Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email
Print Friendly, PDF & Email
e l

L’assurda ricetta di ‘Frau nein’

Ruggero Paladini

Angela Merkel continua a dire no a qualsiasi politica anticrisi che non sia di tagli ai bilanci dei paesi con forti deficit e ha imposto questa linea all’Europa. Ma in questo modo è tecnicamente impossibile che riescano a risanarsi e si fa concreto il rischio di un loro default o uscita dall’euro. Solo qualche segnale lascia un filo di speranza

Il 16 e 17 dicembre i 27 capi di governo europei hanno approvato una piccola modifica al Trattato, in base alla quale i paesi dell’euro “possono creare un meccanismo di stabilità al fine di mettere al sicuro la stabilità dell’euroarea nel suo insieme”, come recita il testo preparato da Frau Merkel e approvato da Sarkozy. L’European Stability Mechanism (ESM) prenderà il posto, dal giugno 2013, dell’attuale European Financial Stability Facility (EFSF). Nel frattempo “Frau nein” ha respinto la proposta degli euro-bond presentata da Juncker (presidente dell’Eurogruppo) e Tremonti, ha respinto la proposta della BCE di aumentare sostanzialmente la dotazione dell’EFSF, e sembra disponibile invece ad un aumento del capitale della BCE, la quale è ormai arrivata ad acquistare oltre 72 miliardi di titoli (principalmente greci ed irlandesi) da quando ha iniziato, a maggio di quest’anno, gli interventi.  
 

Angela Merkel ha sostenuto che l’ESM dovrà prevedere un costo anche per i creditori dei paesi a rischio (gli ormai famigerati “Pigs”). Ed i creditori non sono poi altri se non le banche europee, e principalmente quelle tedesche e francesi; insieme hanno circa 315 miliardi di crediti verso Grecia ed Irlanda (61% in Germania) e 705 miliardi comprendendo anche Portogallo e Spagna (55% in Germania).

Print Friendly, PDF & Email

I sicari dell'economia globale

di Bruno Amoroso

Nel suo editoriale su La Repubblica del 19.12.2010 Eugenio Scalfari ci informa sull'esistenza di una Cupola finanziaria che gestisce le principali speculazioni mondiali. La sua fonte è il New York Times, che conferma quanto aveva già letto in Marx tempo prima. Da qui alcune sue deduzioni - di Eugenio Scalfari s'intende - sulle quali è bene soffermarsi. La prima, sulla quale concordo, è che le speculazioni non riguardano solo singoli faccendieri e neanche gli Hedge Fund, ma un sistema organizzato il cui cervello è costituito dalle maggiori nove banche mondiali. È vero, come sostiene, che è contro queste ultime che si è appuntata la critica della sinistra per decenni sfociata nella richiesta della nota Tobin Tax. Una visione miope che evade l'ampiezza del problema e che purtroppo resta comune sia agli amici che agli sciocchi.

Che la finanzia mondiale costituisca oggi un sistema di potere globale è stato ampiamente descritto negli ultimi 10 anni da numerosi studi e autori. Basti ricordare il bel testo di J. Perkins - Confessioni di un sicario dell'economia - che illustra come la rete di esperti e di centri di studio internazionali falsifichino i dati economici dei singoli paesi per spingerli ad indebitarsi e poi provocarne una crisi che mette i governi e l'economia nelle loro mani.

Print Friendly, PDF & Email

La ricchezza cresce e i salari diminuiscono

di Vicenç Navarro

Nella foto l'autore di questo interessante articolo, l'economista catalano Vicenç Navarro, Professore di Scienze Politiche e Sociali all'Università Pompeu Fabra di Barcellona e Professore di Politiche Pubbliche alla John Hopkins University di Baltimora. È stato consulente dell'OMS e di molti governi, da quello di Salvador Allende a quello cubano, da quello socialdemocratico svedese a quello USA in occasione della riforma sanitaria lanciata da Hillary Clinton.


Leggendo la stampa, non solo quella economica, ma anche quella generica, ci si trova di fronte a un paradosso che richiama l’attenzione. Da un lato vediamo che dalla II Guerra Mondiale a oggi la ricchezza nella maggioranza dei Paesi OCSE (il gruppo dei Paesi più ricchi del mondo) è cresciuta. E nonostante il calo del PIL pro-capite che diversi Paesi hanno vissuto in questi anni di recessione, è più che probabile che per la grande maggioranza dei Paesi dell’OCSE il PIL procapite continuerà a crescere, indicando così che la ricchezza di questi Paesi continuerà ad aumentare. In base a questo si potrebbe concludere che il livello di vita della popolazione crescerà praticamente in tutti i Paesi più sviluppati economicamente.

Print Friendly, PDF & Email

Il modello che non funziona

di Bruno Amoroso *

Il decennio in corso ha appiattito la politica dell'Unione Europea al potere dei centri finanziari e del sistema dell'euro gestito dalla Bce. L'Ue assomiglia sempre più agli Stati uniti, dove gruppi finanziari e militari di potere sono in grado di assumere la governance dell'intero sistema. La turbolenza finanziaria programmata e provocata da questi gruppi, un atto predatorio organizzato mirante all'espropriazione del risparmio delle persone, è stata una dimostrazione di arroganza che gli eventi successivi hanno pienamente confermato. Così come è stato confermato il loro controllo politico e finanziario sulle istituzioni degli Stati europei. Solo pochi mesi fa l'impressione che le istituzioni europee avrebbero fatto qualcosa per introdurre una maggiore trasparenza e un controllo dei centri e delle istituzioni finanziarie era molto diffusa. Ma queste impressioni si sono rivelate sbagliate. I responsabili della crisi sono divenuti presidenti e membri delle commissioni che dovrebbero controllare e riformare il sistema.

Print Friendly, PDF & Email

La finanza rapace: la nuova modalità di guerra globale

di Michael Hudson

“Gli eventi che stanno per manifestarsi proiettano anticipatamente la loro ombra” – Goethe

Cosa succederebbe se impedissimo alle banche americane e ai loro clienti di creare 1.000 miliardi, 10.000 miliardi o addirittura 50.000 miliardi di dollari sulla tastiere dei loro computer per comprare tutte le obbligazioni e le azioni del mondo, oltre a tutte le proprietà terriere e agli altri asset in vendita, nella speranza di realizzare guadagni in conto capitale e intascare gli spread sull’arbitraggio con una leva sul debito di meno dell’1% del costo dell’interesse? E’ questo il gioco a cui si sta giocando oggi. L’afflusso di credito in dollari nei mercati stranieri perseguendo questa strategia ha fatto salire i prezzi degli asset e delle valute straniere, consentendo agli speculatori di ripagare le propria presenza negli Stati Uniti con dollari più convenienti, tenendosi per sé il passaggio di valuta oltre al margine del tasso di interesse dell’arbitraggio.

La finanza è diventata una nuova modalità di guerra – senza l’aggravio delle spese militari e l’occupazione forzata di un altro paese. E’ una sfida nella creazione del credito per comprare proprietà immobiliari e risorse naturali in tutto il mondo, infrastrutture e la proprietà di obbligazioni e azioni aziendali.

Print Friendly, PDF & Email

La deindustrializzazione dell'America e la disputa valutaria con la Cina

Antonio Lettieri

Il paradigma post-industriale ha dominato negli ultimi decenni. Il risultato è stato una nuova divisione internazionale del lavoro che si è rivelata rovinosa per i ai vecchi paesi industriali. La soluzione della crisi non può essere rimessa a una guerra valutaria e commericale con la Cina

1. Uno dei paradigmi di maggior successo della fine del ventesimo secolo è stato l'emergere della società post-industriale. L'idea è diventata opinione comune. L’origine del cambiamento è stata spiegata con l’avvento della rivoluzione dei computer e la globalizzazione dei mercati. La globalizzazione non è un evento nuovo nella storia del capitalismo. Ma si è presentata in forme profondamente nuove. La divisione internazionale del lavoro è basata, secondo Ricardo, sulla teoria dei "vantaggi comparati": ogni paese ha una propria vocazione naturale e un livello di sviluppo tecnologico che lo induce a concentrarsi su determinate produzioni. Una politica aperta di scambi commerciali avvantaggia in questo modo tutti i paesi che vi partecipano. Senonchè, nella nuova fase della globalizzazione, la divisione internazionale del lavoro si applica non solo ai paesi, ma anche alle imprese che operano a livello globale.

Print Friendly, PDF & Email
fatto quotidiano

Farla finita con questa Europa

Vladimiro Giacchè

La commissione europea ci propone la sua idea di “governo economico” per l’Europa. Tommaso Padoa-Schioppa sul Corriere della Sera del 3 ottobre la riassume così:

“L’impianto è questo: le regole di bilancio restano quelle del Patto di stabilità, ma il debito pubblico (sotto il 60 per cento) – finora trascurato – assurge alla stessa importanza del deficit (sotto il 3); si rafforzano i meccanismi di controllo e le sanzioni; alla disciplina di bilancio si aggiunge una politica di correzione e prevenzione degli squilibri macroeconomici; si fa più autonomo il potere della Commissione e più difficile il boicottaggio del Consiglio”.


Il commento di Padoa-Schioppa è piuttosto salomonico (o pilatesco, a seconda dei punti di vista):
 

Le proposte sono complesse e occorre guardarsi dai giudizi affrettati…

Print Friendly, PDF & Email

Il ricatto colonialistico delle delocalizzazioni

di Comidad

Giorgio Cremaschi, dirigente della FIOM, ha commentato così la decisione di Federmeccanica di attuare la disdetta del contratto dei metalmeccanici firmato nel 2008: "Anche se gli effetti formali di questa disdetta sono rinviati nel tempo, visto che il contratto resta comunque in vigore fino al 2012, quelli politici si dispiegano subito. Dimostrano che gli industriali italiani vogliono competere con i paesi a più basso costo del lavoro, senza investimenti, tagliando diritti e salario".

Insomma, secondo Cremaschi, gli imprenditori italiani non avrebbero sufficiente autostima e, invece di competere con Germania e Stati Uniti, preferiscono misurarsi con Paesi che magari sono in Europa, ma che comunque, economicamente, sono terzo mondo. In realtà il problema è che gli industriali non hanno nessuna intenzione di competere con chicchessia, ed il ricatto delle delocalizzazioni non deriva affatto dal minore costo del lavoro in questo o quel Paese, ma dalla politica di incentivi alla delocalizzazione attuata dagli organismi internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, ma anche dall'Unione Europea.

Print Friendly, PDF & Email

Il potere della finanza: lezioni dalla Grecia e dall’Europa

Andrea Fumagalli*

La capacità dei mercati finanziari di generare “valore” è legata allo sviluppo di “convenzioni” (bolle speculative) in grado di creare aspettative tendenzialmente omogenee che spingono i principali operatori finanziari a puntare su alcuni tipi di attività finanziarie (vedi A,Orléan, Dall’euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria e altri saggi, Ombre Corte, 2010). Negli anni ’90 è stata la Internet Economy, negli anni 2000 l’attrazione è venuta dallo sviluppo dei mercati asiatici (con la Cina che entra nel Wto nel dicembre 2001) e dalla proprietà immobiliare. Gli effetti devastanti del crollo della bolla immobiliare nel 2008 hanno reso necessario un forte intervento degli Stati per tappare le falle di bilancio apertesi nelle grandi istituzioni bancarie, assicurative e finanziarie. Lo Stato ha svolto così il ruolo di prestatore d’ultima istanza, quindi a fondo perduto e senza effetti di stimolo sulla domanda. E’ la recessione attuale e la forte immissione di liquidità pubblica, più che l’eccesso di spesa pubblica, la causa principale dell’incremento del rapporto deficit/Pil. In un simile contesto, sono i paesi più dipendenti dalla dinamica economica internazionale a essere i più penalizzati, ovvero i paesi che svolgono il ruolo di subfornitori, senza poter influenzare le traiettorie tecnologiche dominanti. L’area del Mediterraneo è tra queste.

La speculazione finanziaria cerca così di sviluppare una nuova convenzione, che potremmo definire “convenzione welfare”, dove oggetto della stessa speculazione è direttamente il benessere (il bios) degli individui. Da convenzioni di tipo settoriale ad alta intensità cognitiva (Internet economy), passando a convenzioni legate allo sviluppo di aree territoriali globali, si giunge così a convenzioni che hanno come oggetto le condizioni di vita e lavoro degli esseri umani. Il biopotere della finanza si conferma pervasivo e sempre più diretto.

Print Friendly, PDF & Email

Un tango fantasia  

di Ugo Pagano

Nell’articolo “Un suicidio al ritmo di tango argentino” pubblicato sul Sole del 27 giugno, Alberto Bisin e Michele Boldrin (B.B.) hanno affermato che la Lettera degli Economisti, di cui sono uno dei firmatari, a differenza dei contributi di alcuni noti accademici, come il premio Nobel Paul Krugman, ha il pregio di volere giustificare teoricamente e empiricamente le teorie keynesiane. Oltre alla tenzone di nFA a Villa La Pietra il dibattito sulla lettera  ha visto frattanto altri contributi che hanno coinvolto fra gli altri Claudio Gnesutta, Giulio Zanella, Sergio Cesaratto, Riccardo Sorrentino, Riccardo Realfonzo e Antonella Stirati. Questa breve nota non entra nel merito di questi contributi ma è solo una precisazione post-tenzone da parte di un firmatario della lettera che aveva appreso da B.B. di essere un sottoconsumista.

Nessuno di noi, in una lettera dettata dall’urgenza e dalla gravità della situazione economica, aveva l’ambizione di raggiungere un obiettivo che nelle sedi appropriate (che sono le riviste scientifiche e non le lettere ai giornali), non sarebbe raggiunto da illustri economisti keynesiani. Non meritando questo esagerato complimento, non siamo, purtroppo, in grado di offrire a Boldrin e Bisin  la doppia opportunità di evidenziare, con un solo colpo, la vera natura delle ipotesi teoriche nostre e di Paul Krugman.

Print Friendly, PDF & Email

Le premesse teoriche della Lettera e i vetero-liberisti

Antonella Stirati

Nel loro articolo apparso sul Sole 24 ore  del 27 giugno  (e in modo più aggressivo e altrettanto poco argomentato, sul loro blog noisefromamerika), Bisin e Boldrin muovono numerose critiche alla Lettera degli economisti[1] e attaccano le premesse teoriche delle tesi là sostenute definendole improbabili e incoerenti, fondate su banali errori logici. Su questo può essere utile fare un po’ di chiarezza, poiché gli autori attaccano una teoria  ‘sottoconsumista’ immaginaria o che al più riflette versioni ottocentesche di tale teoria – e d’altra parte difendono il loro punto di vista con argomenti anch’essi piuttosto arcaici.

Le cose che dirò per spiegare le premesse delle tesi sostenute nella lettera sono note agli economisti accademici che si sono formati in Italia, e certamente non convinceranno Bisin e Boldrin, che non sembrano troppo interessati a confrontarsi nel merito delle questioni, ma potranno mi auguro essere utili a lettori incuriositi dal dibattito e desiderosi di orientarsi meglio[2].

Print Friendly, PDF & Email

I falsi miti del social-liberismo

Francesco Macheda*

Il recente rapporto della Banca d’Italia sulle tendenze nel sistema produttivo del nostro paese e la manovra finanziaria con la quale la maggioranza di governo si accinge a scaricare i costi della crisi sui lavoratori mettono a dura prova il nocciolo della proposta social-liberale – la ‘terza via’ tra keynesismo e ultra-liberismo – secondo cui la crescita economica passerebbe attraverso l’eliminazione delle rigidità dell’offerta di lavoro, inserita tuttavia all’interno di una cornice regolatoria che non pregiudichi la coesione sociale (Bachet et al. 2001: 144). Più nello specifico, la selezione meritocratica, coniugata a comportamenti socialmente responsabili delle imprese volti a stimolare il ‘lavoratore ad una più alta qualità e partecipazione’ (Bellofiore 2004a) – innalzando così la produttività – eleverebbe la profittabilità aziendale. La ricchezza così creata verrebbe infine redistribuita ai lavoratori mediante l’intervento della politica economica[1].

Tralasciando le implicazioni politiche di tale teoria[2] – che comunque ‘non contrastano affatto le tendenze del capitalismo contemporaneo’ (Bellofiore e Halevi 2007: 13) – ciò che qui interessa è analizzare come a) la scarsità di pratiche meritocratiche sia un tratto necessario alla riproduzione egemonica della classe capitalista italiana, data l’arretratezza della struttura produttiva del paese, e b) le crisi facciano cadere nel dimenticatoio ogni velleità di responsabilità sociale non appena le imprese si trovano a dover scegliere tra la dura legge dei libri contabili e il benessere dei lavoratori.

Print Friendly, PDF & Email

Fermiamo quel paese, o riprendiamoci la sovranità

di Sergio Cesaratto

1. La direzione presa dalla politica economica europea è allarmante. Alle misure draconiane imposte alla Grecia sono seguiti in una gara i tagli di bilancio deliberati in Spagna, Portogallo, Italia, Regno Unito e infine da Germania e Francia. Ciò nonostante (o meglio a causa di questo) gli spread fra i tassi sui titoli dei paesi periferici, inclusi ora quelli francesi, e quelli tedeschi hanno continuato a crescere – per l’Italia si sfiorano i due punti. Al contempo le televisioni di Berlusconi annunciano con toni trionfanti la ripresa economica nel primo trimestre e un balzo nella produzione industriale in aprile, che viene attribuita alla discesa dell’euro. Ma l’impatto dei tagli di bilancio deve ancora manifestarsi! Banca d’Italia e persino la BCE hanno espresso preoccupazione in merito. I cosidetti “mercati finanziari” non sono affatto convinti dalle misure di “austerità”, anzi temono che conducano a un ulteriore problema di solvibilità di Stati e privati. Prendersela dunque con la speculazione, nel mentre nei fatti la si incentiva con misure controproducenti, va bene solo per gli allocchi che guardano il TG di Minzolini. Obama ha di nuovo strillato in sede di G20 contro il rifiuto tedesco di contribuire attivamente alla ripresa, ma di nuovo con effetti nulli.

Print Friendly, PDF & Email

La pseudo-tragedia greca e il futuro dell’Unione monetaria

Antonio Lettieri

Perché l’ Unione europea non assiste la Grecia? L’argomento della falsificazione delle statistiche finanziarie e delle ragioni legali che impediscono il suo salvataggio finanziario non ha un reale fondamento. Il prossimo obiettivo dei mercati finanziari potrebbe essere la Spagna. Il problema di fondo nasce dalla inconsistenza delle politiche dell’Unione europea e dalla sua permanente vocazione deflazionista.

Nei primi mesi del 2010 la crisi finanziaria ha cambiato direzione Tra il 2008 e il 2009 le banche erano al centro della crisi, o perché erano all'origine del disastro, o perché erano  oggetto di un grandioso quanto indiscusso salvataggio da parte degli Stati. La parola d’ordine era: "troppo grandi per lasciarle fallire". Oggi, il vento soffia in una diversa direzione. La crisi finanziaria mette a dura prova i bilanci dello Stato, e le stesse persone che predicavano la necessità di salvare le banche senza risparmio di risorse dei contribuenti, oggi raccomandano di tagliare la spesa pubblica: in sostanza, una scelta  deflazionistica, indifferente alla permanente debolezza dell’economia  e alla disoccupazione di massa.

Print Friendly, PDF & Email

Neoliberismo goliardo: Keynes VS Friedman

di Cesare Del Frate

Gli economisti sapientoni assomigliano sempre più a tifosi da stadio che inneggiano al mercato, e i manager rampanti a bambini capricciosi che vogliono tutto e subito: quando cominceremo ad affidare l’economia ad adulti maturi e responsabili?

Il neoliberismo contemporaneo cresce abnorme e si divora tutto, spinto dall’inesauribile fame di profitto; eppure, fino a pochi decenni fa, nell’economia trovavamo posizioni ben più prudenti e pluraliste, eccone una:

Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace e   stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi (John  Mainard Keynes, Esortazioni e profezie).

I distinguo, le esitazioni, la ricerca di un punto di vista sfaccettato e comprensivo, atteggiamenti tipici di Keynes, stridono fortemente se paragonati alla retorica da stadio del neoliberismo:

dovunque, in ogni tempo, il progresso economico è valso molto di più per il povero che per il ricco.

Subcategories