Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email

partenzadazero.png

L'Europa sottomessa... ma a chi?

di Ferdinando Bilotti

jmpohndnvpèParte 1

Attraverso l’Ucraina, gli Stati Uniti stanno conducendo una guerra contro la Russia.

Attraverso la guerra contro la Russia, stanno conducendo una guerra contro l’Europa.

Promuovendo l’isolamento economico della Russia, gli USA hanno indotto l’Unione Europea a stabilire sanzioni che hanno ridotto le sue importazioni di idrocarburi da tale nazione. L’attentato al gasdotto Nord Stream, che con tutta probabilità è opera degli stessi Stati Uniti, ha ulteriormente compromesso l’afflusso di risorse energetiche dal suo territorio. Come se non bastasse, la Russia ha reagito alle sanzioni con delle misure ritorsive, consistenti nella limitazione delle proprie esportazioni di altre materie prime, in uso nell’industria e nell’agricoltura. Le imprese europee hanno dovuto così fare i conti con una penuria di molti prodotti di cui si servivano e con un rincaro dei loro prezzi, dovuto all’insorgere di fenomeni speculativi e alla sostituzione delle importazioni russe con altre meno a buon mercato (a cominciare dal gas di scisto statunitense, più costoso di per sé e reso ancora più caro dall’onerosità del trasporto via nave e dei trattamenti di liquefazione e rigassificazione cui va sottoposto).

L’industria continentale, quindi, si è ritrovata a produrre a costi più alti, con conseguente perdita di competitività sul versante dei prezzi cui era in grado di offrire i propri manufatti. Ciò l’ha resa interessata a valutare una delocalizzazione delle proprie attività in altre nazioni, ancora in grado di offrire energia a basso costo e magari dotate di condizioni più favorevoli anche sotto altri aspetti (ad esempio: minori tutele per i lavoratori e normative ambientali meno rigide). Fra i paesi a possedere tali requisiti c’erano proprio gli Stati Uniti, che oltretutto presentavano la caratteristica di costituire un importante mercato di sbocco per le produzioni europee.

Print Friendly, PDF & Email

ottolinatv.png

A Pechino gli Stati sovrani “cospirano” contro il dominio USA

di Ottolinatv

Vladimir PutinA poche ore dal trionfale summit SCO di Tianjin, Pechino mette sul tavolo il piatto forte: la colossale parata che si è tenuta stamattina a Pechino è costellata da una serie infinita di fatti ed eventi di portata storica, a partire dal fatto che, come ricorda il South China Morning Post, è “la prima volta che Kim, Xi e Putin, tutti considerati rivali degli Stati Uniti, si sono riuniti nello stesso luogo, inviando un forte segnale di unità contro l’Occidente guidato dagli Stati Uniti”. “Oggi ci riuniamo solennemente per commemorare l’80° anniversario della vittoria della Guerra di resistenza del popolo cinese contro l’aggressione giapponese e della Guerra mondiale antifascista” ha ricordato nel suo breve, ma intenso, intervento Xi Jinping; un atto dovuto “per ricordare insieme la storia e onorare la memoria dei martiri”, ma anche per “coltivare la pace e creare il futuro”. “La guerra di resistenza del popolo cinese contro l’aggressione giapponese” ha sottolineato Xi “è una parte importante della guerra antifascista mondiale. Il popolo cinese ha compiuto grandi sacrifici a livello nazionale e ha contribuito in modo significativo alla salvezza della civiltà umana e alla salvaguardia della pace mondiale”; “Oggi, l’umanità si trova nuovamente di fronte alla scelta tra pace o guerra, dialogo o scontro, vittoria per tutti o somma zero. Il popolo cinese si schiera fermamente dalla parte giusta della storia e del progresso della civiltà umana, aderisce al percorso dello sviluppo pacifico e lavora fianco a fianco con i popoli di tutti i paesi per costruire una comunità con un futuro condiviso per l’umanità”. “Il grande rinnovamento della nazione cinese è inarrestabile! La nobile causa della pace e dello sviluppo per l’umanità trionferà sicuramente!”. Se volete una rassegna piuttosto esaustiva di tutto quello che è stato messo in mostra dal punto di vista militare, vi consiglio questo lungo articolo su Guancha o il canale Telegram della nostra Clara Statello, che stamattina era particolarmente in forma e su di giri.

Mi vorrei concentrare piuttosto sul significato politico e sulle reazioni: “Il significato della parata militare del 3 settembre”, scrive su Guancha Shen Yi, professore di Politica Internazionale all’Università di Fudan, “sta diventando sempre più evidente”:

Print Friendly, PDF & Email

laboratorio

La Germania sta rinascendo come potenza militare?

di Domenico Moro

Riarmo tedesco.jpegRecentemente in Germania il governo di coalizione tra democristiani (CDU) e socialdemocratici (SPD), guidato dal cancelliere Friedrich Merz, ha preso alcune decisioni che portano a un massiccio riarmo e rafforzamento militare. Si tratta di un fatto che non può non destare preoccupazione, perché il riarmo e il militarismo della Germania nel secolo scorso sono stati precursori delle due guerre mondiali.

Proprio per prevenire la minaccia della rinascita della potenza militare della Germania, questa, dopo la Seconda guerra mondiale, era stata divisa in due Stati, la Repubblica democratica tedesca a est e la Repubblica Federale a ovest. Dal 1990, però, il paese è di nuovo riunito in un solo Stato. La preoccupazione per la rinascita militare tedesca deriva oggi anche dall’enorme potenza industriale della Germania, che è la terza economia mondiale per Pil nominale e di gran lunga la prima in Europa anche per popolazione.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale fino a oggi, però, la Germania è stata un gigante economico ma un nano politico e soprattutto militare, tanto che l’esercito tedesco è stato definito “un gruppo di boy scout particolarmente aggressivo”. Merz, invece, ha dichiarato che intende fare delle Forze armate tedesche quelle più forti in Europa e, per questo, ha abolito, in riferimento alle spese militari, quello che era un tabù, il vincolo al debito, permettendo finanziamenti illimitati al settore militare. La Germania, in Europa, è, del resto, l’unico grande paese che, secondo il credo neoliberista, può permettersi ingenti finanziamenti statali, perché ha un debito pubblico pari al 63% del Pil, mentre la Francia ha un debito del 116% e l’Italia del 137%.

Ad ogni modo, l’aumento della spesa militare era stato già impresso dal precedente governo del socialdemocratico Olaf Scholtz. Secondo il Sipri, tra 2020 e 2024 la spesa militare pro capite tedesca era passata da 637,52 a 1044,42 dollari, un aumento molto più sostenuto di quelli avvenuti in Francia, passata da 811,69 a 972,62 dollari, e in Italia, passata da 548,44 a 638,76 dollari.

Print Friendly, PDF & Email

krisis.png

Pace in Ucraina: pochi spiragli e tante ombre

di Francesco Bascone

L’analisi dell’ambasciatore Francesco Bascone dopo il vertice di Anchorage fra Donald Trump e Vladimir Putin

angloriam weimar otto dix skat playersNon sappiamo se il vertice russo-americano di Anchorage sia destinato a figurare nei libri di storia, come prima tappa nel percorso di uscita da questa guerra o se finirà nel secchio delle occasioni mancate. La stragrande maggioranza dei commentatori osserva che l’aggressore ha ottenuto la piena riabilitazione da parte di Washington senza nulla concedere (questo punto andrà approfondito) e che Donald Trump, convinto di ammaliarlo con le sue lusinghe, si è lasciato ammaliare. Tanto è vero che ha prontamente sconfessato la propria promessa di pesanti sanzioni in caso di rifiuto della tregua.

Questa concessione alla metodologia di Putin – puntare rapidamente a concordare le linee generali per un accordo di pace mentre si continua a combattere – sarebbe difendibile se si trattasse di un paio di settimane, lasso di tempo previsto da Trump per un bilaterale Volodymyr Zelensky – Vladimir Putin, seguito forse da un trilaterale con lui stesso e se in cambio si fosse ottenuta una chiara disponibilità russa ad attenuare le proprie pretese.

A prima vista, non sembra sia così: il presidente russo ha ribadito che gli obiettivi dell’operazione militare speciale rimangono invariati e che un incontro al vertice deve essere preceduto da una lunga fase preparatoria.

Trump, ripetendo ancora una volta che la colpa della guerra è di Joe Biden, ha dato un assist a Putin. Il presidente russo ci ha visto una conferma della propria tesi secondo cui la Russia aveva le sue buone ragioni nel 2022 per attaccare l’Ucraina e che ora la guerra può essere fermata solo se verranno eliminate le cause di quella decisione. Cioè concordare una nuova Yalta.

Se si tiene conto, inoltre, del cinico invito al «realismo» rivolto da Trump a Zelensky, e implicitamente ai suoi amici europei («la Russia è una grande potenza, l’Ucraina no») c’è poco da illudersi sulle condizioni di pace che, secondo lui, Kiev dovrebbe rassegnarsi ad accettare.

Print Friendly, PDF & Email

Il ritorno di James Monroe

di Enrico Tomaselli

Doctrina Monroe.jpgLa ormai storica tensione tra Stati Uniti e Venezuela vede, in questi giorni, un inasprirsi della postura aggressiva da parte di Washington, anche se poi – alla resa dei conti – questa appare essere più una grande operazione di psyop. Gli USA  hanno sempre osteggiato la Rivoluzione Bolivariana di Chavez, ma da quando gli è succeduto Maduro la pressione statunitense si è decisamente fatta ben più forte. Innumerevoli tentativi di golpe, il sostegno a personaggi al limite del ridicolo come Guaidò – autoproclamatosi presidente ad interim, prima di sparire nel nulla da cui era emerso – per approdare infine all’accusa di essere un narcotrafficante, anzi di essere a capo del Cártel de los Soles. Molto opportunamente, nelle scorse settimane è stata innalzata la taglia su Maduro a 50 milioni di dollari (quasi fossimo nel far west), ed è stato approvato un ordine esecutivo segreto che equipara i cartelli della droga ad organizzazioni terroristiche, e rende possibile agire contro di loro con le forze armate.

La questione, però, al di là dello specifico venezuelano, va inquadrata in un contesto assai più ampio. L’America Latina, almeno a partire dalla proclamazione della cosiddetta Dottrina Monroe – affermata dal presidente James Monroe nel 1823 – ha sempre considerato il sub-continente americano come il proprio cortile di casa. Dietro lo slogan “l’America agli americani”, infatti, la dottrina mirava essenzialmente a garantire l’egemonia USA nell’emisfero occidentale; l’intento primario era quello di azzerare l’influenza europea, adottando un linguaggio propagandistico di tipo sovranista-populista, ma lo scopo ultimo era appunto quello di sostituirsi agli europei, e con il termine “americani” intendeva effettivamente nord-americani.
Questo dominio statunitense sull’America Latina è sostanzialmente durato per tutto il novecento, ed è stato caratterizzato da spietate dittature, massacri di popolazioni indigene, e completo diritto di saccheggio da parte delle multinazionali americane.

Print Friendly, PDF & Email

transform

La vittoria di Trump nella guerra dei dazi

di Alfonso Gianni

2025 04 03T103222Z 515470366 RC2XPDAPOPSV RTRMADP 3 USA TRUMP TARIFFS RESULTS.jpgLa partita dei dazi fra Usa e Ue si è giocata non a caso a Turneberry, in uno dei campi di golf di proprietà di Trump e si può tranquillamente dire che è stata una debacle per gli interessi europei. Ci vuole una buona dose di faccia tosta per affermare, come ha fatto Ursula Von der Leyen, che si è trattato di un risultato “enorme” corrispondente al “massimo” che si sarebbe potuto ottenere. Tanto più che si era partiti da dichiarazioni da un lato ottimistiche, dall’altro bellicose. Le prime facevano credere che si potesse puntare a un risultato finale sul tipo di uno “zero per zero”. Le seconde che si poteva percorrere la strada di una guerra commerciale di non breve durata. La prima ipotesi è stata subito bersagliata dall’aggressività spavalda di Trump che ha continuamente alzato l’asticella delle tariffe doganali. Una tattica del continuo rialzo che però già prevedeva un punto di caduta. Esattamente quel 15% che aveva trovato già una sua applicazione nel confronto con il Giappone e che in quello con la Ue rappresenta una indubbia vittoria tutt’altro che solo simbolica da parte di Trump.

Va sempre considerato che la guerra dei dazi è stata cominciata dal tycoon all’interno di una più ampia strategia di politica economica e finanziaria giocata a livello internazionale. E’ quanto sta scritto nel corposo documento del novembre del 2024, stilato dal suo principale consigliere economico, Stephen Miran, che suggerisce all’Amministrazione americana di alternare il “bastone e la carota” (testuale nel paper citato) nei rapporti con i vari paesi sullo scenario internazionale. In questa visione l’applicazione dei dazi e la loro ipertrofica minaccia preventiva, costituisce il bastone, mentre la carota sarebbe rappresentata dalla continuazione di una protezione militare, o meglio la rinuncia a un totale o parziale abbandono della stessa. Qui emerge già un primo elemento che pone fin dall’inizio in vantaggio la posizione negoziale (si fa per dire) di Trump.

Print Friendly, PDF & Email

analisidifesa

Non esistono garanzie senza rischi

di Gianandrea Gaiani

2fab2c656faadae5cb65b42d414e2101 1755543385 extra large.jpegCome spesso è accaduto da quando è iniziata la guerra russo-ucraina, la situazione è grave ma non seria, come sta dimostrando il dibattito sulle garanzie di sicurezza da offrire Kiev.

Garanzie necessarie in un ipotetico scenario futuro in cui un’ipotetica pace si instauri tra Mosca e Kiev in seguito a un ipotetico accordo di cui al momento non si vedono i presupposti, neppure quelli ipotetici considerato che l’Ucraina non ha accettato di cedere i territori perduti e già in mano ai russi, prima condizione per portare Mosca al tavolo delle trattative.

I leader europei sono rientrati esultanti da Washington tra lo scetticismo di molti osservatori che, come Analisi Difesa, hanno cercato di valutare gli eventi con un approccio pragmatico.

Il giornale web americano Politico evidenzia infatti che vi sono profonde divergenze tra gli alleati occidentali sul tipo di garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina.

Nella sua edizione europea, Politico sottolinea come, nonostante le pressioni del presidente statunitense Donald Trump e l’apertura a protezioni simili all’articolo 5 della NATO” come proposto dall’Italia, non sono stati definiti ne’ il perimetro ne’ le modalità di attuazione di tali garanzie.

Durante l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i leader europei del 18 agosto, Trump ha escluso l’invio di truppe statunitensi in Ucraina, lasciando l’onere agli alleati europei. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha confermato l’impegno a lavorare a una “forza di rassicurazione” da schierare in caso di cessazione delle ostilità. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di una missione congiunta con Regno Unito, Germania e Turchia, ma i dettagli restano vaghi, precisa Politico.

Fonti europee riferiscono che gli scenari ipotizzati prevedono un possibile mandato di combattimento per le truppe occidentali, senza però attribuire loro il compito di far rispettare la pace. Concetto non molto chiaro che sembra sottintendere che la responsabilità militare resterebbe alle forze armate ucraine.

Print Friendly, PDF & Email

analisidifesa

Gli gnomi bellicosi

di Gianandrea Gaiani

Fronten.jpgLa stragrande maggioranza delle nazioni europee, stati membri di UE e NATO, in prima fila nell’esortare il continente al riarmo per essere pronti a combattere i russi che entro pochi anni di certo invaderanno l’Europa (fino a Lisbona come diceva qualche illustre opinionista italiano), non dispongono di forze da combattimento numericamente credibili e non sarebbero in grado, in caso di guerra aperta, neppure di presidiare i propri confini, figuriamoci di difenderli.

Basta prendere le dichiarazioni roboanti dei diversi premier, ministri e in qualche caso di capi di stato maggiore o alti ufficiali (soprattutto in Nord Europa) e confrontarli con i dispositivi militari che queste nazioni “bellicose” sono in grado di mettere in campo oggi, cioè tre anni mezzo dopo l’inizio della guerra in Ucraina che, a dire di molti, vede i soldati di Kiev combattere anche per noi.

In molti casi, la consistenza degli strumenti militari di diverse nazioni europee si rivela un bluff, ancor più clamoroso se lo si affianca alla veemenza con cui esaltano il rischio di guerra con la Russia e la necessità di un massiccio riarmo, sollecitando e pressando politicamente le grandi nazioni europee che dispongono di forze armate quanto meno credibili nei numeri e nelle capacità.

 

Avvertenze

I dati citati in questo articolo provengono dal Military Balance 2025 dell’International Institute fior Strategic Studies. Nelle valutazioni non è stato tenuto conto delle riserve mobilitabili nei diversi paesi in caso di guerra.

Non si tratta di una dimenticanza ma della considerazione che i tempi di mobilitazione, addestramento e inserimento in prima linea dei riservisti richiedono nella miglior delle ipotesi molte settimane.

Print Friendly, PDF & Email

acropolis

La mossa finale di Trump sull’Ucraina. Il ritiro americano sarà mascherato da pace

di Thomas Fazi

13270829 scaled 1 scaledL’esito più probabile sarà un temporaneo disgelo nelle relazioni tra Stati Uniti e Russia, sebbene la più ampia lotta geopolitica continuerà. E i veri perdenti saranno l’Ucraina e l’Europa. Gli ucraini continueranno a morire in una guerra che non possono vincere, mentre gli europei continueranno a pagarne il conto. Alla fine, anche loro saranno costretti ad accettare un accordo alle condizioni russe, ma solo dopo ulteriori sofferenze. Anche in quel caso, l’Europa rimarrà intrappolata in una relazione ostile e militarizzata con la Russia, con il potenziale per un rinnovato conflitto in qualsiasi momento. Nella migliore delle ipotesi, il vertice in Alaska e le sue conseguenze segnalano un temporaneo allentamento del confronto in corso tra l’Occidente e l’emergente ordine multipolare. Nella peggiore, garantiranno che Europa e Ucraina continueranno a pagare il prezzo di una guerra che gli Stati Uniti hanno già scelto di lasciarsi alle spalle.

* * * *

Sebbene l’incontro di questa settimana alla Casa Bianca tra Donald Trump, Volodymyr Zelensky e un gruppo di leader europei non abbia prodotto risultati tangibili, ha comunque segnato un passo importante verso la pace in Ucraina. Per la prima volta, il leader ucraino e i suoi omologhi in Europa hanno concordato di discutere della guerra sulla base della realtà sul campo, piuttosto che su illusioni. Fino a pochi mesi fa, l’adesione di Kiev alla NATO era considerata non negoziabile dalla diplomazia europea e dalla NATO stessa. Ora, non solo questa prospettiva sembra essere stata definitivamente accantonata, ma per la prima volta la discussione si è spostata dall'”integrità territoriale” dell’Ucraina a potenziali “concessioni territoriali”.

Print Friendly, PDF & Email

analisidifesa

Più domande che risposte dagli incontri alla Casa Bianca

di Gianandrea Gaiani

90dbfd43fa390c6b55fb363a1e828fcb 1755543391 extra large.jpegTante chiacchiere (molte in libertà), grandi proclami ma poco pragmatismo e soprattutto pochi sviluppi concreti sembrano essere emersi dagli incontri di Washington tra i leader europei, Volodymyr Zelensky e Donald Trump.

Nei colloqui il presidente USA non ha lesinato elogi ai suoi interlocutori, da Zelensky a Rutte, von der Leyen, Starmer, Macron, Meloni, Merz e al presidente finlandese Stubb, ma se le parole spese sono state pure troppe, di contenuti se ne sono visti e sentiti davvero pochi.

Trump ha detto che ama gli ucraini (ma anche i russi) ed è stato molto ospitale con tutti i leader intervenuti, ha fatto persino un siparietto comico con Zelensky che per la prima volta è stato visto con addosso una giacca ma, per capire se si sono fatti passi avanti bisogna porsi domande molto concrete. E soprattutto cercare (a fatica) eventuali risposte.

In realtà una serie di incontri faccia a faccia con alcune sessioni di gruppo in cui a quanto pare Trump ha spiegato almeno due concetti chiave messi a punto in Alaska con Vladimir Putin, due passaggi fondamentali per arrivare alla pace ma che il leader ucraino e quelli europei si sono mostrati riluttanti ad accettare.

 

Nessuna tregua

Il primo è l’accettazione delle condizioni poste da Putin e sottoscritte da Trump che non ci sarà nessuna tregua o cessate il fuoco su cui imbastire lunghe trattative di pace mentre le truppe ucraine si riorganizzano dopo due anni di sconfitte consecutive.

Dopo gli accordi di Minsk per la pace in Donbass (“portati avanti per guadagnare tempo e permettere all’Ucraina di armarsi” come ammisero nel 2022 l’ex cancelliere Angela Merkel e l’ex presidente francese Francois Hollande), i russi non si fidano più degli europei e vogliono un accordo di pace che chiuda il conflitto “rimuovendone le cause profonde”.

Print Friendly, PDF & Email

analisidifesa

L’asse Putin-Trump e la svolta nei negoziati di pace che molti fingono di non vedere

di Gianandrea Gaiani

OV3SP298XkDQnC35Rtiw8rstEv8iMqYK.jpgI caccia F-35 Lightning II dell’USAF che scortano l’Ilyushin Il-96-300PU presidenziale sul quale viaggia il presidente russo Vladimir Putin di rientro in patria dopo il vertice con Donald Trump in Alaska, rappresentano pienamente, con la sua simbologia, il successo del summit tra i due presidenti.

La degna conclusione di un evento caratterizzato, come sottolineano i media russi, da una “accoglienza storica” riservata al presidente russo dal tappeto rosso al sorvolo d’onore di un “flight” militare composto da un bombardiere B-2 Spirit e alcuni F-35 fino al trasferimento dei due presidenti a bordo della limousine presidenziale americana, “The Beast”.

Particolari che suggellano e ostentano il rilancio dell’amicizia, non solo delle relazioni, russo-americane. Un successo solo per Russia e Stati Uniti però, come avevamo previsto ieri nell’editoriale in cui a quanto pare abbiamo ipotizzato correttamente i possibili sviluppi dell’incontro.

 

Cooperazione a tutto campo

Pochi i dettagli emersi finora ma nelle dichiarazioni rese alla stampa (otto minuti e mezzo ha parlato Putin, meno di 4 minuti Trump) l’aspetto più rilevante è sembrato quello del rilancio delle relazioni bilaterali sul piano strategico (Artico e nucleare), economico (sanzioni e dazi) e politico.

Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha detto ieri di aspettarsi che gli USA revochino alcune sanzioni alla Russia. “Ne toglieranno qualcuna, questo è certo“, ha detto Lavrov. Ne sapremo presto di più circa questo rilancio che aveva preso il via già negli incontri in Arabia Saudita tra Marco Rubio e Sergei Lavrov e che si era concretizzato in luglio nel rilancio della cooperazione spaziale.

Print Friendly, PDF & Email

volerelaluna

Perché l’Occidente non guiderà più la storia del mondo

di Piero Bevilacqua

occidente natoNon occorre possedere speciali virtù profetiche per predire ai paesi dell’occidente (vale a dire Europa e USA per come si sono configurati negli ultimi due secoli), un avvenire di disgregazione e di inarrestabile declino. Sarebbe sufficiente fermarsi ai dati macroeconomici e sociali più noti per farsi un’idea alquanto realistica del futuro che li attende. Gli USA sono chiusi nella trappola di un debito crescente e insostenibile, incapaci di limitare la loro dispendiosa postura di impero guerresco, privati da decenni della loro base manifatturiera, spinti a fare soldi con i soldi, costretti a governare un paese lacerato dalle disuguaglianze, in cui la classe media, base della stabilità politica americana, arretra ormai da decenni, mentre in tanti stati la condizione di povertà supera il 10% della popolazione. Un’economia di servizi che vuole vivere sul debito pubblico e sull’indebitamento privato dei cittadini, sul dominio del dollaro. Sotto questo profilo l’Europa non sta molto meglio anche a prescindere dallo scenario inquietante che si schiude per il Vecchio Continente dopo gli accordi con Trump del 27 luglio. Vent’anni di perdita di produttività delle industrie dell’Unione, ci ricorda il Rapporto sul futuro della competitività europea di Mario Draghi del 2024. Nel quale rapporto cogliamo la previsione più clamorosa del declino europeo, l’indicatore più indiscutibile del regresso delle nazioni: la perdita di popolazione. «Entro il 2040, si prevede che la forza lavoro dell’UE si ridurrà di circa 2 milioni di persone ogni anno, mentre il rapporto tra lavoratori e pensionati dovrebbe scendere da circa 3:1 a 2:1». Ricordiamo di passaggio quel che è successo nel cuore del Vecchio Continente. Con la guerra in Ucraina la rampante locomotiva d’Europa, la Germania, è andata a schiantarsi nelle secche di una classe dirigente nana, che ha ubbidito prontamente agli USA, ha accettato di buon grado il sabotaggio del gasdotto Nord Stream, rinunciando ai rapporti di scambio con la Russia su cui aveva fondato un modello di crescita di successo. Ora ha imboccato la strada, davvero ricca di potenzialità, per diventare la “più grande potenza militare dell’Europa”. Immaginiamo con entusiasmo quanta ricchezza e benessere apporterà al suo popolo e al resto d’Europa col patrimonio di carri armati, bombe e missili di cui si doterà…

Print Friendly, PDF & Email

italiaeilmondo

Alaska e oltre: Trump in una scatola

di Mark Wauck

trump tariff threat 2 1733320235Naturalmente, le speculazioni odierne continuano, come nel fine settimana, su cosa aspettarsi dall’incontro in Alaska tra Putin e Trump. Alastair Crooke, oggi, approfondisce le pressioni che Trump deve affrontare da diverse parti. La descrivo come se Trump si trovasse in una scatola, una scatola, in gran parte, creata da lui stesso. Oltre agli accordi che ha dovuto concludere per tornare alla Casa Bianca, c’è anche il suo passato con Epstein che lo perseguita, così come le pessime decisioni sul personale che continua a prendere, una sorta di marchio di fabbrica di Trump. Negli ultimi giorni ho sottolineato l’influenza di una delle decisioni più sconsiderate di Trump in materia di personale, il suo continuo affidamento al generale in pensione Keith Kellogg, e Crooke ne parla. Tra l’altro, oggi ho ascoltato una breve intervista (15 minuti) con Jeffrey Sachs. Sachs è solitamente caritatevole, ma si è riferito all’ottantenne Kellogg come a “quel vecchio”. Significativo. L’ipotesi è che Trump si affidi ai consigli di un uomo che vive nel passato ed è ormai troppo vecchio per affrontare la mutata realtà post-Guerra Fredda di una Russia che, pur mantenendo la continuità con il suo passato culturale, è diversa sia dalla Russia zarista che da quella sovietica.

Se vi fornissi una trascrizione parziale della discussione tra Crooke e il giudice Nap, e devo dire subito che ho editato questo scambio orale con una certa libertà, credo che capirete il motivo per cui Crooke parla di “pressioni” su Trump. Trump sta affrontando pressioni derivanti dai fallimenti della sua politica estera ed economica – entrambe basate sui dazi e sulle sanzioni – e dall’ombra di scandalo rappresentata dalla controversia sul dossier Epstein. Ha bisogno di dirottare l’attenzione pubblica e ha bisogno di un successo clamoroso – o apparente – per riuscirci. Gaza, Epstein, il fallimento dello shock tariffario e il timore reverenziale stanno tutti trascinando Trump verso il basso.

Così l’Alaska. Eppure, come detto, ha scarso controllo effettivo sulla politica estera.

Print Friendly, PDF & Email

analisidifesa

Timori, speranze e tante illazioni in vista del vertice Putin-Trump in Alaska

di Gianandrea Gaiani

1451017.jpgIl Summit di Ferragosto tra Vladimir Putin e Donald Trump sta gettando nel panico le cancellerie europee, incluso il governo di Kiev, che puntavano tutto su una crisi prolungata nei rapporti tra le due superpotenze per mantenere in sella governi e capi di governo.

Lo si evince chiaramente dalle ultime dichiarazioni. L’agenzia di stampa Bloomberg ha riferito ieri sera che i leader di alcuni Paesi europei stanno cercando di parlare con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, in vista dell’incontro di venerdì in Alaska con il leader russo, Vladimir Putin.

il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato nel suo consueto discorso serale alla nazione che “sappiamo che la Russia ha intenzione di ingannare l’America, ma noi non lo permetteremo”. La NATO ha così tanta fiducia nell’esito positivo (per l’Ucraina) del summit in Alaska che il Segretario generale Mark Rutte ha ribadito ieri sera che le forniture di armi all’Ucraina continueranno a prescindere dal vertice Russia-USA.

“Assolutamente sì, continueranno”, ha affermato Rutte, sottolineando che “i primi due pacchetti sono stati stanziati dagli olandesi e poi dagli scandinavi” e che ulteriori annunci sono attesi “nei prossimi giorni e settimane”.

 

Chi ha paura dell’incontro Putin-Trump?

A preoccupare ucraini ed europei sono almeno due elementi: a quanto sembra il summit Putin-Trump non li coinvolgerà direttamente e secondo il consigliere del Cremlino Yury Ushakov il vertice sarà focalizzato sulle opzioni per raggiungere una soluzione duratura alla crisi Ucraina e potrebbe essere seguito da un altro incontro faccia a faccia in territorio russo.

Il rischio quindi è un’intesa tra Mosca e Washington che porrà gli altri davanti al fatto compiuto.

Print Friendly, PDF & Email

transform

Perché l’Occidente sta fomentando la guerra contro la Cina?

di Alessandro Scassellati

6 ago 8.pngUno dei veri motivi che alimenta l’ostilità degli Stati Uniti e dell’Occidente collettivo nei confronti della Cina è che lo spettacolare sviluppo economico della Cina ha fatto aumentare il costo del lavoro cinese e ridotto i profitti delle aziende occidentali. Un secondo elemento è la tecnologia. Pechino ha utilizzato la politica industriale per dare priorità allo sviluppo tecnologico in settori strategici nell’ultimo decennio e ha ottenuto progressi notevoli. Lo sviluppo tecnologico della Cina sta ora infrangendo i monopoli occidentali e potrebbe offrire ad altri Paesi del Sud globale fornitori alternativi di beni industriali necessari a prezzi più accessibili. La possibile saldatura economica tra Cina e Sud globale rappresenta la sfida fondamentale all’assetto imperiale occidentale e allo scambio ineguale.

* * * *

Negli ultimi quindici anni, l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Cina si è evoluto dalla cooperazione economica all’antagonismo più assoluto (si veda il rapporto Revising US grand strategy toward China del 2015). I media e i politici statunitensi hanno continuato a impegnarsi in una retorica anti-cinese persistente, mentre il governo statunitense ha imposto restrizioni commerciali e sanzioni alla Cina e ha perseguito il rafforzamento militare in prossimità del territorio cinese. Washington vuole che la gente creda che la Cina rappresenti una minaccia.

L’ascesa della Cina minaccia effettivamente gli interessi degli Stati Uniti, ma non nel modo in cui l’élite politica statunitense cerca di presentarla. Le relazioni tra Stati Uniti e Cina devono essere comprese nel contesto del sistema capitalista mondiale.