore a stretto giro.

Curiosamente, nessun quotidiano in questi giorni dedica spazio alla questione, che pure è destinata ad avere molti più effetti per molti più italiani rispetto al Lodo Alfano che imperversa su TV e giornali. Quali effetti? Vediamoli.


Certificazione dei contratti e clausole arbitrali


È rafforzata la pratica, già prevista dalla “Legge Biagi” ma fino a oggi pressoché inutilizzata, della certificazione dei contratti. In pratica le parti possono chiedere che una commissione appositamente istituita accerti, anche preventivamente, che il contenuto del contratto di lavoro corrisponda alla reale natura del rapporto, con l’accordo del datore di lavoro e del lavoratore.

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Così parlò Marchionne

Vladimiro Giacché

Non inganni l’understatement, l’apparente umiltà del personaggio: “Non ho nessuna intenzione di farvi nessuna lezione. Non sono un professore, né un economista e neppure lontanamente un politico. Sono semplicemente un uomo d’industria”.

Non inganni il tono concreto e alla mano: “Non amate le conferenze e i congressi che riempiono di parole giornate intere senza dire nulla. Ne ho visti centinaia… Non li amo neppure io”.

L’intervento di Sergio Marchionne al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione del 26 agosto scorso è un vero e proprio manifesto politico. E al tempo stesso un’eccellente una paradigmatica espressione dell’ideologia contemporanea.

A partire dalla sua forma discorsiva: quella dell’opposizione. Precisamente quell’opposizione che Hegel – da Marchionne molto citato ma evidentemente poco meditato – detestava: l’“opposizione dell’intelletto”, in cui gli opposti se ne stanno lì, irrigiditi l’uno di fronte all’altro. Una cosa contro il suo opposto, noi contro loro, il bene contro il male. Tutto l’intervento di Marchionne è contrassegnato da questa assenza di dialettica da talk show televisivo.

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Lavoro, parola-chiave 

di Mario Tronti

Ripartire dal lavoro? Preferisco dire: il lavoro al centro campo. Il campo è l’analisi sociale e l’iniziativa politica. Occorre tornare a “studiare” il lavoro e tornare a farne il terreno privilegiato delle lotte. La fase attuale di crisi capitalistica favorisce il dispiegamento di questa operazione politico-culturale.

Fermiamoci un momento su quest’ultimo punto. Negli anni appena passati, praticamente i tre decenni che stanno alle nostre spalle, ci si era illusi che il capitalismo avesse assunto un assetto definitivo, segnato dalla trionfante globalizzazione neoliberista. Era stata messa in soffitta la lettura marxiana del capitale, non solo come sviluppo, ma anche come crisi. Era stata dimenticata la stessa teoria schumpeteriana dei cicli economici. L’andamento ciclico della produzione/circolazione di capitale - crescita, stagnazione, recessione, ritorno a nuovi livelli, con nuove forme, della crescita - questa è storia, e storia moderna. E si capisce che, in tempi di cancellazione per decreto della storia, si sia potuto commettere questi errori di grammatica.

E l’altro errore, questa volta di sintassi, è che il capitalismo non è solo merce-denaro, e cioè mercato-finanza, ma è, soprattutto, produzione di merci a mezzo di merci, come ci insegnò una volta per tutte un certo Sraffa. Dunque, il lavoro, sì, oggi, ma nella crisi. E la crisi va vista nel duplice aspetto, di maledizione sociale, per il peggioramento che provoca nelle condizioni di vita dei lavoratori, e però di opportunità politica per l’occasione che offre di far ripartire forme di lotta e di organizzazione.

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Prendendo la Fiom sul serio

Riccardo Realfonzo

In pochi dubitano che il modello delle relazioni industriali del nostro Paese sia in crisi. Il punto è come uscirne, se spingendo ancora sulle leve della decentralizzazione contrattuale e della flessibilità, come chiedono la Fiat e l’intera Confindustria, ovvero se conservando il peso del contratto nazionale e irrobustendo le tutele del mondo del lavoro, come vorrebbero la Cgil e in particolare la Fiom che, a questo proposito, ha indetto la manifestazione nazionale del 16 ottobre.

Le ragioni dei sostenitori della decentralizzazione e della flessibilità vertono sulle esigenze di competitività del sistema produttivo nazionale. La tesi di fondo è che se le istituzioni del mercato del lavoro non si metteranno al passo con le trasformazioni dell’economia globalizzata, la dinamica del costo del lavoro per unità di prodotto delle imprese italiane si appesantirà ulteriormente rispetto ai competitor stranieri. Con effetti deleteri, tanto sugli equilibri della bilancia commerciale quanto sui livelli di occupazione. Si tratta di argomentazioni note, che godono di sostegno nella letteratura internazionale, e che hanno ispirato in Italia e in genere nei paesi industrializzati le politiche del lavoro, negli ultimi due decenni almeno.

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e l

Nel nuovo capitalismo ammortizzatori da ripensare

Bruno Amoroso*

La cassa integrazione era funzionale all’economia com’era prima della globalizzazione e della finanziarizzazione. Un obiettivo importante è quindi quello di sostenere un sistema di economie di comunità (già economia sociale) che si facciano carico di dare risposta ai problemi che emergono dal nuovo quadro

fiat terminiGli eventi ed il dibattito politico-sindacale sviluppatosi di recente a partire dalla cassa integrazione e poi estesosi al sistema degli ammortizzatori sociali mettono bene in evidenza la rilevanza del problema ed il bisogno di ripensare ed ampliare strumenti e politiche al riguardo. Tuttavia questo avviene tuttora con un approccio che considera fondamentalmente immutato il paradigma produttivo e politico generale e propone mutamenti tutti in chiave di ampliamento e quantità, ma non di qualità. Un approccio che attribuisce tuttora al sistema degli ammortizzatori sociali il ruolo di garantire un reddito minimo ai lavoratori in caso di disoccupazione e di consentire il mantenimento del loro livello di professionalità e del legame con il luogo di lavoro.

Entrambe queste funzioni, pensate prevalentemente per i lavoratori della grande industria e solo di recente estese ad altri gruppi di lavoratori, sono state ispirate dal contesto generale di funzionamento dell’economia capitalistica nei primi due decenni del dopoguerra e, quindi: 1) limitate al mercato del lavoro capitalistico ed ai gruppi più forti di questo; 2) guidate dal principio del ciclo capitalistico caratterizzato da fasi di recessione e da fasi di ripresa in un contesto di crescita economica.

L’ammortizzatore sociale consentirebbe la copertura dei redditi e della professionalità del lavoratore nell’impresa nelle fasi brevi della recessione, per poi riaffidare all’imprenditore la gestione del ciclo produttivo. Spettava allo Stato fornire mezzi e politiche per aree del bisogno sociale e del lavoro non coperte dall’economia capitalistica.

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e l

Furti pensionistici

Maurizio Benetti

Nonostante le ripetute assicurazioni del ministro Tremonti la pèrevidenza è stata di nuovo toccata, eccome! I meccanismi previsti dalla manovra e il successivo emendamento non solo alzano l’età pensionabile fin quasi di due anni, ma generano perdite ingiustificate fra il 3 e il 6% dell’importo. Resa inoltre onerosa la ricongiunzione nell’Inps

Per un governo che per bocca del suo ministro del Tesoro aveva affermato solo qualche mese fa che mai avrebbe messo mano alle pensioni il decreto legge 78 in corso di approvazione rappresenta una solenne smentita. Gli interventi sul sistema pensionistico sono pesanti e alcuni hanno il carattere di un vero e proprio furto a danno dei lavoratori.

L’intervento iniziale del governo si limitava ad una modifica delle cosiddette finestre di uscita, ossia del periodo intercorrente tra la maturazione del diritto a pensione e la decorrenza (il pagamento) della pensione stessa.

Le finestre sono state introdotte con la legge 335/95 e hanno rappresentato un espediente per risparmiare sulla spesa pensionistica. Il diritto si matura ad una certa età, ma la pensione si percepisce alcuni mesi dopo con un risparmio per lo Stato. Inizialmente erano previste solo per le pensioni di anzianità ed erano 4 all’anno con un intervallo massimo, quindi, di 3 mesi tra acquisizione del diritto e decorrenza della pensione. Le finestre sono state poi ridotte a 2 ed estese alla vecchiaia e alla pensione con 40 anni di contribuzione (legge 247/2007).

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controlacrisi

A proposito di Pomigliano

di Vittorio Rieser

un samizbar “inevitabile” anche se “lontano”

note di premessa
questo samizbar parte “dal punto di vista dell'azienda”, e arriva solo in seguito al punto di vista del sindacato: mi è parso utile “prendere in parola” l'azienda sui suoi obiettivi dichiarati, e vedere se l'accordo concluso era funzionale ad essi; questa prima parte di considerazioni (i primi due paragrafi) è stata scritta prima dell'esito del referendum, ma mi pare resti valida anche ora.

A) dal punto di vista dell'azienda

1. Gli obiettivi dichiarati della Fiat

Dunque, parto prendendo per buona l'enunciazione della Fiat, che vuole mantenere Pomigliano (anche a spese dei polacchi... ma su questo non mi soffermo), investendoci su, a condizione che vengano rispettati certi standards di efficienza, qualità, basso assenteismo, tali da compensare, almeno in parte, l'aggravio del costo del lavoro rispetto ai livelli polacchi.

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Il che fare di Pomigliano

Mario Tronti

operai 0111Lo slogan «da Pomigliano non si tocca a Pomigliano non si piega» è emerso dall'interno di una conricerca che un gruppo di giovani ricercatori del Crs sta conducendo da tempo in quella fabbrica insieme agli operai. Descrive l'arco di sviluppo della vicenda, fino all'esito a sorpresa del referendum: dalla difesa del posto di lavoro alla rivendicazione della dignità e della libertà del lavoratore. La posta in gioco infatti si è alzata. E chi l'ha alzata imprudentemente è stato l'intelligentissimo ed efficientissimo management Fiat, con una ben orchestrata manovra politica su una delicata situazione economica. Hanno commesso un errore. E una volta tanto hanno perso.

Non era solo Marchionne. E non ha perso solo lui. Mi sono chiesto: perché la questione Pomigliano è salita al centro dell'attenzione politica, primi titoli sui giornali, prima notizia nelle tv? Era forse morto per incidente sul lavoro un grappolo di operai, unico motivo di visibilità per queste sottopersone? No, semplicemente si tentava un colpo in fabbrica, in un pezzo di paese, per dire a tutti che cominciava una nuova età di rapporto tra impresa e lavoro - l'ormai famoso e incredibilmente supponente dopo Cristo - e che esemplificava brutalmente ed empiricamente l'intento più generale di rovesciare il dettato costituzionale del vetusto, avanti Cristo, art. I, Repubblica democratica fondata sul lavoro.

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Tina

There Is No Alternative to Pomigliano?

di Augusto Illuminati

Il motto del pensiero unico neo-liberista (e di ogni falsa coscienza totalitaria), secondo Noam Chomsky, è TINA: there is no alternative. E’ quanto ripetono ossessivamente, in merito all’accordo di Pomigliano, Tito Boeri e l’inviato speciale UE in Birmania Fassino (quanti turni fa a settimana?), Veltroni (ma non doveva andare ad affliggere l’Africa?) ed Enrico Letta, Colaninno e Chiamparino, Repubblica e il Sole-24 ore, il giuslavorista Ichino e l’inquisito Cosentino.

Defilata, invece, la volpe del Tavoliere, D’Alema. Un coro più ossessivo delle vuvuzela, cui di fatto si accodano Epifani e Bersani, con l’accortezza di un pronunciamento equanime fra le ragioni dei contendenti che maschera maluccio l’assenza di coraggio decisionale, magari di una decisione sbagliata. Certo, tutti sospirano, come per gli “inevitabili sacrifici” della manovra tremontiana. I più svegli (Boeri) ammettono pure che del ricatto Fiat non si può andare fieri, perché mette a nudo il nostro sistema arcaico di relazioni industriali, l’arretratezza meridionale, l’assenza di regole della contrattazione e della rappresentanza sindacale, le infiltrazioni della camorra, ecc.

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Lavora, riproduci, taci. La crisi e l'attacco ai diritti

Cristina Morini e Andrea Fumagalli

1. Il ritorno della Manchester dell'800

La vertenza in corso nello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco presenta alcuni elementi noti e insieme aspetti nuovi. Utilizzando il classico strumento del ricatto dei licenziamenti (la minaccia della chiusura dell’impianto con delocalizzazione in Polonia), la Fiat pretende di ottenere l'aumento del numero dei turni fino a 18, la riduzione della pausa mensa, la rinuncia preventiva al diritto di sciopero. In tal modo, sulla pelle degli operai, può essere mantenuta la promessa dei vertici aziendali di aumentare la produzione italiana (1 milione e 400.000 vetture).

Le richieste della Fiat sono, dicevamo, antichissime: si intensifica lo sfruttamento (al punto che chi finisce il proprio turno in carrozzeria alle 14 deve ripresentarsi in fabbrica alle 6 della mattina seguente), si rinuncia a qualsiasi forma di conflitto, si accetta la totale subalternità del lavoro alle logiche padronali. In altre parole, un ritorno alle fasi del primo capitalismo post rivoluzione industriale. Ma con una differenza sostanziale, però: le nuove tecnologie informatiche invece di concentrare la produzione in un unico posto, consentono un’organizzazione modulare e reticolare del lavoro e della filiera produttiva, con ovvi effetti di frammentazione e segmentazione spaziale del ciclo produttivo.

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bella ciao

Pomigliano come Alitalia

Pietro Ancona

Dopo il comunicato della segreteria del PD di disponibilità alle brutali ingiunzioni della Fiat ai lavoratori di Pomigliano speravo che la CGIL non vi si adeguasse ed intervenisse a difesa della posizione Fiom. Non è stato così e si sta ripetendo la situazione che portò al traumatico accordo per l’Alitalia. Allora la CGIL finì con l’apporre la sua firma accanto a quella di Cisl, Uil ed UGL che per giorni aveva criticato. Oggi i lavoratori dell’Alitalia sono regolati da un contratto che è forse il peggiore d’Europa. Hanno meno salario e possono accedere limitatamente a diritti pur garantiti dalla Costituzione.

Temo che accadrà lo stesso per i lavoratori di Pomigliano che sono già stati "posati" da Cisl ed UIL. La Fiom, l’unico sindacato che resiste, sta subendo un durissimo assedio. La Marcegaglia l’ha accusata di guardare all’indietro e di difendere i "grandi assenteisti" contro i lavoratori "sani". Insomma è passata alla criminalizzazione. Nessun rispetto per la più rappresentativa organizzazione dei meccanici. La Fiom non è l’avversario da convincere o da sconfiggere in una trattativa, ma il nemico da distruggere. Le cose che ha detto al Corriere della Sera Epifani fanno pensare che purtroppo non sosterrà il no della Fiom. La CGIL non rompe l’assedio della Fiom. Quando Epifani afferma che non possiamo perdere Pomigliano, senza aggiungere che ci sono condizioni sotto le quali non è possibile andare, ha difatto capitolato. Si limiterà ad una operazione di "riduzione del danno" chiedendo la cancellazione delle norme più sfacciatamente anticostituzionali. Proprio come fu per l’Alitalia.