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Perchè cancellare lo Statuto dei lavoratori?

Guglielmo Forges Davanzati

Il recente tentativo di approvazione del disegno di legge sull’arbitrato per la risoluzione dei conflitti sul lavoro – come è noto, rinviato alle Camere dal Presidente della Repubblica e al momento oggetto di rielaborazione - costituisce un passo ulteriore verso il definitivo superamento dello Statuto dei lavoratori e, dunque, nella direzione di un’ulteriore compressione dei diritti dei lavoratori. Obiettivo dichiarato del Ministro Sacconi è il passaggio dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori, che renda più “leggera” la normativa sul lavoro[1].

Il provvedimento non desta sorpresa dal momento che si inserisce lungo la direzione delle politiche finalizzate all’indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori; politiche che i Governi che si sono succeduti negli ultimi decenni hanno tenacemente perseguito. La logica economica – quella propagandata - che sta alla base di queste scelte risiede nella convinzione che la maggiore libertà di licenziamento fornisca alle imprese anche maggiore incentivo all’assunzione e che, dunque, la ‘flessibilità’ del lavoro vada a vantaggio dei lavoratori. Nel caso in esame, viene fatta valere la tesi di Giuliano Cazzola, relatore del disegno di legge alla Camera, secondo il quale “bisogna smetterla di considerare i lavoratori come dei minus habens, incapaci di scegliere responsabilmente e consapevolmente un percorso giudiziale o uno stragiudiziale, per dirimere le loro controversie di lavoro”.

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Quarant’anni fa. E oggi

Luigi Cavallaro

C’è un problema politico che conviene enunciare a chiare lettere, se vogliamo evitare che il quarantennale dell’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, caduto il 20 maggio scorso, diventi l’occasione per celebrarne il funerale. Si può porlo in forma di domanda: lo Statuto, complessivamente considerato, è compatibile o no con la «costituzione economica» fissata nel Trattato istitutivo dell’Unione Europea?

L’opinione prevalente risponde di sì. Specialmente tra i giuristi, l’Unione Europea è vista come uno spazio non solo compatibile con le garanzie giuridiche che il lavoro salariato ha saputo conquistarsi nel corso del XX secolo nell’ambito degli Stati-nazione, ma addirittura come il presupposto per la loro conservazione ed estensione anche a coloro che attualmente ne godono in misura ridotta o ne sono del tutto privi: in fondo, bisogna pur sempre ricordare che le disposizioni più penetranti dello Statuto – come quelle che concernono la presenza del sindacato in azienda o apprestano la tutela reintegratoria per il licenziamento illegittimo – si applicano soltanto ai lavoratori occupati all’interno di aziende che abbiano alle proprie dipendenze più di quindici dipendenti (ovvero oltre sessanta sul territorio nazionale).

È però indiscutibile che, nel nostro Paese, l’approfondirsi del processo d’integrazione economica europea, specie a partire dal 1992, si è accompagnato all’adozione di misure legislative che, pur senza formalmente intaccare i dispositivi dello Statuto, hanno in sostanza ridotto l’area della sua operatività anche all’interno delle imprese che prima erano tenute alla sua integrale applicazione:

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Cgil: la svolta c’è. A destra

di Dino Greco

Seguiamo sempre con particolare interesse i fatti del movimento sindacale italiano. Ed in modo speciale ciò che si muove dentro la più grande e prestigiosa delle organizzazioni dei lavoratori, la Cgil, che ha appena concluso i lavori del suo XVI congresso. Quest’attenzione, mista a speranza, dipende dalla convinzione che lì resiste ancora un punto di coagulo del lavoro proletario potenzialmente capace di produrre azione collettiva, conflitto sociale e consapevolezza di sé: come classe e - almeno nelle espressioni più mature - come soggetto politico. Non è cosa trascurabile, nello scenario cupamente degenerativo della politica e nello zoppicante barcamenarsi della sinistra italiana. Eppure, l’accumulo di temi, di domande e problemi irrisolti che reclamavano un serio sforzo di elaborazione non hanno per nulla trovato, nel semestre di dibattito precongressuale e, soprattutto, nel suo esito finale, una risposta convincente.

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Precarietà, flessibilità, creatività

intervista di Cesare Del Frate ad Enzo Rullani

copertina iNei suoi saggi, lei sostiene che la new economy adotta come principio la valorizzazione della complessità, piuttosto che il suo controllo. Che cosa si deve intendere per complessità in campo economico?

Il termine new economy oggi non va più di moda, dopo i fasti degli anni Novanta. Ma di quella stagione, passata la bolla speculativa che l’ha “bruciata”, rimangono due cose. La prima è la fabbrica flessibile, primo nucleo di intelligenza artificiale insediato nei processi produttivi, che può fornire una produzione “a lotto uno” (pezzi singoli), o in piccole serie, senza eccessiva crescita dei costi. La seconda è la rete globale e al tempo stesso capillare di Internet, che fornisce una formidabile base tecnologica per la divisione del lavoro cognitivo a scala molto estesa, tale da esaltare le chances del networking intellettuale e di business.

La complessità, intesa come varietà, variabilità e indeterminazione, costa oggi molto meno di una volta. L’impresa automobilistica che introduce nuovi modelli ogni mese, o il produttore di abbigliamento che pratica il “riassortimento continuo” in funzione delle vendite realizzate, giorno per giorno, nei negozi di tutto il mondo non sono più rare eccezioni.

Non c’è più il produttore che fa tutto da sé, secondo la regola fordista della massima integrazione verticale del ciclo produttivo. Oggi il tipico produttore manifatturiero lavora in filiera (dividendosi il lavoro con altri, a monte e a valle), si specializza in un particolare core business e ricorre estesamente all’outsourcing per tutto il resto, acquistando dai fornitori materiali, energia, componenti, semilavorati, lavorazioni conto terzi, servizi e conoscenze.

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essere comunisti

Il teatro delle bugie

di Pietro Ancona

L'articolo di Repubblica di ieri mattina con la notizia della perplessità del Presidente della Repubblica sulla ratifica della legge 1167 era stato accolto come un raggio di sole in una plumbea giornata di pioggia. L'articolo era talmente circostanziato e documentato da fare ritenere assolutamente attendibili le critiche formulate dal Quirinalle all'impianto della legge anti art.18. Subito dopo tutto il fronte dei fautori della legge si è messo in movimento per pressare il Quirinale e fargli capire che non deve tergiversare sul bottino più sostanzioso che il padronato è riuscito a scippare ai lavoratori dopo la legge Biagi. Sacconi, il Ministro della "complicità sindacati-padronato" ha emesso acutissimo strillo di protesta ed ha malignamente rinfacciato al PD e alla stessa CGIL il fatto che la legge ha subito ben quattro passaggi d'aula senza suscitare particolari contrarietà ed opposizioni.

Insomma ha fatto sapere a Napolitano che il fronte anti art.18 è bipartisan. Chiamato in causa, il PD, con una nota di Damiano e Berretta, si limita a chiederne una modesta limatura per rendere meno brutale il tritacarne dell'arbitrato. Contemporaneamente Sergio D'Antoni, ex segretario della Cisl ed autorevole esponente del PD, interviene per spezzare la sua lancia a favore dell'arbitrato.

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Che scandalo: il congresso Cgil discute su diverse scelte sindacali!

di Giorgio Cremaschi

Con l’accordo sottoscritto dai sindacati dei chimici dovrebbe essere chiaro a tutti che in Cgil ci sono linee diverse, se non opposte sulle scelte contrattuali. I chimici della Cgil hanno sostanzialmente accettato ciò che i metalmeccanici della Cgil hanno totalmente respinto. Questa diversificazione profonda non avviene su una piccola questione, ma su temi di fondo che riguardano il futuro dei contratti nazionali, i diritti, il salario flessibile, insomma, sulla vita stessa del sindacato. E’ incomprensibile allora lo scandalo di chi si lamenta che questo congresso sia con diverse mozioni. Dovrebbe essere normale che un congresso decide sulla politica sindacale e che quando ci sono posizioni diverse, siano gli iscritti a scegliere. E’ chiaro che non possono avere contemporaneamente ragione coloro che accettano il nuovo sistema contrattuale e coloro che lo respingono subendo gli accordi separati. Continuare a far finta che scelte opposte siano valide entrambe è un segno di crisi della Cgil che va affrontato fino in fondo.

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essere comunisti

Un attacco devastante ai diritti dei lavoratori

di RdB

Approvata dalla Camera, la Proposta di Legge “Collegato Lavoro” ora passa al Senato

Il Disegno di Legge “Collegato Lavoro” garantisce nuove tutele per le aziende ai danni dei lavoratori: più difficile vincere cause di lavoro, impugnare licenziamenti ingiusti, ottenere giusti risarcimenti. Particolarmente garantite le aziende che fanno ricorso massiccio allo sfruttamento del lavoro precario.

Diventerebbe legge la possibilità di derogare ai CCNL, “certificando”, tramite commissioni, i contratti individuali contenenti clausole peggiorative: viene limitata la giurisdizione del giudice e si incentiva il ricorso all’arbitrato.

Certificazione dei contratti e arbitrato: vi è la possibilità di assumere lavoratori con il ricatto di sottoscrivere un contratto individuale “certificato”, dove si certifica la “libera volontà” del lavoratore di accettare deroghe peggiorative a norme di legge e di contratto collettivo, e dove il lavoratore rinuncia preventivamente, in caso di controversia o licenziamento, ad andare davanti al magistrato (rinunciando alla piena tutela delle leggi): in questo caso, il giudice viene sostituito da un collegio arbitrale che può decidere a prescindere dalle leggi e dai contratti collettivi; massima discrezionalità, da parte del collegio arbitrale, nei casi di vertenza per i lavoratori assunti con contratti precari e atipici (determinati, cocopro ecc…).

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Il ricatto occupazionale

Marco Cedolin

La crisi economica continua a manifestarsi foriera di opportunità per l’imprenditoria di rapina, governata da banche e multinazionali, che proprio fra le pieghe del tracollo economico passato e venturo sta portando a compimento tutta una serie di obiettivi che solo una decina di anni fa sarebbero sembrati eccessivamente ambiziosi e difficilmente raggiungibili.

La progressiva limatura al ribasso dei salari (reali) dei lavoratori, la soppressione dei diritti acquisiti nel tempo, ottenuta con la complicità dei sindacati e la sempre maggiore diffusione del dumping sociale, hanno rappresentato gli strumenti attraverso i quali il lavoratore è stato deprivato della propria dignità e trasformato in una figura precaria, priva di coordinate, costretta a manifestarsi prona a qualsiasi capriccio o volere gli venga imposto in funzione di un interesse superiore.

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Il sindacato in mezzo al guado

Giuliano Garavini

Il sindacato ancora non riesce a scegliere se divenire definitivamente un sindacato "concertativo", cioè concentrato sul negoziato con il Governo in carica e l'offerta di servizi alle imprese, o un sindacato impostato su conflitto, partecipazione e l'eguaglianza fra i lavoratori

Una volta in mezzo al guado ci stava il Partito comunista. Non seppe scegliere alla fine degli anni Settanta se trasformarsi definitivamente in un credibile partito socialdemocratico, oppure se riprendere le fila di una serrata critica del capitalismo che gli avrebbe imposto un rinnovamento del suo armamentario ideologico e un legame con i fermenti sociali più innovativi.

Oggi in mezzo al guado c'è il sindacato, il quale ancora non riesce a scegliere se divenire definitivamente un sindacato "concertativo", cioè concentrato sul negoziato con il Governo in carica e l'offerta di servizi alle imprese, o un sindacato impostato su conflitto, partecipazione e l'eguaglianza fra i lavoratori.

Nel 1993 i sindacati confederali avevano scelto insieme la concertazione, credendo di avere di fronte interlocutori credibili e fissandosi il grande obiettivo della partecipazione con il gruppo di testa alla moneta unica. In nome di questo "obiettivo Europa" essi hanno chiesto sacrifici ai lavoratori, che sono stati rilevanti, e hanno chiesto garanzie sugli investimenti. Nessun investimento sui servizi e le infrastrutture del Paese è stato realizzato ma solo privatizzazioni, mentre l'obiettivo dell'euro è stato, quello sì, centrato.

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Addio bandiera rossa, addio

Paolo Graziano, Ignazio Riccio

Ritratti di famiglia: quelli che la sinistra non riesce più a rappresentare

1. Breve apologo

Qualche tempo fa, di domenica mattina, alla stazione centrale di Napoli si poteva incontrare un noto ex deputato meridionale della sinistra radicale in procinto di prendere il treno con quattro o cinque amici. È uno dei reduci del disastro della lista Arcobaleno, qui lo conoscono in molti: in Parlamento non è stato rieletto - come tutti i suoi sodali, d’altronde - così combatte la nostalgia e l’horror vacui con qualche gitarella fuori porta nei giorni festivi. Prende il treno di buon mattino, in poco più di un’ora scende a Roma Termini (c’è l’Alta Velocità oramai), ferma un taxi e si fa accompagnare a Montecitorio per una colazione con i compagni di viaggio alla buvette della Camera. Poi, se c’è tempo, si fa dare anche una ripassatina dal barbiere. Il tutto a prezzi - quelli riservati a deputati ed ex deputati - che potremmo definire “popolari”, se non fossero riservati invece alla più arrogante delle élite. Ma ciò che appare davvero poco “popolare” è che a gozzovigliare tra i privilegi siano i rappresentanti di quella che una volta si chiamava la Classe, quelli che Pasolini definiva «un Paese pulito in un Paese sporco»(1); probabilmente reduci anche loro della lunga disillusione della sinistra italiana, essi si sono ridotti a non rappresentare altro che i propri interessi.

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fatto quotidiano

La roulette dei fondi pensione

di Beppe Scienza*

economia25La verità dà fastidio a chi prospera sull’inganno. Non stupiscono quindi le reazioni a un recente servizio sulla previdenza integrativa, realizzato in maniera magistrale da Piero Riccardi e trasmesso da RaiTre nella puntata di “Report” del 15 novembre 2009. Venivano fuori infatti le perdite anche per soluzioni gabellate per sicure, la generale assenza di trasparenza e gli endemici conflitti d’interessi, tipici del settore. Non avendo però elementi per confutare pubblicamente quasi nessuna delle affermazioni dell’autore o degli intervistati (fra cui il sottoscritto), molti fondi pensione tentano di smontarle con volantini, circolari ed e-mail inviate ai loro aderenti e ai lavoratori. In loro aiuto sono poi accorsi quei sindacati, quasi tutti, che traggono vantaggi dalla previdenza complementare. Non sarà quindi inutile smontare le principali falsità che diffondono. Sono soprattutto due i tasti su cui costoro battono: i vantaggi fiscali e il contributo del datore di lavoro. È ciò che fa per esempio un volantino del sindacato dei metalmeccanici Fim-Cisl. Peccato che siano due tasti stonati, perché i conteggi che diffondono sono fuorvianti quando non taroccati di sana pianta.

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infoaut

La società attiva nel consumare la vita

di Nicola Casale e Raffaele Sciortino

Il Libro Bianco di Sacconi "La vita buona nella società attiva" non è l'ennesima picconata al traballante edificio del welfare state, ma vuole essere l'ultima vangata che ne spazzi via i residui. Il leit-motif non a caso non è più la compatibilità di bilancio, ma "l'autosufficienza di ciascuna persona", la sua "centralità, in sé e nelle proiezioni relazionali", con "comportamenti e stili di vita responsabili, utili a sé e agli altri".

L'obiettivo è eliminare l'egoismo corporativo che spinge i lavoratori a stare sul mercato come soggetto collettivo anziché da individui. Il momento è propizio: due sindacati hanno dimesso ogni "collettivismo". Il terzo si macera nel dilemma tra resistenza e accodamento, verso cui spinge anche l'ex-referente politico (Pci-Pds-Ds)-Pd. Il quarto (extra-confederali) fatica a diventare un soggetto di peso.

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La vera dimensione della crisi occupazionale

Francesco Pirone*

L’impatto della recessione economica internazionale sul mercato del lavoro italiano è sempre più evidente com’è dimostrato dall’emergere di sempre nuove e più gravi crisi aziendali e occupazionali, dall’inasprirsi del conflitto sindacale – che rispetto ai mesi passati sta trovando un po’ più di spazio in quotidiani e telegiornali – e dal diffondersi di condizioni, spesso drammatiche, di disagio sociale. La situazione non migliorerà nei prossimi mesi, anzi le proiezioni economiche diffuse dall’OECD nelle scorse settimane segnalano che nel prossimo anno la disoccupazione per l’Italia continuerà ad aumentare, pur in un contesto di lieve ripresa economica[1].

Le statistiche sul tasso di disoccupazione, però, non colgono che una parte dell’attuale crisi occupazionale, sia per distorsioni tecniche nella misurazione della disoccupazione, come si avrà modo di chiarire, sia perché il disagio materiale dei lavoratori è anche legato alla precarizzazione dell’occupazione che s’intreccia all’assenza di lavoro.

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e l

Troppa flessibilità fa male ai muscoli

Carlo Clericetti

Di che cosa si parla quando si discute di posto fisso? I discorsi degli imprenditori e di molti economisti sottintendono una realtà inesistente, ossia che l'impresa non abbia possibilità di dosare il fattore lavoro secondo le esigenze produttive. Sarebbe invece più utile, guardando alla storia del XX secolo e degli ultimi 30 anni in particolare, chiedersi se la flessibilità non sia nociva per l'economia in generale e anche per il funzionamento delle imprese

Il dibattito sul “posto fisso” innescato dalla recente dichiarazione di Giulio Tremonti assume certamente, come è stato sottolineato da alcuni esponenti del centrosinistra, aspetti piuttosto paradossali in un periodo di forte crescita della disoccupazione, che peraltro cancella prima di tutto tutta la gamma dei posti a vario titolo “flessibili”. Eppure sarebbe un errore concentrarsi su quest’ultimo aspetto ed evitare quindi una discussione nel merito. Perché è proprio questo tipo di discussione che stanno invece portando avanti tutti i sostenitori della flessibilità, per riaffermare concetti che negli ultimi due decenni hanno contribuito a quel corpo di teorie diventato tanto dominante da meritare di essere chiamato “pensiero unico”.

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Le illusioni della Flexsecurity

Guglielmo Forges Davanzati

 mondo lavoroL’Italia è, al tempo stesso, il Paese che – in Europa - ha dato maggiore impulso alle politiche di precarizzazione del lavoro e minore sicurezza a chi perde lavoro. Sul piano normativo, è opportuno ricordare che il nostro ordinamento prevede, in caso di licenziamento, il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni ordinaria o strutturale (a seconda che si tratti di difficoltà aziendali di natura congiunturale o strutturale) e il ricorso alla mobilità nei casi di difficoltà aziendali irreversibili. L’ammontare del sussidio è stabilito in fase di programmazione economica ed è quantificato nella Legge Finanziaria. Vi è poi la possibilità di accedere all’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti per i lavoratori in stato di disoccupazione involontaria, con almeno due anni di assicurazione, che abbiano prestato almeno 78 giornate di lavoro con regolare contribuzione. Nel suo ultimo rapporto, l’OCSE, prevedendo il rischio di una disoccupazione a due cifre in Italia nel 2010, certifica che, al momento, i lavoratori più colpiti dalla crisi sono i giovani e i precari: in un anno l’Italia ha perso 261.000 posti di lavoro temporanei o con contratti atipici (inclusi i collaboratori coordinati e continuativi e occasionali).