Valore e connessione sociale
Gianfranco La Grassa, omaggio a un maestro
di Francesco Barbetta
La notizia della scomparsa di Gianfranco La Grassa mi ha colpito con la forza di un’onda che arriva dopo un lungo viaggio, portando con sé non solo il dolore del presente ma i sedimenti di un’intera fase della mia vita. Per me Gianfranco non è stato semplicemente un autore da studiare ma il primo intellettuale marxista di statura che abbia mai incontrato. Lo conobbi quando ero un operaio in una piccola ditta di prodotti chimici. All’epoca ero già un maoista impregnato di althusserismo e lui mi aiutò a mettere qualche punto in ordine nel mio modo di leggere Marx. Gianfranco La Grassa mi ha insegnato una cosa sopra tutte: che il pensiero critico è, prima di tutto, movimento, conflitto, capacità di mettersi in discussione. Mi ha insegnato che la fedeltà a un’idea non sta nel ripeterla dogmaticamente ma nel sottoporla costantemente al vaglio della realtà, anche a costo di doverla rivedere radicalmente. Non sono sempre stato d’accordo con le sue derive teoriche ma lo considero indubbiamente uno dei punti più alti raggiunti dal pensiero economico marxista in Italia e merita di essere ricordato in futuro.
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Gianfranco La Grassa inizia il suo saggio Il valore come connessione sociale individuando con precisione i due cardini fondamentali su cui, a suo avviso, si reggono molti attacchi al marxismo, sia in ambito economico che politico. Il primo punto è la dichiarata obsolescenza, quando non l’inesistenza, della legge del valore, spesso bollata come un retaggio metafisico del pensiero di Marx. Il secondo punto, strettamente correlato, è la riduzione delle entità economiche a un mero precipitato, un effetto secondario, di rapporti di forza sociali e politici, denunciando così una presunta carenza del marxismo: l’assenza di una vera e propria teoria politica e dello Stato.