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Coordinamenta2

La “vera democrazia”

Introduzione

di Elisabetta Teghil

Elisabetta Teghil, Mai contro sole, Bordeaux 2018

102834525 1969e6de ec0e 41f5 9c30 2f8ad6f7e9da«La “vera democrazia” si attuerà quando saremo tutt* colpevol*.»

La nostra società si sta esprimendo ed ha compiuto atti importanti nella realizzazione dello sfruttamento illimitato. Questa violenza strutturale si è incarnata nell’ideologia neoliberista che è una sorta di macchina infernale e che è stata veicolata attraverso la divinizzazione del potere dei mercati. Sotto gli occhi di tutti ci sono gli effetti di questa nuova organizzazione sociale a partire dalla miseria di una parte sempre più grande delle società economicamente più avanzate e lo straordinario aumento del divario fra i redditi. Quindi, un’affermazione scomposta della vita personale intesa come una sorta di darwinismo che instaura la lotta di tutti contro tutti, il cinismo come norma, la ricchezza come premio di questa selezione, la traduzione nella vita quotidiana con l’assuefazione alla precarietà, all’insicurezza e all’infelicità che permea l’esistenza. Con una precarizzazione così diffusa da ridurre il lavoratore/trice a mano d’opera docile sotto la permanente minaccia della disoccupazione. L’aspetto paradossale è che questo ordine economico e sociale si spaccia e si promuove sotto il segno della libertà e addirittura come società armoniosa.

E’ questo un momento storico che produce un inaudito cumulo di sofferenze. Tutto ciò a partire dal dominio assoluto della flessibilità con contratti a tempo determinato, con assunzioni ad interim, con una concorrenza spietata, non più quella tradizionale fra imprese, ma oggi all’interno della stessa impresa tra lavoratore e lavoratore con l’individualizzazione del rapporto salariale, con l’introduzione di colloqui preassunzione e successivamente di valutazione individuale. La valutazione permanente con una forte dipendenza gerarchica, con lo spacciare i lavoratori come categoria di operatori autonomi, con l’estensione a tutti del ”coinvolgimento” si traduce in un iperinvestimento sul lavoro e in una perenne condizione di insicurezza che tende ad abolire i riferimenti e le solidarietà collettive.

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petiteplaisance

«Intus legere» La Matrix europea e il gruppo Bilderberg

di Salvatore Bravo

51pl80vRtSL. SY445 QL70 ML2 La prassi è sempre sincrona alla teoria, alla comprensione, la quale è sempre un atto intellettuale, ovvero “intus legere”: capire significa leggere dentro, astrarre la verità dalla contingenza, apparentemente costituita da frammenti, da situazioni frammentate. In realtà esse hanno il loro senso nel substrato che dà significato all’empirico. Il periodo attuale, ormai trentennale, ha la sua verità nella tecnocrazia di sistema. La tecnocrazia è altro dalla scienza: essa ha il fine di trasformare ogni ente in fondo per il plusvalore. La crematistica risponde alla legge della tecnocrazia globale, entifica popoli e culture al fine di trasformare ogni esistente in plusvalore da consumare ed immettere sul mercato. Il nichilismo è diventato la legge dell’occidente globale. Gli esseri umani si differenziano dagli altri enti, solo poiché ricoprono una doppia natura storicamente indotta: produttori e consumatori. Il tempo ciclico della produzione esige che vi siano consumatori: senza la doppia natura innestata dal sistema tecnocratico l’economicismo non reggerebbe. La tecnocrazia non è un fenomeno naturale, la sua pervasività capillare è sicuramente favorita da condizioni storiche, ma curvare queste ultime per teleologie di questo genere è possibile solo in presenza di lobby organizzate per tali finalità. La democrazia boccheggia sotto i colpi di gruppi di privilegiati che costruiscono progetti per i popoli utilizzando il loro immenso potere economico per determinare le decisioni degli Stati. Il gruppo Bilderberg è la cupola finanziaria all’interno della quale non lavorano solo finanzieri, ma anche manager, giornalisti e carrieristi che in nome “del martello dell’economia” sono disponibili a mettere in pratica cinici propositi:

«Stando alle notizie raccolte, la conferenza del Bilderberg sarebbe organizzata da una commissione permanente, detta anche Comitato Direttivo (Steering Committee), della quale fanno parte alcuni membri di circa diciotto nazioni differenti.

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nuovadirezione

Uber, Facebook, Twitter e YouTube: il capitalismo californiano non è più intoccabile

di Redazione

images 71Una inchiesta esplosiva e misure senza precedenti. Il mondo dei social e delle piattaforme è sotto attacco da più parti. Il tratto comune è la fine della sua ‘eccezionalità’ che fino ad ora ha circondato con un’aura di intoccabilità tutto quel che odorava di capitalismo californiano.

1. La Guardia di Finanza ha svolto un’indagine sui fattorini ed i subfornitori della Uber Italia S.r.l., articolazione di una società olandese ed emanazione della casa madre di San Francisco. Per un anno, su disposizione del Pubblico Ministero la società sarà gestita in regime di “amministrazione giudiziaria” dal tribunale di Milano. Per il magistrato l’azienda operava in regime di omessi controlli e si creavano “i presupposti della sopraffazione retributiva e trattamentale”. Che cosa significa? Che, tramite società subordinate, per 3 euro a consegna in qualunque condizione e giorno il sistema creato intorno a Uber Eats vessava i fattorini, per lo più immigrati, minacciandoli anche fisicamente e sottraendogli le mance e le ritenute. Il titolare e l’amministratore della società fornitrice, ovvero del subfornitore di servizi (in forza di un “contratto di prestazione tecnologica”) sono indagati per reati gravi come “caporalato” e riciclaggio, avendo trovato ingente denaro contante nella sede. L’intera catena di società macinava utili, canalizzati verso i paradisi fiscali europei, mentre i lavoratori venivano sfruttati selvaggiamente in spregio a norme e regolamenti sulla sicurezza del lavoro e sanitari. Come si legge su La Repubblica, il Corriere della Sera ed il Sole 24 Ore, i giudici di Milano ritengono che le società fornitrici sfruttassero migranti, anche irregolari, richiedenti asilo e persone risiedenti presso centri di accoglienza temporanea.

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sinistra

Capitalismo finanziario

di Salvatore Bravo

03 capitalismo senza societa 1Capitalismo astratto

Il terzo libro del Capitale di Marx pubblicato da Engels nel 1894 è sostanziale per comprendere dinamica ed effetti dei processi di capitalizzazione. L’analisi di Marx svela e rivela il fondamento veritativo del capitalismo finanziario. L’accumulo si struttura in assenza del capitale materiale, il quale è solo titolo di credito. Il capitale d’interessi si moltiplica in modo geometrico autoproducendosi, nuova divinità terrena che si autocrea e si autopone dal nulla, pertanto è ontologicamente ostile alla vita ed al lavoro. Divora i debitori, le loro vite e le muta in “interessi” con cui accumulare capitali, la cui genesi non è il lavoro, ma il tasso d’interesse. I debitori hanno perso il controllo del loro debito, sono oggetto di processi finanziari. La vendita dei titoli di credito è percepita dai capitalisti della finanza solo come fonte di investimento ed accumulo. Le vite dei debitori scompaiono dietro i titoli di credito, per lasciare al loro posto solo il calcolo degli interessi. Ogni debitore è così solo un numero, una data in scadenza, un nemico da cui astrarre la linfa vitale che tiene in vita il capitalismo finanziario. L’essere umano è trasformato in fonte per l’accumulo. Al capitalista non giunge nulla della sua sofferenza e della quotidiana tragedia per sopravvivere. Il debitore, in questo gioco, è sospinto nel suo olocausto, poiché se non sta al gioco del grande capitale è sospinto ulteriormente ai margini del sociale, è il paria da cui tutti fuggono. La violenza del capitalismo finanziario agisce secondo diverse direttive: dall’alto esige il pagamento con gli interessi in date non contrattabili, ma vi è, anche, la violenza orizzontale che fortifica l’automatismo finanziario. Il debitore subisce i sospetti del suo contesto di relazionale, lo si fugge e disprezza, poiché la religione del capitale non perdona gli sconfitti.

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sinistra

Il neoliberismo non è una teoria economica

Seconda parte* (Qui la prima parte)

di Luca Benedini

Le specifiche e colossali contraddizioni interne dell’austerità predicata dai vertici di Fmi e UE

hayek 1160x653Sulla mancanza di effettive giustificazioni economiche nei meccanismi di austerità antipopolare previsti da organismi come il Fondo monetario internazionale (Fmi) o l’UE vi è una letteratura ormai vastissima, data la sostanziale assenza di concreti riscontri storici all’ideologia neoliberista secondo cui affidarsi al neoliberismo – rinunciando in gran parte o addirittura del tutto ai vari tipi di intervento pubblico indirizzati a ovviare ai “fallimenti del mercato” – dovrebbe provocare vantaggi economici a tutte le classi sociali e a tutti i ceti.

Se vi è stato qualche momento e luogo in cui il passaggio al neoliberismo ha apportato vantaggi economici un po’ all’intera società, è stato semplicemente perché in quel luogo l’approccio politico-economico precedentemente dominante era divenuto così corrotto, incompetente e/o burocratizzato da causare gravi danni al fluire di tutta l’economia locale. Non è stato il neoliberismo quindi ad apportare quei vantaggi, ma semplicemente l’aver ridotto il peso e la portata di quei fenomeni di corruzione, di incompetenza e/o di eccessiva e inutile burocrazia. Quei vantaggi ci sarebbero stati – e pressoché certamente in una maniera nettamente più equilibrata tra i vari ceti sociali – anche con un approccio keynesiano lucido, onesto e capace di effettiva pragmaticità (che era appunto l’approccio rivendicato dallo stesso Keynes, il quale detestava sia quei fenomeni sia altre forme di allontanamento dalla pragmaticità produttiva come l’espandersi delle speculazioni finanziarie e l’insistere in economia su dei concetti ideologici senza mettersi profondamente a confronto con la concreta vita economico-produttiva del luogo).

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sinistra

Il sistema-mondo, il neoliberismo e il malsviluppo alla luce della pandemia

di Giorgio Riolo

Il Covid-19 come catalizzatore-rivelatore di come funziona il mondo. Alcune considerazioni e alcune alternative

In brasile fase di sanificazione nelle cittaLa solidarietà è la cura. La giustizia sociale è il vaccino.
Transnational Institute

1. Alcune premesse metodologiche

Molti contributi, analisi e proposte, attorno alla pandemia e alla crisi in atto si sono prodotti nel mondo. Il pensiero nella sinistra mondiale è stato ed è ricco, fecondo di proposte. Ha delineato scenari, prospettive e alternative. La presente svolta storica avrà conseguenze di enorme portata.

La dialettica è materia scolastica, filosofica propriamente. L’attuale preoccupante passaggio storico mostra in modo perfetto cos’è questa cosa. Così ostica per l’intelletto comune, per il normale pensiero della vita quotidiana.

La deforestazione, la manomissione e la manipolazione di ecosistemi delicati e gli enormi allevamenti intensivi di animali per l’alimentazione umana (suini, polli, bovini ecc.) sono all’origine del sorgere e del mutare di virus patogeni nuovi per gli esseri umani. Come è avvenuto nel recente passato per lo Hiv, Ebola, l’influenza suina, l’influenza aviaria, la Sars e la Mers. La recente pandemia Covid-19 da Sars-CoV-2 rientra in questa fenomenologia.

Fenomeni della ecopredazione ai fini dell’accumulazione e del profitto sfociano processualmente in un fenomeno sanitario esplosivo. La pandemia non è destino cinico e baro. Era annunciata. È il risultato della logica perversa del sistema.

La sua enorme diffusione su scala mondiale, la mortalità indotta, l’enorme impatto sui vari sistemi sanitari, esistenti o non esistenti, come in molte aree del Sud del mondo, le gravi conseguenze economiche e sociali in corso, la messa in discussione degli assetti democratici e politici e della convivenza umana costituiscono un fenomeno inedito rispetto alle precedenti crisi sanitarie e alle precedenti crisi economiche.

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commonware

Il capitalismo non è in quarantena

Innovazione e conflitti nella crisi da Covid-19

Giuseppe Molinari e Loris Narda intervistano Salvatore Cominu

lp 11240310A partire dagli spunti contenuti nel libro Frammenti sulle macchine, pubblicato per la collana Input di DeriveApprodi, discutiamo con Salvatore Cominu gli effetti che gli sconvolgimenti dell’emergenza sanitaria ed economica avranno sui processi di innovazione capitalistica, sulle prospettive di rilancio dell’accumulazione, sulle possibilità di un contro-uso della crisi. 

* * * *

È innegabile che la crisi da Covid rappresenti un acceleratore dei processi di ristrutturazione capitalistica – pensiamo ad esempio alla spinta alla digitalizzazione del lavoro o della formazione – e una ghiotta opportunità per i Big Tech e per le altre imprese che vengono solitamente raggruppate sotto la definizione di «capitalismo delle piattaforme». È altrettanto vero che la crisi ha mostrato le fragilità strutturali dell’organizzazione capitalistica odierna: siti web che non reggono il numero degli accessi, catene di distribuzione incapaci di gestire il quantitativo d’ordini, l’improvvisazione su didattica a distanza e smart working. Si può dire che negli ultimi anni si è aderito pedissequamente alle retoriche capitalistiche sottovalutando lo scarto che c’è tra di esse e quello che effettivamente vediamo?

L’innovazione tecnologica è anche hype, l’innovatore e il suo venture capitalist sono attori che dialogano con i mercati corporate e finanziari, sono produttori di retoriche che spingono le aspettative, enfatizzando le utilità per i compratori (le imprese, gli individui, le organizzazioni) e il valore atteso che alimenta, in ultimo, le convenzioni finanziarie.

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mondorosso

Politica-struttura e socializzazione delle perdite

di Alessandro Pascale e Roberto Sidoli

crisis8764Nel capitalismo di Stato contemporaneo assume ormai un ruolo sempre più importante la praxis e la regola antiliberista della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite a favore dei grandi monopoli privati. Si tratta di un segmento della sfera politica borghese nella quale emerge con particolar evidenza, a partire dal 1929, la funzione concreta assai rilevante svolta da quest’ultima in qualità di “espressione concentrata dell’economia” (Lenin, 1921) e della politica-struttura, intesa come l’insieme delle azioni materiali degli apparati statali che modificano e influenzano in prima persona, in modo più o meno costante e con effetti sensibili, proprio il processo di produzione delle variegate formazioni economico-sociali di matrice capitalista.

A tal proposito l’inizio del 2020 ha mostrato una vera e propria orgia di aiuti statali e parastatali (quali le banche centrali degli USA, dell’Europa e del Giappone) a favore delle grandi imprese private, dei “too big to fail” delle metropoli imperialistiche, demolendo e ridicolizzando – come durante la gravissima crisi economica e finanziaria del 2007-2009 – per l’ennesima volta la logora favoletta relativa alle presunte virtù taumaturgiche del libero mercato e della sua presunta “mano invisibile”. Molto visibile e concreta, viceversa, si è rilevata la “mano” e la pratica politico-economica dell’amministrazione Trump, a favore della finanza e dei grandi trust statunitensi.

 

– Negli USA

Secondo Fabio Scacciavillani, professore di economia e commercio alla Luiss di Roma, il ruolo della banca centrale negli USA è di «garantire i profitti della Borsa», piuttosto che di «assicurare la stabilità dei prezzi».

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infoaut2

Pandemia logistica

La crisi vista dalle infrastrutture del capitalismo avanzato

di ACTA

Pubblichiamo la traduzione del testo Pandémie logistique. La crise sanitaire depuis les infrastructures du capitalisme avancé scritto da ACTA. Una lettura utile e puntuale sul paradossale statuto della logistica emerso con evidenza in questa crisi, il suo essere presentata al contempo come causa della diffusione pandemica e come sua possibile 'soluzione'. Nell'articolo si discutono inoltre i conflitti che si stanno producendo nel "settore" logistico (che in Francia impiega ormai un quarto della forza lavoro), nella loro rilevanza 'essenziale' sia dal punto di vista del capitale che da quello di classe.

eae8a18d6a7e9bd3d9167d60e177634a XLOgni crisi - sia essa economica, politica o sanitaria - aggrava e rende visibili le strutture, le logiche profonde e le contraddizioni di una società data. In quello che stiamo vivendo, la logistica si sta affermando ancora una volta come campo strategico e come “tallone d'Achille” dell'economia globalizzata. Dai lavoratori nei magazzini catapultati in “prima linea” alle catene di fornitura globali che diffondono il virus, dagli aerei da carico che consegnano maschere dalla Cina agli scandali sanitari nei magazzini, il settore della logistica prende in prestito a turno l'immagine del salvatore e del colpevole. Al fine di individuare linee di analisi e prospettive di intervento politico, a metà marzo è stata avviata un'indagine collettiva, attraverso la creazione di un Gruppo di indagine logistica (GEL). Questo testo è la prima sintesi di un lavoro collettivo ancora in corso.

* * * *

Pandemia just-in-time

Più che mai, l'attuale crisi sanitaria mette in evidenza la “logisticizzazione” del mondo. La pandemia segue le rotte del commercio mondiale e fa parte di una generazione di virus la cui nocività non è tanto contenuta in nuove forme biologiche quanto in modalità accelerate di trasmissione e circolazione. Viaggiando su esseri viventi o oggetti, su camion, autobus, aerei o navi da carico, nei mercati, negli aeroporti e nelle metropoli, il Covid-19 si inserisce in ogni poro (e porto) delle economie globalizzate. Segnando le infrastrutture del capitalismo di un’impronta virale, esacerba e rende visibile la loro nocività.

La dipendenza fondamentale del capitalismo dalle infrastrutture logistiche globali ha provocato reazioni politiche contraddittorie, che inizialmente hanno consistito nel brandire la chiusura delle frontiere, come se la pandemia fosse sensibile ai riflessi nazionalistici.

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lafionda

Il virus che c’era già. Neoliberalismo e pandemia

di Fabrizio Capoccetti

neoliberalism face 768x384La situazione in cui ci troviamo a vivere da due mesi a questa parte è estremamente difficile, anche se, tuttavia, non è mai stata improbabile; e ciò perché, se – come capita spesso di leggere – in un mondo globalizzato è «naturale» incorrere in virus e pandemie, a giudizio di chi scrive a non essere «naturale» è proprio la vita in un mondo globalizzato, o che si concepisce come tale. Il mondo non è un flipper in cui milioni di persone possano spostarsi come biglie impazzite da un angolo all’altro del «globo» e, con il loro stile di vita, far girare come trottole merci, cose, persone e virus. Il «villaggio globale» non esiste se non come distopia – ahinoi – già realizzata, in cui a imporsi è il multiculturalismo, un’ideologia intrinsecamente «debole»[i] che «divide e indebolisce»[ii]; un’ideologia che ha finito per indebolire i più deboli e favorire i più forti. La «società aperta»[iii] e globalizzata si è rivelata essere – come osserva il geografo francese Christophe Guilluy – «la più grande fake news degli ultimi decenni»[iv], null’altro che l’arroccamento delle classi dominanti in un «mondo di sopra» chiuso «nei suoi bastioni, nei suoi lavori, nelle sue ricchezze»[v], eretto sulle macerie di un «mondo di sotto»[vi] espropriato dei mezzi necessari e indispensabili a poter garantire la tenuta dei legami sociali.

Si tratta di un fenomeno inedito, una rottura storica che inaugura l’«epoca della a-società»[vii], una società «delle minoranze e delle maggioranze relative»[viii], in cui non vi sono più né distinzioni sociali né culturali; una rottura che non passa più attraverso la lotta frontale delle classi sociali, bensì attraverso la sua negazione: «un gioco di specchi che con astuzia produce la progressiva invisibilità dei più umili»[ix].

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operaviva

Sovranità di Stato o solidarietà comune

di Pierre Dardot, Christian Laval

Dubai city e14094049491661Ora che la morte è ovunque, si torna a sperare nello Stato. Nel 1978-79, Foucault parlava di biopolitica: a partire dal XVIII secolo, lo Stato moderno diventa il garante della vita, fa vivere e lascia morire, a differenza del vecchio sovrano investito dal diritto terribile di far morire. Potere di gestione della vita piuttosto che potere di disporre della vita. Oggi la popolazione si accorge, con terrore, dell’imprevedibilità criminale delle autorità pubbliche che, per risparmiare sui conti della serva, sotto la pressione del ministero dell’Economia e Finanza e della Corte dei conti, rigorose vestali delle norme europee, hanno deliberatamente ignorato i moniti dei ricercatori sul rischio pandemico. Lo Stato, d’altra parte, espone all’infezione gli operatori sanitari, chi quotidianamente lavora e tutti coloro i quali sono costretti, senza maschere di protezione, ad andare al fronte di produzione, per poi estendere l’esposizione all’intera popolazione, sostenendo che l’uso delle mascherine era riservato solo agli operatori sanitari e ai portatori del virus.

Lo Stato neoliberale degli ultimi trenta o quarant’anni rivela così violentemente il suo rovescio necropolitico, per dirla con Achille Mbembe. E scopriamo che incarna una nuova forma del potere sovrano di disposizione della vita. Si può parlare, dunque, di un’esposizione calcolata alla morte di interi settori della popolazione, cinicamente sacrificati alla logica del massimo profitto e della riduzione dei costi. In un’intervista a «Le Monde» pubblicata il 24 marzo1, Giorgio Agamben si rifugiava nell’argomentazione di «cospirazioni per così dire oggettive», fino ad appellarsi a Foucault per meglio giustificare di aver parlato a febbraio dell’«invenzione» di un’epidemia.

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economiaepolitica

Le nuove frontiere del capitalismo: il mercato delle libertà nel pensiero di Shoshana Zuboff

di Sergio Marotta

unnamed86432I nuovi padroni dell’economia globale

L’attuale emergenza sanitaria globale da coronavirus ha spinto anche quelli che fino ad ora avevano fatto resistenza a spostare il centro della propria vita dalla realtà materiale a quella virtuale del web. Ciò rende ancor più attuale l’analisi compiuta da Shoshana Zuboff in un libro molto fortunato e molto discusso, Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri (Luiss University Press, Roma, 2019). La studiosa americana ha descritto nella sua pluriennale ricerca gli assetti della nuova forma assunta dal capitalismo al tempo della rete e delle grandi piattaforme informatiche.

«Il capitalismo della sorveglianza – sono parole della Zuboff – non è una tecnologia; è una logica che permea la tecnologia e la trasforma in azione. Il capitalismo della sorveglianza è una forma di mercato inimmaginabile fuori dal contesto digitale, ma non coincide col “digitale”»[1].

La trasformazione tecnologica epocale che ha visto la rete internet entrare prepotentemente nella nostra quotidianità non ha avuto lo sviluppo che i più ottimisti immaginavano. Non è stata lo spazio per nuovi legami sociali globali ispirati al benessere collettivo e alla convivenza pacifica tra popoli diversi e diverse culture, ma ha fornito piuttosto lo strumento indispensabile alla nascita di una nuova forma di organizzazione economica basata sull’accumulazione dei dati da parte dei colossi dell’informatica mondiale.

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militant

Lo sviluppo capitalistico e la diffusione delle epidemie

di Militant

Da qualche giorno è online l’Ordine Nuovo, una nuova rivista comunista a cui collaboriamo e che nasce con l’ambizione di rappresentare uno strumento di formazione, di dibattito e di radicamento nella classe. Invitando chi ci segue a farla girare e, soprattutto, a leggerla e discuterla, pubblichiamo di seguito il nostro contributo al primo “numero”

pandemia globale 1200x800Nel giro di alcune settimane un patogeno microscopico ha messo in crisi le lunghe catene del valore dell’economia capitalista. Un microrganismo che la scienza fatica perfino a classificare tra gli esseri viventi si è così trasformato nel fatidico granello di sabbia capace di inceppare i meccanismi della globalizzazione, riuscendo a rallentare o, in alcuni casi, addirittura a fermare la produzione. In questo momento milioni di salariati sono confinati nell’isolamento, mentre ad altri viene imposto, nonostante il rischio di contagio, di andare a lavorare e sacrificarsi in nome del profitto. Una pandemia che sta progressivamente investendo tutti i paesi del mondo, a partire da quelli a capitalismo avanzato, ma in cui anche la capacità di risposta della sanità pubblica e la tenuta dei rispettivi sistemi di welfare si stanno trasformando in fattori decisivi nella competizione inter-imperialistica.

Sarebbe però riduttivo provare a interpretare quanto sta avvenendo esclusivamente attraverso la lente della crisi sanitaria o, al più, della incipiente crisi economica. E non perché questi aspetti non siano entrambi drammaticamente reali, ma perché così rischieremmo di non cogliere alcuni delle contraddizioni sistemiche che proprio l’epidemia sta facendo emergere.

Partiamo ponendoci una prima domanda: questa pandemia, così come le altre epidemie che pure l’hanno preceduta, era davvero imprevedibile? Si è trattato realmente di un evento “straordinario”? Il sistema informativo mainstream e le classi dirigenti continuano a raccontarla come una sorta di “calamità imponderabile”, uno di quei disastri naturali che, al pari dei terremoti, delle eruzioni vulcaniche o dei meteoriti, rimangono inevitabili per quanto ci si possa poi adoperare per minimizzarne le conseguenze.

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sinistra

In morte della capacità critica

Il coronavirus, lo stato d’eccezione e la recessione economica (che già bussava nel 2019)

di Ludovico Lamar

Parte prima: Covid-19, statistiche e Sanità. Parte seconda: Media, scienza e stato d’eccezione. Parte terza: Complottismo, economia e prossimo futuro. Conclusioni (provvisorie)

Coronavirus eccezione emergenzaQua Giordano nomina liberamente, dona il proprio nome
a chi la natura dona il proprio essere; non dice vergognoso
quel che fa degno la natura; non cuopre quel ch’ella mostra
aperto; chiama il pane, pane; il vino, vino; il capo, capo; il piede, piede.
(Giordano Bruno, Spaccio de la Bestia trionfante)

Premessa

L’articolo che segue tratta principalmente dell’epidemia di coronavirus, dei suoi risvolti politici e della situazione economica mondiale dal 2019 ad oggi. Data la situazione eccezionale che stiamo vivendo fra pandemia, misure politiche da stato d’eccezione e un crollo economico di grande portata ci è sembrato necessario analizzare in modo diffuso vari aspetti di tutto ciò, cercando di spiegare come mai in alcuni Stati, fra cui l’Italia, si siano prese certe misure pur nella consapevolezza che la crisi economica che vedremo provocherà probabilmente più morti della stessa pandemia. In modo inedito nella storia è stata fermata l’economia in alcuni Paesi come l’Italia, provocando crolli borsistici peggiori nel primo mese a quello addirittura del primo mese del grande crack del 1929. Fra gli economisti circolano varie teorie: un crollo peggiore del 1929, un crollo similare a quello dell’Unione Sovietica, una recessione a cui poi seguirà un grande rimbalzo, ecc.

Il presente lavoro è diviso in tre parti, più una conclusione: ognuna delle tre parti è leggibile isolatamente e arriva comunque a delle conclusioni inerenti all’argomento trattato.

La prima parte tratta specificatamente della questione del coronavirus, in particolare dai seguenti punti di vista: le posizioni in merito dei vari virologi; l’analisi delle statistiche date dai media; il confronto fra l’attuale diffusione del coronavirus con altre pandemie del passato; i morti in Italia per altre patologie (come l’influenza, le infezioni da batteri non curabili con antibiotici, l’inquinamento, ecc.); la pessima situazione in cui si trova il sistema sanitario nazionale in Italia.

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commonware

Tra emergenza e coronopticon. Tendenze e contraddizioni del capitalismo in crisi

G. Molinari e S. Cominu intervistano Christian Marazzi

La contingenza attuale è uno snodo importante della storia: mentre accelerano i processi di ristrutturazione, l’emergenza sanitaria fa emergere con forza le fragilità dell’impalcatura sui cui si basa il dominio capitalistico e lascerà impressi profondi segni nel tessuto sociale e nelle soggettività. Consci del fatto che probabilmente è prematuro delineare tendenze di lungo corso, abbiamo approfondito alcune questioni con Christian Marazzi.

143702370 dea9bb99 5320 4b39 a8ee dcf0b5feed8fSe in una prima fase dell’epidemia abbiamo visto fronteggiarsi due differenti modelli di gestione dell’emergenza sanitaria, successivamente tutti i paesi, stretti dalla necessità di contenere l’incedere del virus, si sono adattati alla «via statalista». Oggi, se leggiamo gli editoriali della stampa sulle prospettive e sul rilancio dell’accumulazione, ci rendiamo conto che si insiste molto sulla necessità di determinati investimenti: infrastrutturali (compresi quelli sul digitale) che consentano di rendere efficiente questa forma di produzione, sui settori riproduttivi, come ad esempio la sanità, e via discorrendo. Sono investimenti che richiedono necessariamente un ruolo dello Stato come finanziatore. Spesso nelle analisi degli ultimi anni si è insistito sul venir meno delle prerogative statuali, pensi che oggi si possa intravedere un ritorno forte dello Stato? Con che modalità esso si ripresenta?

«Al momento non darei per scontata la svolta verso uno Stato sociale attivo, che negli anni precedenti è stato fortemente ridimensionato e delegittimato con le conseguenze che oggi si vedono ad esempio in ambito sanitario. Siamo in una situazione nella quale certamente c’è una possibilità di rilancio; lo Stato sociale storicamente ha avuto un importante ruolo negli anni della crisi e della depressione, basti pensare agli anni Trenta o al periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Ad esempio in Inghilterra il piano di rilancio del dopoguerra, pensato anche come forma di riparazione ai sacrifici della seconda guerra mondiale, ha determinato grandi investimenti nella sanità pubblica e le nazionalizzazioni dell’energia e ha permesso al Partito Laburista di uscire vincitore su Churchill, colui che sembrava l’eroe della vittoria contro il nazifascismo.

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