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comedonchisciotte.org

Come venne sconfitto l’Occidente

di Pepe Escobar - sputnikglobe.com

crollooccidente.jpgEmmanuel Todd, storico, demografo, antropologo, sociologo e analista politico, fa parte di una razza in via di estinzione: è uno dei pochissimi esponenti rimasti dell’intelligentia francese della vecchia scuola – un erede di quelli come Braudel, Sartre, Deleuze e Foucault che avevano affascinato i giovani nati dopo la Guerra Fredda, dall’Occidente all’Oriente.

La prima chicca che riguarda il suo ultimo libro, La Défaite de L’Occident (“La sconfitta dell’Occidente”), è il piccolo miracolo di essere stato pubblicato la scorsa settimana in Francia, proprio in un Paese NATO. Più che di un libro si tratta di una vera e propria bomba a mano, scritto da un pensatore indipendente, basato su fatti e dati verificati, che fa saltare l’intero edificio della russofobia eretto intorno all'”aggressione” dello “zar” Putin.

Alcuni settori dei media aziendali francesi, rigorosamente controllati dagli oligarchi, questa volta non hanno potuto ignorare Todd, per diversi motivi. Soprattutto perché era stato il primo intellettuale occidentale, già nel 1976, a prevedere la caduta dell’URSS nel suo libro La Chute Finale, basato sull’analisi dei tassi di mortalità infantile dell’Unione Sovietica.

Un altro motivo fondamentale era stato il suo libro del 2002 Aprés L’Empire, una sorta di anteprima del declino e della caduta dell’Impero, pubblicato pochi mesi prima dello Shock & Awe in Iraq.

Ora Todd, in quello che ha definito il suo ultimo libro (“Ho chiuso il cerchio”), può permettersi di rischiare il tutto per tutto e descrivere meticolosamente la sconfitta non solo degli Stati Uniti, ma dell’Occidente nel suo complesso, concentrando le sue ricerche sulla guerra in Ucraina.

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lantidiplomatico

Parte I: Putin prepara l'Africa Corps russo per il calderone africano

di Giuseppe Masala

720x410c50muyhgw.jpgMentre gli occhi del mondo sono giustamente puntati sulla nuova deflagrazione della “guerra mondiale a pezzi” avvenuta con l'attacco anglo-americano in Yemen per contrastare il blocco dello stretto di Bab al-Mandab da parte dei ribelli filo-iraniani Huti anche in Africa la situazione si fa sempre più grave.

Come ho già illustrato in passato anche l'Africa è di fatto uno dei campi di battaglia nei quali si confrontano l'Occidente e il blocco euroasiatico (in particolare la Russia, che è più esposta militarmente mentre la Cina lo è maggiormente economicamente); il fine è di guadagnare un vantaggio strategico sull'avversario con l'insediamento di basi militari, ma anche quello di mettere le mani sulle preziose materie prime del continente e di trasferire produzioni a basso valore aggiunto la cui produzione non è più economicamente sostenibile nei paesi d'origine. Quest'ultimo è per esempio il caso dell'Etiopia (da ultimo entrata nei Brics) che sta ricevendo ingenti investimenti cinesi anche con il trasferimento di produzioni a basso valore aggiunto e non più sostenibili per Pechino (1). Per quanto riguarda l'esposizione militare della Russia in Africa, bisogna dire che questa diventa ogni giorno più rilevante: non solo con l'ingresso della compagnia di ventura privata Wagner fondata dal quell'Evgenij Prigožin deceduto in un misterioso incidente aereo, ma anche con l'intervento diretto di forze russe (Istruttori e intelligence), e il trasferimento di armamenti anche molto sofisticati. Si fa peraltro sempre più insistente la voce secondo cui la Russia (intesa come entità statuale) starebbe organizzando e istituendo una vera e propria Africa Corps di altissimo livello per contrastare “il colonialismo occidentale” nel continente.

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megachip

«Stiamo assistendo alla caduta finale dell'Occidente»

Alexandre Devecchio intervista Emmanuel Todd

Nel suo ultimo libro, lo storico e antropologo diagnostica La Sconfitta dell'Occidente. Nel suo saggio La Caduta finale, pubblicato nel 1976, l'autore aveva previsto con precisione il crollo dell'Unione Sovietica

defeatwest.jpgGRANDE INTERVISTA A «LE FIGARO» – Nel suo ultimo libro, lo storico e antropologo diagnostica La Sconfitta dell’Occidente. Nel suo saggio La Caduta finale, pubblicato nel 1976, l’autore aveva previsto con precisione il crollo dell’Unione Sovietica. «Le Figaro» spera che, questa volta, il “profeta” Todd si sbagli.

* * * *

LE FIGARO. – Secondo lei, questo libro ha in particolare come punto di partenza l’intervista che ha concesso al «Figaro» esattamente un anno fa, intitolata “La Terza Guerra Mondiale è iniziata“. Ora lei constata la sconfitta dell’Occidente. Ma la guerra non è finita…

Emmanuel TODD. – La guerra non è finita, ma l’Occidente è uscito dall’illusione di una vittoria ucraina possibile. Non era ancora chiaro per tutti quando scrivevo, ma oggi, dopo il fallimento della controffensiva di quest’estate, e la constatazione dell’incapacità degli Stati Uniti e degli altri paesi della NATO di fornire armi sufficienti all’Ucraina, il Pentagono sarebbe d’accordo con me.

La mia constatazione della sconfitta dell’Occidente si basa su tre fattori.

Primo, la carenza industriale degli Stati Uniti con la rivelazione del carattere fittizio del PIL americano. Nel mio libro, smonto questo PIL e mostro le cause profonde del declino industriale: l’insufficienza della formazione di ingegneria e più in generale il declino del livello educativo, a partire dal 1965 negli Stati Uniti.

Più in profondità, la scomparsa del protestantesimo americano è il secondo fattore della caduta dell’Occidente.

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italiaeilmondo

L’Unione Europea, coordinata dalla NATO, è lo strumento degli USA nel conflitto strategico della fase multicentrica

di Luigi Longo

80afbcac c608 4c14 9fe3 f37153982b3b.jpg[…] l’Europa è diventata una Eurolandia priva di sovranità economica e soprattutto geopolitica e militare. Al suo interno è insediato un corpo di occupazione straniero, denominato NATO, inviato da tempo come mercenariato soldatesco in Asia Centrale, pronto a minacciare e a rischiare una guerra mondiale in Georgia e in Ucraina. Se questo è anche in parte vero, allora che senso ha elencare la tiritera del nostro grande profilo europeo, dalla filosofia greca al diritto romano, dalle cattedrali romaniche e gotiche dell’umanesimo rinascimentale, dalla rivoluzione scientifica all’illuminismo, dall’eredità classica greco-romana al cristianesimo, eccetera?

Pura ipocrisia.

Costanzo Preve*

1. Avanzerò alcune riflessioni sull’Europa, non a partire dalla storia dell’Europa delle Nazioni, che si formarono dopo la dissoluzione dell’impero di Carlo Magno (1), ma a partire dalla guerra Russia-Ucraina (cioè l’aggressione Usa alla Russia via Nato-Europa), che di fatto sancisce la fine del progetto dell’Unione Europea (avanzato e realizzato dopo la seconda guerra mondiale, anche se pensato intorno agli anni trenta del secolo scorso dagli Stati Uniti d’America) sostituito dal nuovo ruolo della NATO che meglio si addice alle nuove strategie statunitensi nella fase multicentrica [conflitto tra potenza egemone in declino (USA) e potenze consolidate (Russia, Cina) e in ascesa (India)] (2). Una << […] Europa occidentale (anche l’Europa orientale, mia precisazione LL) sottomessa a una occupazione militare USA accettata dagli attuali governi fantocci, che appunto per questa ragione considero del tutto illegittimi, non importa se sanzionati o meno da elezioni manipolate >> (3).

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intelligence for the people

Mar Rosso, la sfida a USA e Israele che viene dallo Yemen

di Roberto Iannuzzi

Washington preferisce l’escalation alla diplomazia in una crisi dalle radici lontane, che gli USA hanno contribuito a creare, e che aggiunge incertezze al già instabile panorama regionale

6c335f1b 5ef5 4fd8 a6a8 99016ff3b34c 1024x718Il Mar Rosso è solitamente una delle rotte commerciali più trafficate al mondo. Circa il 12% del commercio mondiale, quasi il 30% del traffico marittimo di container, e quantità significative di petrolio, passano attraverso il Canale di Suez a nord e lo Stretto di Bab el-Mandeb a sud.

Quest’ultimo, il cui nome letteralmente significa “porta della lamentazione” o “porta delle lacrime” (probabilmente per il pericolo che tale passaggio, caratterizzato da correnti e venti imprevedibili, secche e barriere coralline, anticamente costituiva per la navigazione), congiunge il Mar Rosso al Golfo di Aden, e quindi all’Oceano Indiano e alle ricchezze del continente asiatico.

Ai due lati dello stretto si fronteggiano Gibuti, sulla costa africana, e lo Yemen, all’estremità sudoccidentale della Penisola Arabica. Ed è proprio dallo Yemen, uno dei paesi più poveri del mondo, che il movimento sciita di Ansar Allah, meglio noto come gli “Houthi” (dal nome del fondatore Hussein al-Houthi), ha lanciato la sua sfida a Israele e agli Stati Uniti.

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marxismoggi

L'ampliamento dei Brics ulteriore passo in avanti nella ridefinizione degli assetti internazionali

di Andrea Vento*

BRICS members.jpgIl Bric: da aggregato geoeconomico a soggetto geopolitico

La genesi dell'acronimo Bric viene ricondotta all'economista inglese Jim O'Neil quando a fine 2001 in un documento[1], redatto in qualità di Chief Economist della Banca di investimenti Goldaman Sachs, identificò il nuovo aggregato geoeconomico composto da Brasile, Russia, India e Cina come il gruppo di Paesi che, in base a caratteristiche comuni, avrebbero verosimilmente dominato l’economia mondiale del secolo appena iniziato. Pertanto, secondo O'Neil, agli Stati Uniti per poter mantenere la leadership globale anche nel XXI secolo sarebbe stato dunque necessario inglobarli nella governance economica e finanziaria mondiale egemonizzata fino a quel momento dal sistema occidentale.

I quattro paesi risultavano, infatti, accomunati da alcune caratteristiche simili da consentir loro nell'arco di alcuni lustri di posizionarsi nei piani alti della graduatoria delle potenze economiche mondiali: la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali strategiche e prospettive di forte crescita del PIL e della quota nel commercio mondiale.

La tesi sostenuta da O'Neal non venne, tuttavia, pienamente percepita nella sua portata strategica negli ambienti di Washington, in quegli anni, peraltro, impegnati nella ridefinizione dell'assetto geopolitico mediorientale con gli interventi militari in Afghanistan e Iraq. Finì, invece, per fornire un inaspettato input aggregativo per i quattro paesi che fino ad allora avevano scarsamente cooperato dal punto di vista economico[2] e geopolitico, i quali, a partire dal settembre 2006, iniziarono a effettuare annualmente riunioni informali a margine dell'Assemblea generale dell'Onu.

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lantidiplomatico

Yemen: un paese strategico nella scacchiera geopolitica

di Paolo Arigotti

720x410nbgtrs.jpgLa narrazione del mainstream sovente ci presenta gli Houthi – altrimenti detti Ansar Allah (“partigiani di Dio”) – come un gruppo ribelle, quasi a sottolinearne la natura non ufficiale di quello che, piaccia o meno, rappresenta il governo dello Yemen, perlomeno di una buona parte di questa martoriata nazione, ivi compresa la capitale Sanaa[1]. E non sarebbe neppure il caso di sminuirne il potenziale militare, tenuto conto che parliamo di un movimento di resistenza sciita che è stato in grado di tenere testa, a partire dal 2015, alla coalizione a guida saudita, nell’ambito di una lunga e sanguinosa guerra civile che ha funestato la nazione più povera della penisola arabica.

Gli Houthi sono tornati all’onore delle cronache quando hanno apertamente sfidato la potenza talassocratica per eccellenza, quella statunitense, nel contesto di uno dei più importanti e strategici “colli di bottiglia” del mondo: lo stretto di Bab al-Mandeb, sul mar Rosso, lo snodo di collegamento con l’oceano Indiano. Nessun dubbio circa le ragioni degli Houthi, che possono essere lette nelle dichiarazioni ufficiali del governo yemenita, nelle quali traspare la natura ritorsiva della strategia messa in atto a partire dallo scorso 14 novembre, per quanto il primo attacco si sia verificato il 19 ottobre, quando il cacciatorpediniere americano USS Carney aveva intercettato tre missili sparati dalle coste dello Yemen. Il gruppo sciita, quale risposta alle violenze perpetrate dalle forze armate israeliane nella striscia di Gaza, già costate la vita a oltre ventimila persone (per lo più donne e bambini), ha annunciato l’intenzione di prendere di mira, con droni e missili, qualsiasi nave legata a Israele che transiti da Bab al-Mandeb, che funge da porta d’accesso anche al Canale di Suez, per il cui tramite – giova ricordarlo - transita circa il 10 per cento del commercio globale e qualcosa come 8,8 milioni di barili di petrolio, corrispondenti più o meno a un decimo delle forniture globali, senza contare il circa 8 per cento di gas liquido.

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intelligence for the people

Siria, Libano, Iran, Iraq: escalation di attentati e attacchi in Medio Oriente

di Roberto Iannuzzi

Una serie impressionante di attacchi, attribuiti a Israele, all’ISIS e agli USA, e rivolti invariabilmente contro l’asse iraniano in Medio Oriente, accresce i rischi di destabilizzazione regionale

Nakba esquilino 1.jpgNegli ultimi dieci giorni, a cavallo fra il vecchio e il nuovo anno, una progressione sconcertante di attentati ha colpito obiettivi legati all’asse iraniano in Medio Oriente. La serie ha avuto inizio con l’uccisione del generale iraniano Radhi Mousavi lo scorso 25 dicembre a Damasco, in Siria. Il 2 gennaio, un attacco missilistico (probabilmente compiuto da un drone) ha ucciso Saleh al-Arouri, uno dei principali esponenti del movimento islamico palestinese Hamas, insieme ad altri uomini del gruppo, nel sobborgo meridionale di Beirut, considerato la roccaforte del gruppo sciita libanese Hezbollah. Il giorno dopo, una doppia esplosione nei pressi della tomba del generale Qassem Soleimani, a Kerman, in Iran, ha mietuto quasi cento vittime fra i presenti giunti a commemorare il comandante assassinato quattro anni fa dagli USA in Iraq. Infine, proprio in Iraq gli Stati Uniti hanno ucciso, ancora una volta tramite un drone, il leader di una milizia filo-iraniana il 4 gennaio.

Questa sanguinosa serie di episodi infiamma ulteriormente un panorama mediorientale già profondamente scosso dal terribile conflitto in corso a Gaza e dalle sue ramificazioni regionali, fra le quali spiccano lo scontro militare fra Israele e Hezbollah (fino a questo momento limitato a reciproci bombardamenti lungo il confine libanese), e le tensioni nel Mar Rosso causate dagli attacchi alle navi mercantili dirette verso Israele da parte della formazione sciita yemenita di Ansar Allah (meglio nota come movimento degli Houthi, dal nome del suo fondatore).

 

Attacco al cuore del potere iraniano a Damasco

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paginauno

La guerra. Esperimento Terra

di Giovanna Cracco

L’impatto ambientale degli esperimenti nucleari. Documenti desecretati rivelano che tra il 1945 e il 1992 gli Stati Uniti hanno effettuato 1.051 test atomici esplodendo in totale 180 megatoni, pari a 11.250 bombe di Hiroshima; 12 test hanno contemplato il lancio di razzi fino a 700 km di quota, nella magnetosfera, con l’obiettivo di verificare se la struttura stessa del sistema Terra potesse essere utilizzata come arma. Quali sono state le conseguenze a lungo termine sull’equilibrio terrestre e sul clima?

2kjyhvhj.jpgQuando si imputa alle attività umane la responsabilità del cambiamento climatico, una di esse gode di un unanime e trasversale occultamento: l’attività militare. L’economia, la politica, i principali think tank, le grandi agenzie sovranazionali... nessuno ne fa citazione nei dettagliati e accalorati documenti che auspicano, o impongono, innovazioni green e transizioni ecologiche. L’industria della guerra, dalla produzione alle esercitazioni ai conflitti in giro per il pianeta, è esclusa sia dall’elenco delle cause che da quello delle soluzioni. La sua incidenza sull’ambiente è innegabile, ma la difficile quantificazione per mancanza di dati, come mostra il Report di Scientists for Global Responsibility e Conflict and Environment Observatory qui pubblicato a pag. 34, la porta, per restare nel campo semantico, ‘fuori dai radar’ della discussione.

D’altra parte, la guerra è morte e distruzione della biosfera e della vita; è bombardamenti e agenti chimici; è aviazione, carri armati, proiettili, gas... come si potrebbe discutere di rendere ecologicamente sostenibile una simile attività umana? Siamo davanti a un nonsense.

Non è l’unico. Se i danni da gas serra sono almeno conosciuti e riconosciuti, ve ne sono altri tuttora ignoti.

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contropiano2

Nuove informazioni riguardo alle menzogne israeliane sul 7 ottobre

di Ali Abunimah - David Sheen*

Un generale israeliano ha ucciso altri israeliani e poi ha mentito. Prosegue la controinchiesta di Electronic Intifada sulle vittime dell’attacco palestinese ai kibbutz israeliani del 7 ottobre.

Israele morti nei kibbutzVideo e testimonianze recentemente pubblicati dai media israeliani rivelano nuovi dettagli su come le forze israeliane hanno ucciso i propri civili nel Kibbutz Be’eri il 7 ottobre.

La settimana scorsa, il Canale 12 di Israele ha pubblicato un filmato inedito di un carro armato israeliano che sparava contro una casa civile nell’insediamento, a pochi chilometri a est di Gaza.

Le nuove prove dimostrano che il comandante israeliano sul posto, il generale di brigata Barak Hiram, ha mentito a un importante giornalista israeliano su ciò che è accaduto nel kibbutz quel giorno, dopo che i combattenti della resistenza palestinese hanno lanciato un assalto su larga scala alle basi militari israeliane e agli insediamenti oltre il confine di Gaza.

Si tratta di un tentativo di insabbiamento da parte di un alto ufficiale militare, con la complicità dei media.

Ma, lungi dall’essere ritenuto in qualche modo responsabile, Hiram si appresta ad assumere il suo nuovo ruolo di comandante della Divisione Gaza, la Brigata dell’esercito israeliano che è stata sbaragliata dalle forze palestinesi il 7 ottobre.

Hiram risiede nell’insediamento di Tekoa, costruito in violazione del diritto internazionale vicino alla città di Betlemme, nella Cisgiordania occupata.

In un’intervista rilasciata il 26 ottobre a Ilana Dayan, conduttrice del prestigioso programma investigativo Uvda del Canale 12 israeliano, Hiram ha fornito un resoconto falso degli sforzi per salvare i civili a Be’eri.

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acropolis

La politica estera degli Stati Uniti è una truffa costruita sulla corruzione

di Jeffrey D. Sachs

usa unsplash.jpgLa politica estera degli Stati Uniti sembra essere del tutto irrazionale. Gli Stati Uniti entrano in una guerra disastrosa dopo l’altra: Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Ucraina e Gaza. Negli ultimi giorni, gli Stati Uniti si sono isolati a livello globale nel sostenere le azioni genocide di Israele contro i Palestinesi, votando contro una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco a Gaza sostenuta da 153 Paesi con l’89% della popolazione mondiale, e contrastata solo dagli Stati Uniti e da 9 piccoli Paesi con meno dell’1% della popolazione mondiale.

Negli ultimi 20 anni, tutti i principali obiettivi di politica estera degli Stati Uniti sono falliti. I Talebani sono tornati al potere dopo 20 anni di occupazione statunitense dell’Afghanistan. L’Iraq post-Saddam è diventato dipendente dall’Iran. Il presidente siriano Bashar al-Assad è rimasto al potere nonostante gli sforzi della CIA per rovesciarlo. La Libia è caduta in una lunga guerra civile dopo che una missione NATO guidata dagli Stati Uniti ha rovesciato Muammar Gheddafi. L’Ucraina è stata randellata sul campo di battaglia dalla Russia nel 2023, dopo che gli Stati Uniti hanno segretamente annullato un accordo di pace tra Russia e Ucraina nel 2022.

Nonostante queste notevoli e costose debacle, una dopo l’altra, lo stesso cast di personaggi è rimasto al timone della politica estera statunitense per decenni, tra cui Joe Biden, Victoria Nuland, Jake Sullivan, Chuck Schumer, Mitch McConnell e Hillary Clinton.

 

Cosa succede?

L’enigma si risolve riconoscendo che la politica estera americana non riguarda affatto gli interessi del popolo americano. Si tratta invece degli interessi degli addetti ai lavori di Washington, a caccia di contributi per le campagne elettorali e di posti di lavoro redditizi per sé, per il personale e per i familiari. In breve, la politica estera degli Stati Uniti è stata violata dai grandi capitali.

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clarissa

La strategia israeliana e Gaza

di Alfa Tau

grossa.jpgMentre perdura l’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, è utile fare il punto su alcuni dati di fatto che consentono una lettura degli avvenimenti in Terra Santa significativamente diversa rispetto a quanto media italiani e internazionali hanno raccontato e continuano a raccontare. Crediamo infatti che il solo modo per contribuire a una pace giusta in Medio Oriente sia quello di favorire la comprensione della realtà, sfrondandola da propaganda e manipolazioni mediatiche.

* * * *

Un aspetto fondamentale, emerso da varie convergenti testimonianze, fino a essere oramai seriamente documentato, riguarda il presunto fallimento dell’intelligence israeliana nel prevedere il famigerato attacco terroristico dello scorso 7 ottobre. Una prima voce significativa è circolata quando l’americano New York Times, il 30 ottobre scorso, nel ricostruire la “sorpresa” che lo Shin Bet (servizio segreto militare israeliano) avrebbe subìto, evidenzia un fatto piuttosto singolare:

«l’Unità 8200, agenzia israeliana che si occupa di monitorare le comunicazioni radio nemiche, aveva smesso di intercettare quelle di Hamas un anno prima, poiché lo riteneva uno spreco di forze. Secondo tre funzionari della difesa israeliana, fino quasi all’inizio dell’attacco, nessuno ha ritenuto che la situazione fosse abbastanza grave da dover svegliare il primo ministro Benjamin Netanyahu».

La notizia passa ovviamente inosservata presso i media italiani, votati alla tutela ad ogni costo, soprattutto a quello della verità, dell’immagine dello Stato d’Israele presso la nostra opinione pubblica. Ma, ecco che, non molti giorni dopo, si aggiunge un’altra notizia ancora più sorprendente, riferita dal canale televisivo israeliano N12. Il 23 novembre, il Jerusalem Post riassume così il servizio dell’emittente:

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sinistra

Un altro Maidan in Serbia?

di Enrico Vigna

In Serbia, dopo le elezioni che hanno visto una schiacciante vittoria delle forze governative, le forze al servizio degli interessi occidentali hanno tentato un Maidan serbo. La Russia ne ha fornito in anticipo i piani alla Serbia

maidan serbia.jpgPur tra mille contraddizioni, limiti e gravi incognite sul futuro del paese e della sempre più esplosiva situazione nel Kosovo Metohija, la maggioranza schiacciante è andata ai partiti che hanno finora gestito questa delicata e complessa fase politica interna e internazionale. Nei fatti un voto di contenimento e resistenza ai diktat occidentali e NATO. Mentre le forze filo occidentali e natoidi hanno subito una nuova sconfitta, nonostante gli ingenti investimenti economici e mediatici occidentali, e ora tentano una sorta di rivoluzione colorata/Maidan serba, assaltando il parlamento e scatenando violenze nelle strade.

* * * *

Il 17 dicembre si sono svolte in Serbia le elezioni parlamentari e locali. Secondo i dati della Commissione elettorale repubblicana del paese, la coalizione del Partito progressista serbo (SPP), al governo, con la lista "Aleksandar Vucic - La Serbia non deve fermarsi”, ha vinto le elezioni per il Parlamento della Repubblica avendo ottenuto il 48.02% dei voti. La coalizione dell’opposizione filo occidentale “Serbia contro la violenza” ha ottenuto il 24.23%. Al terzo posto si colloca il Partito Socialista Serbo (già in alleanza e nel governo Vucic) con il 6,74%. Segue NADA/ Alternativa Democratica Nazionale, altra forza di opposizione conservatrice, monarchica ed europeista, con il 5.18%. La vera sorpresa è stata la lista “NOI. La voce del popolo” guidata dallo stimato dottor Branimir Nestorovic con il 4.82%, una nuova formazione che si colloca criticamente su alcuni aspetti, ma rifiuta fermamente ingerenze e pressioni per la svendita del paese a interessi stranieri e difende la sovranità nazionale. Oltre alle liste delle minoranze nazionali.

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lantidiplomatico

L’Ucraina ha perso la guerra?

di Paolo Arigotti

720x410c50nytfdx.jpgIl conflitto in Ucraina, che secondo la narrazione “comune” sarebbe iniziato il 24 febbraio 2022, ma in realtà scoppiato assai prima, sembrerebbe avviarsi al suo epilogo. Utilizziamo il verbo “sembrare” perché l’esperienza insegna come formulare previsioni circa i teatri conflittuali sia sempre un azzardo, ma soprattutto perché ci sono molte altre variabili da considerare. Basterebbe sfogliare il saggio “Scemi di guerra”[1], di Marco Travaglio, uscito a febbraio scorso, per leggervi di innumerevoli previsioni rivelatesi fallaci e/o ispirate alla logica del “wishful thinking”.

Lasciando perdere analisti improvvisati e/o divulgatori vari ed eventuali, prenderemo spunto da un articolo recentemente pubblicato da Seymour Hersh, giornalista investigativo e vincitore del premio Pulitzer[2], intitolato “Da Generale a Generale. In Ucraina i leader militari stanno trattando la possibilità della pace”. Hersh parla di presunti (e segreti) colloqui di pace tra il generale Valery Zaluzhny, comandante delle forze armate di Kiev e Valery Gerasimov, capo di stato maggiore russo: secondo l’autore: “La forza trainante di questi colloqui non è stata Washington o Mosca, Biden o Putin, ma piuttosto i due generali di alto rango che conducono la guerra, Valery Gerasimov e Valery Zaluzhny”.

La bozza d’intesa prevederebbe un via libera di Mosca all’ingresso di Kiev nella Nato, a condizione che l’alleanza non collochi proprie truppe e/o armamenti offensivi in territorio ucraino; la Crimea verrebbe formalmente riconosciuta come parte della Federazione russa – come nei fatti è, dal 2014 – mentre nelle restanti regioni contese, Donbass e Novorossiya (Zaporozhie e Kherson), si svolgerebbe un referendum popolare per ratificarne l’adesione alla Russia.

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inchiesta

Recensione a “La Cina al centro” di Maurizio Scarpari

di Giangiorgio Pasqualotto

Recensione a Maurizio Scarpari, La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine mondiale, Bologna, il Mulino 2023

2565939006885 0 0 424 0 75.jpgDi Maurizio Scarpari, uno dei più importanti sinologi italiani – già docente di ”Lingua cinese classica” all’Università Ca’ Foscari di Venezia – l’editrice bolognese “il Mulino” ha appena pubblicato La Cina al centro. Ideologia imperiale e disordine mondiale, un volume importante, denso di aggiornatissime informazioni altamente qualificate, ma anche impreziosito da riflessioni di carattere strico e filosofico. Il libro si presenta in una prospettiva di continuità e di completamento rispetto al precedente Ritorno a Confucio, apparso nel 2015, sempre per i tipi dell’editrice “il Mulino”. I due volumi risaltano entrambi come strumenti indispensabili per conoscere, da un lato, i principi della grande tradizione culturale cinese e, dall’altro, l’enorme influsso che essi continuano ad avere nella storia recente della politica cinese tendente a rivendicare, con forza sempre maggiore, un ruolo egemone nel presente e nel futuro del mondo contemporaneo.

La Cina al centro si presenta in realtà come un notevole approfondimento dei problemi connessi alla ripresa e all’aggiornamento della grande tradizione culturale cinese in funzione egemonica con intenzioni globali. Le prime due parti del libro vengono dedicate a chiarire il più possibile i termini e i modi di tale ripresa e di tale aggiornamento, componendo in ‘figure’ leggibili un enorme quantità di dati ricavati sia dai documenti ufficiali cinesi sia dai commenti prodotti da alcuni dei più significativi esperti occidentali delle politiche cinesi recenti, attuali e future. Scarpari, tuttavia, regge ottimamente il peso di questo immenso materiale documentale, grazie, certo, a una collaudata esperienza di storico e di critico, ma anche grazie a un ‘pathos’ personale ben riassunto in questa considerazione: “E’ stata delusa la speranza di chi, come il sottoscritto, aveva coltivato l’idea […] che si potesse creare col tempo una forma ibrida di governance, che potremmo definire ‘morbida’.