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fuoricollana

Trump, visto da Pechino

di Vincenzo Comito

Trump Pechino.jpegLa Cina reagisce con savoir-faire alla guerra commerciale. Prova, anzi, ad approfittarne per presentarsi al mondo come l’alternativa al caos economico dei dazi e la garante di una globalizzazione maggiormente condivisa. È possibile un riavvicinamento con l’UE?

Può darsi che gli obiettivi complessivi che il presidente Trump mira a raggiungere con la sua campagna dei dazi non siano del tutto chiari, ma forse si può ricorrere a quanto scrive Kroebler (Kroebler, 2025) in proposito: «lo scopo della sua guerra commerciale è quello di rimuovere i vincoli imposti dall’attuale ordine economico internazionale sull’esercizio del potere unilaterale statunitense e in particolare l’esercizio del potere da parte del presidente…quello che Trump vuole soprattutto è di mostrare la sua dominazione sul mondo e di ottenere sottomissione. I paesi che non resistono attivamente ai suoi dazi verranno graziosamente risparmiati dall’imposizione di dazi troppo elevati, il paese che osa resistergli è selvaggiamente punito…».

 

La “crociata” contro la Cina viene da lontano

In tale quadro un paese in particolare è sotto tiro, la Cina, ai voleri da parte di chi si crede, a torto o a ragione, il padrone del mondo. Nella sostanza, peraltro, la “crociata” di Trump su questo fronte non appare in generale certo una novità. La lotta statunitense al paese asiatico è cominciata da molto tempo e, anche se essa ha acquisito contorni decisi a partire dalla presidenza Obama, tra l’altro con il suo pivot to Asia, i segni del conflitto erano evidenti già da diversi anni prima. In ogni caso da Obama in poi abbiamo assistito a un impressionante crescendo di ostilità. Ma tale offensiva è risultata del tutto fallimentare.

Il problema di fondo è che gli Usa sono spaventati dalla Cina.

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lantidiplomatico

In margine alla “Marcia per Gaza”. Dalla nazione araba ad “Abramo” e ora tocca all’Egitto?

di Fulvio Grimaldi

smVÀÒPRIGRSMentre scrivo siamo alla vigilia dello sbarco al Cairo della Global March to Gaza, mentre verso la stessa destinazione veleggia la collaudata Freedom Flottiglia. Volontari egiziani di varie associazioni sono pronti in Egitto per accoglienza e successivo spostamento ad Al Arish e, poi, l’effettiva marcia a piedi di 45 km fino al valico di Rafah, da tempo sotto controllo israeliano.

Lì, inesorabilmente, i marciatori si areneranno. Mi ci sono arenato anch’io l’altro anno, assieme a Marc Innaro (l’ottimo e perciò demansionato collega RAI) e tanti altri prima e dopo di me. Colleghi appesi all’illusione che anche in Israele, cioè nella Palestina occupata, valesse il diritto universale della libera informazione, cardine della democrazia di cui Israele sarebbe l’unico rappresentante in Medioriente. La risposta è stata l’uccisione di 220 giornalisti di Gaza.

Bisognerebbe dire che ce n’è per fortuna già tanta, di attenzione mondiale sulla carneficina di Gaza, in cui si mira a bambini, donne, ospedali, scuole, rifugi, tende e, con particolare cura, a scheletri di affamati che si avvicinano dove mercenari USA, con pezzetti di formaggio, allestiscono trappole per topi. Lo dobbiamo a coloro, colleghi anch’essi, ma stanziali a Gaza, che per averci fatto vedere l’abisso della nequizia israeliana e del dolore palestinese, sono stati disfatti davanti a un computer e un cellulare, preferibilmente nella loro casa assieme a tutta la famiglia. E così che un baldo riservista della “Golani” può vantare due genitori e dieci figli fatti a pezzi con un missile solo, meritando che il ministro Katz gli appunti sul petto l’onorificenza per meriti sionisti.

Il dato di un rapporto tra partecipanti europei e arabi alla Global March, a spanne di 20 a 1,  ci presenta una realtà storica inimmaginabile tra oggi e quando ebbi modo di trasmettere a Paese Sera dispacci sugli esiti delle battaglie tra l’esercito di Dayan e la coalizione araba. Questa, sì, zeppa di giovani volontari egiziani. libici, iracheni, siriani, giordani, yemeniti, perfino kuweitiani.

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acropolis

Cosa significano gli attacchi dei droni occidentali per le relazioni tra Stati Uniti e Russia?

di Rob Urie

AP20276434567563 1 4 660x370 1.jpgIl titolo accattivante di Urie introduce un’analisi sobria di quanto siano stati folli gli attacchi dell’Ucraina contro la Russia. Nella migliore delle ipotesi, rivela una valutazione rischio-rendimento gravemente errata, dovuta presumibilmente all’aver inalato molta propaganda e oppio sull’Ucraina.

Un punto che sembra sfuggire in termini di superamento delle linee rosse degli accordi nucleari della Guerra Fredda è che questo metterà almeno la Russia in stato di massima allerta, e potrebbe farlo anche con altre potenze nucleari. Maggiore allerta = maggiore propensione a [re]agire = probabilità di incidenti notevolmente maggiori.

Un nuovo video con Chas Freeman sugli studi sulla neutralità conferma che un attacco con armi convenzionali contro risorse di deterrenza nucleare, secondo gli accordi della Guerra Fredda, equivale a un attacco nucleare e pertanto, secondo le regole di ingaggio, legittima una risposta nucleare:

Tradizionalmente, gli elementi di una forza di deterrenza nucleare, sia da parte americana che russa, sono stati esentati dagli attacchi per la semplice ragione che entrambi i Paesi considerano un attacco con armi convenzionali alla loro capacità di deterrenza nucleare equivalente a un attacco nucleare e giustificante una risposta nucleare. Entrambe le parti prendono la cosa molto seriamente. Naturalmente, l’Ucraina non fa parte degli accordi di sicurezza, né il Regno Unito. Quindi, suppongo che siano liberi di contestare maliziosamente questa esenzione, e lo hanno fatto, ed è molto pericoloso.

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sulatesta

Europa: contro la guerra e i guerrafondai

di Paolo Ferrero

CITTNUOVAPAMOM 20240320104628874 c02b5bf23cfe3d5fb5eb6943d2975ae3 scaled.jpgMentre scrivo Israele ha ripreso il brutale genocidio che, da mesi e nella più totale indifferenza dell’Unione Europea, sta perpetrando ai danni del popolo palestinese. Questo massacro infinito viene ignorato mentre fa scandalo che gli USA abbiano aperto una trattativa per la pace in Ucraina senza coinvolgere l’Unione Europea (e della guerra). Addirittura, il 15 marzo è stata convocata da Michele Serra e dal quotidiano della famiglia Agnelli, “La Repubblica”, una manifestazione a favore dell’Unione Europea.

La situazione è nota: i media mainstream e i loro pennivendoli, che in questi anni hanno appoggiato senza se e senza ma la guerra tra NATO e Russia – quella combattuta utilizzando la popolazione ucraina come carne da cannone – scrivono che l’Europa è minacciata dalla Russia di Putin a causa del tradimento di Trump. Viene così diffuso un clima isterico, in cui l’apertura di una trattativa sulla fine della guerra in Ucraina viene presentata come un insopportabile gesto di arroganza nei confronti dell’UE.

Secondo questa narrazione, la minaccia Russa all’Europa e alla sua civiltà è quindi il pericolo concreto a cui occorre dare una risposta immediata. A tal fine la Von der Leyen ha sponsorizzato un gigantesco piano di riarmo dell’Europa di circa 800 miliardi di euro che il Parlamento Europeo ha prontamente approvato.

Questa campagna condotta a reti unificate dai media mainstream e dalla quasi totalità delle forze politiche di centro destra e di centro sinistra europee e nazionali costituisce in realtà la premessa ideologica per un salto di qualità nella costruzione di un’Unione Europea imperialista e guerrafondaia verso l’esterno, antidemocratica e antisociale verso l’interno. Una vera e propria proposta politica reazionaria attorno a cui il sistema di potere si sta riorganizzando. Ovviamente ogni forza e ogni schieramento interpretano il copione a partire dalla cura del proprio pubblico (più nazionalista o più europeista, più militarista o più in borghese, più progressista o più conservatore), ma la strategia di fondo non cambia: la Russia è il nostro nemico e costituisce una minaccia immediata a cui dobbiamo far fronte con un enorme programma di spese militari attorno a cui riorganizzare le relazioni sociali e il profilo complessivo dell’Europa.

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fuoricollana

Il “nemico americano”. Le tragedie in Ucraina e Palestina

di Alberto Bradanini

US Vice President Kam 21993629 1Quando si riflette sui dolori e le ingiustizie del nostro tempo è pratica diffusa occultare il nome di chi le ha causate, un occultamento che non è dovuto a disattenzione o scarsa memoria, ma a corruzione morale e/o materiale.

 

Il nemico principale

Rischiando di risultare apodittici, si proverà quindi a riflettere su tale aspetto, tentando di identificare il nemico principale, quale impresa preliminare a qualsiasi percorso verso un mondo migliore, tenendo a mente che tale incarnazione di forze ostili assume caratteristiche diverse a seconda dei contesti nei quali opera, pur facendo capo a una medesima aggregazione di poteri e interessi. Vediamo: sul piano economico il nemico da battere è il neoliberismo globalista-bellicista, su quello dei valori la mercificazione della società, sul piano politico una democrazia non-democratica, su quello filosofico il nichilismo narcisista e nei rapporti tra classi sociali una plutocrazia spietata e senza freni. Il punto di vista di chi scrive è che il motore di questo cumulo di tragedie, catalizzatore di ultima istanza di tale nefasta policromia, si colloca nell’oligarchia malata degli Stati Uniti d’America (in verità, nel suo nucleo occulto, lo stato permanente e quello profondo, che sopravvivono al cambiare dell’inquilino della Casa Bianca e non rispondono ad alcuna istanza democratica), uno degli imperi più funesti che la storia recente abbia registrato, una nazione che violenta il diritto e l’etica umana per estrarre risorse e ricchezze altrui attraverso minacce e ricatti, facendo ricorso alla violenza contro chiunque opponga resistenza, incurante dei valori di pace ed eguaglianza, mettendo a rischio persino la sopravvivenza del genere umano.

Deve rilevarsi che con Stati Uniti non s’intende qui il popolo americano, quei 335 milioni di abitanti anch’essi in larga parte sfruttati e sottomessi, ma solo una ristretta cerchia di superricchi e potenti individui che, come una piovra, proietta ovunque la sua ombra vorace.

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intelligence for the people

Ucraina: la pace impossibile?

di Roberto Iannuzzi

Alla luce delle posizioni inconciliabili di Kiev e Mosca, del massimalismo europeo, e della scarsa incisività di Trump, la prospettiva di una risoluzione della guerra ucraina sembra allontanarsi

https substack post media.s3.amazonaws.com public images aef7ffbc 07a5 4d86 86da 76e5cc7a6550 864x486.jpegI colloqui di Istanbul del 16 maggio, i primi fra Russia e Ucraina da tre anni a questa parte, hanno messo in evidenza tutti gli ostacoli al raggiungimento di un accordo di pace fra Mosca e Kiev.

Ostacoli confermati dalla telefonata fra il presidente americano Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin tre giorni dopo.

L’incontro di Istanbul ha pur sempre segnato un passo avanti, se si pensa che ancora tre mesi fa il governo ucraino rifiutava persino l’idea di un dialogo con il Cremlino, ritenendolo illegale, e chiedeva il ritiro russo da tutti i territori dell’Ucraina come precondizione per un negoziato.

Ma lo svolgimento dei colloqui è rimasto incerto fino all’ultimo, e teso nella sua breve durata (meno di due ore).

Come ha lamentato il diplomatico russo Rodion Miroshnik, la delegazione ucraina era composta in gran parte da membri degli apparati militari e dell’intelligence, a conferma del fatto che era giunta a Istanbul solo per negoziare i dettagli di un eventuale cessate il fuoco.

Pochissimi erano i diplomatici e le figure politiche, in grado di discutere gli elementi di una pace duratura. Ma fino all’ultimo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva chiesto l’implementazione di un cessate il fuoco di trenta giorni come precondizione per l’inizio di una trattativa.

Richiesta ribadita da Trump nel successivo colloquio telefonico con Putin, sebbene in questo caso egli si sia fatto essenzialmente portavoce di Kiev e dei suoi alleati europei.

Questo è però un presupposto che Mosca ha sempre rifiutato, considerandolo un pretesto di Kiev per riorganizzarsi militarmente, mobilitare nuovi uomini e riarmarsi.

D’altra parte, i paesi occidentali alleati dell’Ucraina a loro volta non hanno mai accettato la richiesta russa di una cessazione delle forniture militari a Kiev come condizione per un cessate il fuoco.

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machina

Note preliminari sul «sistema degli Stati»

di Raffaele Sciortino e Robert Ferro

0e99dc f5f2240af1604e75a609cbb56d7b2290mv2Pubblicato originariamente sulla rivista britannica «endnotes.org.uk» con il titolo di «Prologomena on the "System of States"», il saggio di Raffaele Sciortino e Robert Ferro, di cui qui presentiamo la traduzione a cura di Kamo Modena rivista dagli autori, offre alcune coordinate teoriche, a partire dai testi marxiani e da alcuni dibattiti successivi, per comprendere che cosa sono gli Stati e come funziona la loro articolazione in un sistema all’interno del «mercato mondiale», altra importante categoria marxiana. In tempi di sconquasso dell’ordine globale, il dibattito su questi nodi e il possesso di una griglia interpretativa teorica sono requisiti indispensabili se si vogliono comprendere e afferrare politicamente le trasformazioni in atto.

* * * *

Introduzione

È generalmente noto che Karl Marx, nel piano del Capitale, prevedesse una sezione dedicata allo Stato – sezione di cui non scrisse nemmeno una bozza. Dopo di lui, numerosi autori hanno insistito sull’incompletezza della teoria marxiana a questo riguardo, e benché nessuno di essi si sia prefissato il compito esplicito di portare a compimento il progetto originario di Marx, vi sono stati alcuni tentativi di colmare almeno parzialmente questa lacuna. Prendendo le distanze dall’opinione prevalente, in questo saggio si sostiene che lo Stato in quanto tale non presenta particolari ostacoli alla teoria marxista, e che il suo armamentario concettuale è sufficiente per condurne un’analisi esaustiva. L'articolazione a partire dalla quale la faccenda diventa più delicata risiede nel passaggio dall’astratto al concreto, che nell’opera di Marx coincide con la transizione dal concetto di capitale in generale alla molteplicità dei singoli capitali in concorrenza fra loro.

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analisidifesa

Ucraina: senza un bagno di realismo il negoziato resta al palo

di Gianandrea Gaiani

1438439.jpgIl negoziato per la pace in Ucraina dopo i colloqui tra le delegazioni russa e ucraina in Turchia e la conversazione telefonica tra Donald Trump e Vladimir Putin, sembra arenarsi sugli scogli di sempre: da un lato la pretesa russa che Kiev e l’Europa tengono conto della situazione sul campo di battaglia, dall’altro la pretesa di ucraini ed europei che Mosca accetti di sospendere le operazioni militari per un mese per negoziare.

Russia e Ucraina inizieranno immediatamente i negoziati per un cessate il fuoco” ha detto Trump dopo la conversazione con Putin definita “molto positiva. Russia e Ucraina avvieranno immediatamente i negoziati per un cessate il fuoco e, cosa ancora più importante, per la fine della guerra”, ha scritto Trump. Secondo il presidente americano, le condizioni dell’accordo saranno stabilite dalle due parti, perché “solo loro conoscono i dettagli” necessari a raggiungere un’intesa autentica.

Dettagli a dire il vero sostanziali sulla cui definizione Trump sembra volersi sottrarre preferendo sottolineare che la Russia sarebbe pronta ad avviare un commercio su larga scala con gli Stati Uniti una volta raggiunta la pace: “C’è un’enorme opportunità per la Russia di creare posti di lavoro e ricchezza. Il suo potenziale è illimitato”. Allo stesso modo il presidente ha evidenziato le prospettive economiche future per l’Ucraina, parlando di grandi benefici nel contesto della ricostruzione del Paese dopo la fine del conflitto.

Trump come sempre esalta le prospettive economiche determinate dalla fine del conflitto e ha posto l’enfasi sul ruolo che potrà avere il Vaticano con Papa Leone XIV nel guidare i negoziati ma in termini di sostanza dal faccia a faccia telefonico è emersa la conferma che USA e Russia marciano verso il ristabilimento di importanti relazioni bilaterali, non certo l’imminenza di un accordo per il cessate il fuoco e la pace in Ucraina.

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«La Nato è un’auto fuori strada, con centralina in avaria e autista ubriaco»

di Fabio Mini

Il generale denuncia l’inadeguatezza strategica dell’Alleanza atlantica, incapace di adattarsi al nuovo scenario globale

53961670168 eabc3b8405 k scaled.jpgMentre l’Unione europea insiste nel sostenere una guerra già persa, l’America di Trump tratta con Mosca e prepara l’uscita di scena. Intanto l’Alleanza atlantica, fra leadership compromesse, assenza di visione e derive belliciste, rischia di implodere. In questo brano tratto dal suo ultimo libro, l’ex comandante Nato in Kosovo analizza il tramonto dell’Alleanza. E mette in luce l’irresponsabilità strategica di Bruxelles, incapace di immaginare la pace e ancora meno di combattere una guerra che non è più la sua.

* * * *

Donald Trump non attribuisce alla Nato alcun valore geopolitico. Come i suoi predecessori, la vede come un proprio strumento per impedire all’Unione europea di raggiungere un minimo grado di autonomia in materia di sicurezza e tenerla in pugno con la politica e l’economia. Tale posizione si oppone in modo decisivo all’idea di sviluppare una difesa europea autonoma separata dagli Stati Uniti.

Fino a una decina di anni fa la cosa poteva dare fastidio a tutti gli europeisti convinti, ma alla luce dell’atteggiamento ostile a qualsiasi forma di dialogo con i potenziali avversari e competitori dimostrato dai funzionari dell’Unione europea in tutte le crisi, oggi è quasi una fortuna che l’Europa non abbia uno strumento militare da brandire.

L’intera classe politica europea si è dimostrata pericolosamente immatura nella gestione degli strumenti militari. Non solo sono stati ignorati i rischi e le conseguenze di un conflitto, ma la guerra è stata invocata e sostenuta per costringere ad accelerare dei processi intrinsecamente complessi come la transizione energetica, la transizione ecologica, la transizione tecnologica. Ogni transizione è necessaria ed è uno stadio che richiede più risorse e soprattutto maggiore stabilità.

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lantidiplomatico

I colloqui di Istanbul nel segno di Bismarck

di Fabrizio Poggi

rnenvugehfA conclusione del prima tornata di colloqui russo-ucraini a Istanbul, mentre Andrej Zobov, su Komsomol'skaja Pravda, si chiede a chi sia andata la vittoria e risponde guardando ai balzi della borsa di Mosca – al ribasso, alla notizia che l'incontro era durato meno di due ore; al rialzo, con ritmi frenetici, immediatamente dopo le dichiarazioni dei capi delegazione, Vladimir Medinskij e Rustav Umerov - per Pëtr Akopov, su RIA Novosti, il principale risultato è rappresentato dal fatto stesso che i colloqui si siano tenuti e che le parti si siano accordate sul proseguirli: «nulla di più, a parte lo scambio di prigionieri», mille per mille.

Non era scontato, dal momento che l'obiettivo di Kiev era quello di farli saltare. Come si era notato anche su questo giornale, Vladimir Zelenskij, rispondendo alla proposta di Vladimir Putin per contatti diretti tra delegazioni russo-ucraine, con il diktat di volere nient'altro che un faccia a faccia tra loro due, puntava proprio su una rottura dei colloqui. Stesso obiettivo era quello degli “euro-volenterosi” che, cercando di rinviare qualsiasi trattativa e imporre a Mosca un cessate il fuoco di un mese, non cercavano altro che continuare a rimpolpare di armi e uomini l'esercito ucraino, per proseguire una guerra che significa lauti profitti per colossi finanziari e industrie di guerra.

Allo scorno di un Zelenskij ritrovatosi da solo a Istanbul, senza né Putin, né Trump, anche i soliti italici giornalacci non sapevano far altro che affibbiare a Putin la qualifica di “nemico della pace”, facendo eco agli “amati” nazigolpisti di Kiev, che parlano di Mosca come “inadatta a ogni accordo” e assetata di sangue ucraino.

Del resto, è quanto ripetono anche oggi i perenni guerrafondai del Corriere della Sera, che sprecano rotoli di carta a “dimostrare” le “brame annessionistiche” di Putin che, oltre a non riconoscere «la legittimità del leader nemico» (si ricordano a via Solferino che il mandato di Zelenskij è scaduto oltre un anno fa?) «intende annettere il massimo dei territori occupati con la forza e in parallelo non rinuncia a esercitare un controllo diretto sulla sovranità ucraina del futuro».

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acropolis

Il tentativo di pace di Trump è destinato al fallimento. La guerra in Ucraina è irrisolvibile

di Thomas Fazi

“Per ora, quindi, lo scenario più probabile rimane un conflitto prolungato, costi crescenti e divisioni sempre più profonde – non solo tra Russia e Occidente, ma anche all’interno dell’Occidente stesso. La guerra non finirà finché Washington e i suoi alleati non saranno disposti ad affrontare la questione centrale: la persistenza di una dottrina egemonica che non ammette rivali. Finché ciò non accadrà, la pace rimarrà inafferrabile e il massacro continuerà. E Donald Trump, che gli piaccia o no, rischia di essere ricordato non come l’uomo che ha posto fine alla guerra, ma come colui che l’ha ereditata e l’ha lasciata bruciare.”

GqlM5ZAXcAA 28C 1 1080x607 1.jpgUna cosa è chiara: Trump non può più affermare che la guerra in Ucraina sia “la guerra di Biden”. Ora è anche la guerra di Trump. Mesi dopo che il Presidente degli Stati Uniti si è impegnato a porre fine rapidamente ai combattimenti tra Ucraina e Russia, la sua amministrazione ha annunciato che gli Stati Uniti non prenderanno più parte a quella che è stata spesso descritta come una diplomazia di scambio tra le due parti. La scorsa settimana, la portavoce del Dipartimento di Stato Tammy Bruce ha confermato che gli Stati Uniti non fungeranno più da mediatori nei negoziati. Questi, ha affermato, sono “ora tra le due parti”, aggiungendo che “ora è il momento che presentino e sviluppino idee concrete su come questo conflitto finirà. Dipenderà da loro”.

Nel frattempo, in un’intervista alla NBC, Trump ha assunto un tono ancora più pessimista, affermando che “forse non sarà possibile” raggiungere un accordo di pace. In effetti, il conflitto sembra inasprirsi di nuovo, e con l’approvazione della Casa Bianca. Il 4 maggio, il New York Times ha riportato che un sistema di difesa aerea Patriot fornito dagli Stati Uniti, attualmente di stanza in Israele, sarebbe stato dirottato verso l’Ucraina. Poiché tutte le esportazioni di Patriot richiedono l’approvazione formale degli Stati Uniti ai sensi delle leggi americane sul trasferimento di armi, la mossa indica un’autorizzazione diretta della Casa Bianca. Pochi giorni prima, Washington aveva approvato un possibile accordo da 300 milioni di dollari per l’addestramento e il supporto degli F-16. Il pacchetto include aggiornamenti per i velivoli, pezzi di ricambio, software, hardware e addestramento per il personale ucraino. Inoltre, i media ucraini hanno riferito che la Casa Bianca aveva dato il via libera a 50 milioni di dollari in nuove esportazioni di armi verso l’Ucraina. L’accordo, a quanto pare, include hardware militare e servizi relativi alla difesa non specificati.

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Russia: i segreti della resilienza economica

di Mylène Gaulard

Visuel Russie.jpgAbbiamo tradotto il testo di Mylène Gaulard, docente di economia presso Università Pierre Mendes France – Grenoble 2, apparso originariamente su Hors-serie in quanto intende mettere a nudo l’enorme distanza tra la narrazione dominante occidentale (e principalmente europea) sul conflitto in Ucraina e la realtà materiale dei rapporti di forza economici e geopolitici che si stanno ridefinendo su scala globale.

La guerra contro la Russia è oggi il fulcro di una trasformazione sistemica attraverso la quale il Capitale euro-atlantico tenta di riconfigurare le proprie economie, principalmente attraverso l’estensione del paradigma bellico.

In Europa, la costruzione della Russia come “nemico esistenziale” risponde a esigenze strutturali prima ancora che strategiche: serve a fornire un quadro ideologico coerente per una profonda ristrutturazione industriale, che altrimenti sarebbe politicamente difficilmente giustificabile. In Germania – locomotiva industriale dell’UE e oggi per il secondo anno consecutivo in recessione – si parla esplicitamente di «Wirtschaftswende», una svolta economica che punta alla riconversione massiccia della filiera industriale verso la produzione militare: dai settori storici come l’automotive, sempre più orientati verso veicoli blindati e logistica militare, fino all’industria aerospaziale, oggi investita da programmi accelerati per la produzione di UAV, droni, sensori e sistemi di puntamento integrati.

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ilpungolorosso

La soluzione finale

di Il Pungolo Rosso

th 5 Netan e i suoi macellaiAncora una volta, in Israele, è la destra estrema con esplicite simpatie naziste, a dettare la linea di marcia al governo e all’esercito. E questa linea di marcia Smotrich e Ben-Gvir l’hanno tracciata da tempo: “distruggere interamente Gaza”, occupare in modo permanente l’intera striscia, “ripulire” questa area della Palestina storica dai suoi abitanti, deportandoli in paesi del “Terzo Mondo”, centellinare la ripresa degli aiuti (60 camion al giorno, il 10% del minimo necessario), appaltare la gestione di essi a due ditte amerikane poste sotto il controllo dell’esercito sionista, annettere formalmente tutta la Cisgiordania entro il 2026. In seguito, si passerà a regolare i conti restanti con gli “arabi-israeliani”. In breve: la soluzione finale della questione palestinese, e – insieme – un tassello fondamentale della costruzione del “grande Israele”. Da due giorni questa linea di marcia è stata fatta propria, in modo ufficiale, dal governo in carica. È il piano di una nuova Nakba, più radicale di quella del 1948.

L’ammasso di spazzatura che prende il nome di “libera stampa” non ha battuto ciglio davanti alla denominazione della nuova operazione militare del governo Netanyahu: “carri di Gedeone”. Una denominazione biblica che conferma il timbro sempre più fondamentalista religioso dello sterminismo sionista, e insieme l’illimitata capacità di mentire dei sionisti che raffigurano l’Idf, sostenuto incondizionatamente dalla gigantesca macchina di morte dell’imperialismo occidentale, come un’entità di forze di molte volte inferiore alle armate del nemico palestinese – laddove è palese l’esatto contrario.

Al massimo, i media di regime si lasciano scivolare una lacrimuccia sul viso per il fatto che a Gaza si soffre e si muore ormai, oltre che di bombe, di fame (*), dal momento che – indisturbato – lo stato sionista ha da mesi bloccato l’ingresso di ogni aiuto alimentare nella striscia con il proposito di straziare chi è ancora in vita, e con l’intento di scatenare scontri tra affamati e la rivolta contro Hamas.

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sinistra

Trump 2.0: una svolta epocale?

di Raffaele Sciortino

trump ue.jpg“Il capitalismo cadrà come il muro di Berlino”

José Francesco Bergoglio

Un confronto sulla percezione che sulle due sponde dell'Atlantico si ha della crisi in corso è importante, ma deve scontare uno choc cognitivo dovuto alla difficoltà di mettere a fuoco una svolta forse epocale. In effetti, è in corso a Washington un vero e proprio regime change, contrappasso della politica da decenni perseguita dalla Foreign Policy Community statunitense a tutte le latitudini. Se a prima vista sembra regnarvi il caos, la sfida è individuare una logica di fondo in questo caos. Detto altrimenti, Trump è sintomo e prodotto di profonde spinte materiali interne ed esterne oltreché l'attore di un tentativo di svolta nella postura strategica degli Stati Uniti nel mondo, dal corso incerto e con esiti difficilmente prevedibili.

Come fattori immediati, Trump 2.0 è il prodotto dei tre fallimenti principali e tangibili dell'amministrazione Biden: 1) non essere riuscita a infliggere una ”sconfitta strategica” alla Russia nel conflitto ucraino, avendo anzi favorito l'ulteriore riavvicinamento tra Mosca e Pechino e con gran parte del Sud Globale; 2) aver mancato l'obiettivo del decoupling selettivo con la Cina, ovvero il blocco della sua modernizzazione tecnologica e della risalita nelle catene globali del valore; 3) non aver arrestato il deterioramento del quadro sociale interno (nonostante gli impegni per una middle class foreign policy e gli abbozzi di reshoring, che in realtà si sono fermati sulla soglia del friendshoring con paesi come Messico e Vietnam). Anche solo alla luce di questi fattori, non era difficile ipotizzare che non Trump era la parentesi, ma Biden (le cui misure, non a caso, si sono collocate sul solco protezionistico di Trump 1.0, sanzioni comprese). Ma c'è di più. I fallimenti dell'amministrazione Democratica si configurano non come errori contingenti, bensì come la coda di un lungo ciclo della politica Usa e mondiale, quello della globalizzazione ascendente, già duramente scosso dalla crisi del 2008.

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voltairenet

Le sfide dei negoziati di Donald Trump con l’Ucraina

di Thierry Meyssan

222195 5 68296.jpgIl presidente Donald Trump non è riuscito a portare la pace in Ucraina, come aveva creduto di poter fare. Ha scoperto una situazione molto più complessa di quanto supposto.

Rifiutandosi di schierarsi con una parte o con l’altra, si è ritrovato in mezzo a un conflitto che perdura da un secolo tra due fratelli nemici; un conflitto che i suoi predecessori, Barack Obama e Joe Biden, alimentarono e strumentalizzarono. Prima di poter superare lo stallo, deve però chiarire la situazione ai propri concittadini.

* * * *

Dopo aver esaminato i negoziati con l’Iran [1], in questo articolo analizziamo i negoziati del presidente Trump con l’Ucraina. Purtroppo, non disponiamo di documenti dei nazionalisti integralisti ucraini, mentre abbiamo quelli dei nazionalisti integralisti israeliani. Questo perché l’Ucraina di oggi è una vera e propria dittatura militare. In Israele invece l’esercito è ancora il garante di ciò che rimane della democrazia, picconata dai sionisti revisionisti di Benjamin Netanyahu.

La questione ucraina è molto diversa da quella iraniana in quanto gli Stati Uniti non hanno miti in comune con l’Ucraina, mentre ne condividono con Israele. In Medio Oriente il presidente Trump sta cercando di negoziare una pace equa e duratura preservando al tempo stesso gli interessi di Israele (non quelli dei sionisti revisionisti, che aspirano a un Grande Israele). In Ucraina si rifiuta di schierarsi con una delle parti e si attiene a una posizione di stretta neutralità. I suoi predecessori Obama e Biden avevano invece concluso con i nazionalisti integralisti un accordo segreto contro la Russia. Trump deve innanzitutto scoprire la reale complessità della situazione, ma per conseguire un risultato è necessario che ne renda consapevole anche la propria amministrazione.